La ricerca scientifica di tutto il mondo si sta adoperando per arrivare allo sviluppo di una cura definitiva per il Covid-19. L’ideale sarebbe una pillola da poter prendere a casa subito dopo avere ricevuto l’esito (positivo ovviamente) del tampone molecolare.
Il maggiore ostacolo deriva dal fatto che il Sars-CoV-2, come tutti i virus, è soggetto a continue mutazioni, le quali avvengono per adattarsi sempre meglio all’organismo ospite, sfruttato per riprodursi. L’obiettivo più ambito, quindi, sarebbe sviluppare un farmaco capace di colpire una delle fasi di replicazione del virus, senza danneggiare l’ospite.
Gli sforzi dei ricercatori si stanno concentrando, ormai da quasi due anni, sullo screening di antivirali già presenti e sullo sviluppo di nuovi.
Inizialmente, è stato approvato l’utilizzo off-label di una combinazione di due antivirali, già usati per trattare l’infezione da HIV: lopinavir/ritonavir. Il meccanismo d’azione di questi farmaci mira a prevenire la formazione di nuove particelle virali. Il loro target farmacologico è la proteasi, un enzima che “impacchetta” le nuove particelle virale prodotte. L'esperienza clinica ottenuta studiando l'HIV ha dimostrato che questi farmaci sono tendenzialmente sicuri. Non vanno però trascurati i possibili effetti avversi e le numerose interazioni farmacologiche.
La combinazione lopinavir/ritonavir era stata inizialmente autorizzata in pazienti che presentavano una forma di malattia non grave e che potevano essere curati sia a casa sia in ospedale, nelle fasi iniziali della malattia. Purtroppo, nonostante le speranze iniziali, questo farmaco non è risultato efficace nel trattamento dell’infezione da SARS-CoV-2 e il suo impiego per Covid-19 non è più autorizzato. L’Organizzazione Mondiale della Sanità ha, infatti, emesso una raccomandazione contro l’utilizzo di questo medicinale.
L’altro antivirale utilizzato nella terapia contro il Covid-19, ma solo in casi ben selezionati, è il remdesivir. Il meccanismo d’azione di questo farmaco, originariamente sviluppato come terapia per l’ebola, prevede la formazione di uno “stallo” nella replicazione del virus. Il farmaco in sé, infatti, è un analogo di uno dei quattro mattoncini dell’RNA virale, in particolare dell’adenosina. Incorporando quindi questo analogo, la replicazione si blocca. L’RNA polimerasi del virus, però, spesso riesce a riconoscere l’errore prodotto e a riparare il danno.
Le raccomandazioni delle agenzie regolatorie acconsentono all’utilizzo del remdesivir in pazienti con Covid-19 con sintomi da più di dieci giorni e con polmonite. La somministrazione avviene per endovena, sotto controllo medico. Anche nel caso del remdesivir, gli studi clinici hanno documentato un’efficacia limitata: riduce la durata della malattia ma ha un impatto modesto su indicatori importanti come rischio di morte o di ricovero in terapia intensiva.
Il molnupiravir è un antivirale originariamente sviluppato per il trattamento dell’influenza, prodotto dalla casa farmaceutica Merck. Il suo nome riprende quello mitologico del martello del Dio del Tuono Thor.
Il target farmacologico del molnupiravir è l’enzima che copia in maniera continua l’RNA del virus, RNA polimerasi. Il meccanismo d’azione prevede il blocco della replicazione causato del grande numero di mutazioni nel codice genetico dell’agente patogeno. Le mutazioni sono talmente tante che il virus non può più sopravvivere.
Studi effettuati in laboratorio, hanno documentato che il molnupiravir è capace non solo di inibire la replicazione del virus, ma anche di bloccarne la trasmissione e di ridurre la carica virale nei pazienti.
