Data prima pubblicazione
April 13, 2022

Covid-19 e variante XE: a che punto è la pandemia?

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Lo scorso 19 gennaio nel Regno Unito è stata isolata per la prima volta la variante XE, una versione ricombinante del SARS-CoV-2 nata dall’unione delle due sorelle Omicron.

A differenza delle varianti diffuse finora, XE non è dovuta a una classica mutazione nella sequenza dell’RNA virale, ma ad una ricombinazione tra due varianti virali.

Come si originano le versioni ricombinanti del SARS-CoV-2?

La nuova variante XE è nata probabilmente sfruttando una persona che ha contratto contemporaneamente l’infezione causata da Omicron 1 e da Omicron 2. Il rimescolamento genetico è dovuto al fatto che l’organismo infettato ha sintetizzato dapprima l’RNA di un virus, fino a quando si è inspiegabilmente “bloccato” e ha iniziato a replicare una parte del secondo virus. Da qui la nascita di un virus ibrido costituito dalla sequenza di entrambe le varianti virali. La causa di questo blocco non è ancora stata chiarita.

Le versioni ricombinanti finora rilevate oltre alla XE sono:
- XD, nata dall’insieme di Omicron 1 e da una parte della variante Delta;
- XF, derivante per lo più da Omicron 1 e con un solo gene della Delta.

XD e XF non sembrano avere grandi capacità di diffusione: infatti, la XD è stata isolata in una cinquantina di casi in Europa fino al 13 marzo 2022, mentre XF ha totalizzato 39 casi fino a febbraio scorso. Per XE il discorso è diverso perché questa versione ha unito in maniera sinergica la grande velocità di diffusione delle varianti BA.1 e BA.2.



La variante XE può essere più pericolosa delle precedenti?

Dati scientifici preliminari supportano l’ipotesi che XE sia ancora più contagiosa di Omicron, a causa della sua velocità di replicazione, ma che i sintomi e la malattia potrebbero essere paragonabili a quelle di B1 e B2, anche se mancano dati definitivi. Dunque, Ariela Benigni, Segretario Scientifico e Coordinatore delle Ricerche di Bergamo e Ranica, ci rassicura perché tre dosi di vaccino ci dovrebbero ancora proteggere dal ricovero e dal decesso. In ogni caso i rischi di una malattia grave dipendono dalla presenza di altre patologie come per le altre varianti del virus SARS-CoV-2. Per questo motivo, le persone fragili, come gli anziani, i pazienti in dialisi, i trapiantati, gli immunodepressi e chi è affetto da patologie come obesità o diabete, devono mantenere la guardia più alta rispetto a tutte le altre persone.



A che punto siamo con la pandemia Covid-19?

La prima ragione per essere ottimisti, secondo Giuseppe Remuzzi, Direttore del Mario Negri, è che ormai quasi l’intera popolazione italiana è completamente vaccinata o ha contratto l’infezione. Quindi questa immunità acquisita ci consente di affrontare eventuali nuove mutazioni o nuove versioni del virus con un livello di protezione che non avevamo nel 2020.

Un’altra ragione che tranquillizza è che oggi abbiamo a disposizione non solo i vaccini ma anche farmaci antivirali particolarmente efficaci e anticorpi monoclonali (anche se quelli che abbiamo finora sono meno efficaci contro Omicron rispetto alle varianti precedenti). Inoltre, c’è la prospettiva di un vaccino contro tutti i coronavirus: infatti, un progetto della Duke University e del Brigham and Women’s Hospital di Boston ha mostrato nelle scimmie un’efficacia vicina al 100%.

Motivi di preoccupazione invece la presenza di ancora 1 milione e 200 mila over 70 che non hanno completato il ciclo vaccinale. Queste persone rappresentano un grosso serbatoio di circolazione per il virus, a cui si aggiunge la fascia tra i 5 e i 12 anni dove la copertura è ferma al 34% e quelli più piccoli per i quali non esiste ancora un vaccino. Senza dimenticare poi Paesi come l’Africa, dove le percentuali di vaccinazione sono bassissime. Se guardiamo cosa sta accadendo a Hong Kong, dove un’ondata pesantissima sta dimostrando quanto Omicron sia pericolosa in una popolazione anziana e poco vaccinata, capiremo quanto sia importante continuare ad osservare le regole anti-contagio, come ad esempio le mascherine, prima barriera fisica contro l’infezione.

Poi, bisogna tener conto anche di un altro rischio sempre più comune tra i pazienti guariti da Covid-19: il Long Covid. Un recente studio ha infatti dimostrato che 1 persona su 5 torna in ospedale dopo sei mesi dalla guarigione per strascichi importanti causati dalla malattia. C’è però una buona notizia: secondo gli ultimi studi, citati in un editoriale su Nature, la vaccinazione con tre dosi riduce del 50% il rischio di complicanze nel lungo periodo dopo l’infezione.

Osservare l’andamento della diffusione del virus nei prossimi mesi sarà fondamentale per capire quale sarà l’evoluzione. L’avvento delle versioni ricombinanti rende più difficile il monitoraggio e il sequenziamento. Queste operazioni dovranno essere quindi rafforzate per poter individuare con accuratezza i virus ibridi che stanno circolando ora, così come quelli che potranno comparire in futuro.

Giuseppe Remuzzi - Direttore Istituto di Ricerche Farmacologiche Mario Negri IRCCS  

Ariela Benigni - Segretario Scientifico e Coordinatore delle Ricerche di Bergamo e Ranica

Editing Raffaella Gatta - Content Manager

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