I rischi dell'epidemia Covid-19 per la salute delle persone e per l'economia di tutti i paesi sono chiari. Per trovare le soluzioni migliori a questo problema occorre un approccio interdisciplinare. Medici e scienziati, politici ed economisti, lavoratori dell’industria alimentare e volontari di varie associazioni, tutti si uniscono per combattere contro questa dura prova dell’umanità. E in questa lotta ci sono decisioni difficili che hanno conseguenze sulla vita, il ritmo quotidiano e il benessere delle persone. Adesso su Covid-19 sappiamo molto di più rispetto a gennaio di quest'anno, ma anche molto di meno sul da farsi per fermare l'espansione dell'epidemia.
Due ricercatori impegnati in due diversi ambiti scientifici, un epidemiologo e un sociologo, hanno proposto un’analisi interdisciplinare per capire se l'approccio attuale è sufficiente a impedire la seconda ondata dell'epidemia. L’analisi di Boris Bikbov, ricercatore dell'Istituto Mario Negri di Bergamo, e di Alexander Bikbov ricercatore della Scuola Superiore delle Scienze Sociali a Parigi, facendo un sunto degli articoli principali pubblicati ultimamente sul Coronavirus, hanno in primo luogo proposto una sintesi delle conoscenze attuali sulla malattia.
"L'ampia sintesi della letteratura mostra che c'è una discrepanza tra le ultime scoperte scientifiche sul Coronavirus e la conoscenza comunicata attualmente dall'autorità pubblica e condivisa con la comunità", dice Boris Bikbov. "Questo gap può avere delle conseguenze dannose per la salute pubblica e anche per la vita sociale nel medio-lungo termine", continua Alexander Bikbov. "In questo periodo la comunicazione tra gli scienziati, i politici e il pubblico in generale, che negli ultimi anni è stata compromessa in diverse occasioni, richiede un'attenzione particolare, basata sul feedback ricevuto dalla comunità".
Dal punto di visto epidemiologico, ci sono due caratteristiche principali che determinano la dinamica dell'epidemia.
La prima è il periodo d'incubazione che definisce per quanto tempo la persona sana deve essere in isolamento dopo il contatto con una persona malata.
All'inizio dell'epidemia, l'Organizzazione Mondiale della Sanità e gli Enti nazionali hanno comunicato il periodo di isolamento a 14 giorni. Invece, il modello statistico sviluppato negli Stati Uniti stima che in circa l’1% dei casi il periodo di incubazione supera i 14 giorni, e infatti gli ultimi dati della letteratura specializzata mostrano che in alcuni casi in Cina questo periodo si è allungato fino a 24 giorni. Alla fine dei 14 giorni di isolamento per 1 persona su 100 c'è una possibilità che anche dopo questo periodo la malattia continui e il virus si propaghi.
La seconda caratteristica epidemiologica è il periodo durante il quale la persona malata diffonde il virus nell’ambiente e deve osservare la quarantena. Ci sono pochi studi su questo aspetto, e quello che emerge è che questo periodo può variare in base alla gravità dell’infezione.
I pazienti gravi diffondono il virus per 20 giorni in media, mentre per pochi pazienti questo periodo può durare fino a 37 giorni. Per i pazienti lievi la durata media è di 10 giorni, ma per alcuni continua fino ai 15 giorni.
Per tutti i casi, secondo le raccomandazioni, prima delle dimissioni va fatto il tampone per assicurare che la persona sia guarita. Ogni persona ammalata deve avere due tamponi negativi fatti a distanza di un giorno. In merito a questi dati, c’è da dire che l’80% dei pazienti con Coronavirus ha una forma lieve, e molti di loro non vengono ricoverati perché gli ospedali sono sovraccaricati di malati con il livello dell'infezione più grave. Inoltre, attualmente c'è una carenza di tamponi, e per ora non è possibile fare il test a tutte le persone con i sintomi respiratori o con la febbre.
Per questa ragione molti pazienti con Coronavirus rimangono a casa senza fare il test diagnostico.
Per loro è importantissimo sapere che la diffusione del virus può continuare anche dopo la scomparsa della febbre e dei sintomi più gravi.
La situazione diventa ancora più complicata se consideriamo gli ultimi dati sulla trasmissione di COVID-19.
Ci sono persone che hanno il virus nel loro organismo, senza avere nessun sintomo di malattia.
Le stime preliminari suggeriscono che i portatori asintomatici possono arrivare al 18-30% di tutta la popolazione contagiata, anche se non è ancora chiaro se gli asintomatici sono contagiosi.
Questa informazione non è stata ampiamente comunicata al pubblico. Tuttavia è essenziale per seguire le misure protettive e prevenire la seconda ondata dell'epidemia, considerando soprattutto l'arrivo imminente della Pasqua e della primavera, periodi in cui l'attività sociale è tradizionalmente più alta. “Questa informazione non deve alimentare la paura nelle persone”, dice Alexander Bikbov, “ma deve servire per sviluppare un approccio razionale per combattere l'epidemia a livello individuale e collettivo”.
Dal punto di vista sociologico, il divario tra la consapevolezza del pubblico sui recenti avvenimenti clinici e l'insufficiente conoscenza delle misure preventive durante l'epidemia è tipico del modello di comunicazione paternalista adottato dall'autorità pubblica in vari paesi.
Questo modello implica un tipo di comunicazione in cui il governo, in modo unilaterale, trasmette alla comunità informazioni sull'andamento dell'epidemia, sulle misure di prevenzione e sugli incentivi economici. Manca un riscontro sufficiente da parte della comunità sulle strategie adottate. Questo modello funziona bene se la popolazione ripone ampia fiducia nell’autorità pubblica. Tuttavia la percezione critica della politica sociale misurata dall'Eurobarometer prima dell'epidemia e le proteste degli ultimi anni in alcuni paesi, mostrano che il contesto della ricezione del messaggio paternalista non è così imperturbabile.
In queste condizioni è perciò vitale effettuare delle analisi sulla percezione del pubblico sulle pratiche preventive al fine di potenziare l'intervento comunitario.
Per il momento, pochi studi sociologici sono stati realizzati sul senso della distanza sociale e delle misure protettive condivise dai cittadini.
Uno studio, realizzato negli Stati Uniti e in Inghilterra, che include 6 mila intervistati, ha mostrato che:
Ci sono anche gruppi particolarmente vulnerabili che possono sfuggire alla comunicazione e al monitoraggio sociale, tra cui:
Viviamo in una società complessa, dove siamo tutti interconnessi, e non possiamo escludere dalla comunicazione e dal sostegno nessun gruppo sociale.
L'epidemia Covid-19 ha un impatto profondo dal punto di vista psicologico, e non ci riferiamo soltanto allo stress o alla preoccupazione che essa suscita. I ricercatori hanno rilevato alcune importanti evidenze:
"Adesso, che soffre più della metà dei paesi del mondo, non è l'ora per cercare il nemico", attesta Boris Bikbov.
Ci stiamo tutti confrontando con una situazione difficile, e diffondere le ultime scoperte scientifiche alla comunità è indispensabile. In più, il riscontro sociologico su conoscenze, attitudini e pratiche da parte della comunità e anche dei gruppi sociali più vulnerabili corrisponde a una strategia positiva nel medio-lungo termine.
Per quanto riguarda i dati recenti e la conoscenza crescente della pandemia, bisognerà elaborare un piano integrale per un periodo abbastanza esteso. L'approccio per trattare questa complessa situazione deve basarsi su aspetti sanitari, economici, psicologici, sociologici che all’unisono permettano di sviluppare delle azioni in grado di prevenire la seconda ondata dell'epidemia.
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Boris Bikbov - Laboratorio fasi avanzate dello sviluppo dei farmaci nell'uomo
Alexander Bikbov, Ph.D.2 Ecole des Hautes Etudes en Sciences Sociales, Paris, France