Nel gennaio 2021, l'Agenzia italiana del farmaco (AIFA) ha autorizzato lo studio clinico (NCT04575597) per valutare l'efficacia, la sicurezza e la farmacocinetica del molnupiravir. Lo studio multinazionale, che coinvolge oltre all’Italia anche altre 20 nazioni, in doppio cieco, randomizzato e controllato con placebo, ha coinvolto 775 pazienti adulti, ospedalizzati e non, con malattia lieve o moderata, non vaccinati. I partecipanti avevano almeno un fattore di rischio per sviluppare Covid-19 grave, come età avanzata o obesità. Solo metà di loro ha ricevuto il farmaco. Grazie al trattamento iniziato entro cinque giorni dall’insorgenza dei sintomi, il tasso di ospedalizzazione e di morte nelle persone che hanno ricevuto il farmaco è stato del 7.3%, circa la metà rispetto al gruppo di controllo.
Un'analisi successiva ha, però, ridimensionato dal 50% al 30% l'efficacia del molnupiravir nel ridurre la probabilità di ospedalizzazione e morte da Covid-19 nei pazienti con diagnosi ad alto rischio.
Il farmaco, inoltre, sembra funzionare bene anche contro diverse varianti del SARS-CoV-2, tra cui delta e gamma. Il farmaco, quindi, offre una protezione significativa.
Il molnupiravir si assume per bocca: 4 pillole due volte al giorno, per cinque giorni. In totale quaranta pillole. È essenziale prenderlo ai primi sintomi, quando cioè è ancora in grado di ridurre la replicazione del SARS-CoV-2 e, di conseguenza, il danno polmonare.
Dal punto di vista economico, il trattamento con il molnupiravir costa molto di meno rispetto agli altri antivirali e ai monoclonali.
È in corso la valutazione dei dati degli studi clinici da parte delle agenzie del farmaco. Il 21 ottobre l’Agenzia Europea dei Medicinali ha annunciato che sarà avviata la rolling review che potrebbe portare all’autorizzazione di questo medicinale.
L’altro antivirale, approvato dall'EMA e, in Italia, dall'AIFA a Gennaio 2022, è il Paxlovid (associazione di nirmatrelvir + ritonavir) della Pfizer, progettato proprio per SARS-CoV-2. Il target farmacologico è un enzima del processo di replicazione del virus, la proteasi 3CL, tra i più specifici per tutti i coronavirus. Ciò significa che il farmaco potrebbe funzionare non solo per l’agente infettivo del Covid-19 ma anche per potenziali futuri virus pandemici appartenenti alla famiglia dei coronavirus.
Gli studi presentati dalla azienda americana hanno coinvolto adulti non ricoverati ma ad alto rischio (per patologie pregresse o età) di aggravamento. I risultati dimostrano che il Paxlovid riduce il rischio di ospedalizzazione o decesso dell'89% rispetto a chi non lo assume. Fino al ventottesimo giorno di trial clinico, nessun paziente trattato con l'antivirale Pfizer è deceduto.
Nirmatrelvir (PF-07321332) sarà somministrato due volte al giorno, per un periodo di 5 giorni, insieme al Ritonavir, antivirale che funge da “booster”, come nel caso della combinazione con il lopinavir utilizzata nella cura dell'HIV.
Le aziende farmaceutiche Atea e Roche si sono unite per studiare un nuovo antivirale per curare il Covid-19. La pillola, AT-527, sviluppata per curare pazienti affetti da infezione da HCV, è stata ben tollerata a livello clinico e ha dimostrato una potente attività antivirale. Studi eseguiti in seguito hanno fatto emergere una buona attività in vitro anche contro i coronavirus umani. Per questo motivo, ora la pillola della Atea/Roche è in fase di valutazione per il trattamento delle infezioni da SARS-CoV-2.
Entro la fine dell’anno, le aziende produttrici prevedono di ottenere i dati di Fase 2 per i pazienti sia ospedalizzati che non, ma stanno anche pianificando uno studio di Fase 3 più ampio sui pazienti ambulatoriali.
L’obiettivo delle case farmaceutiche è giungere ad una somministrazione facile e precoce per ridurre il carico sugli ospedali e la durata della malattia. I dati finora disponibili suggeriscono che AT-527 potrebbe riuscire a ridurre la trasmissione.
Giuseppe Remuzzi - Direttore Istituto di Ricerche Farmacologiche Mario Negri IRCCS
Raffaella Gatta - Content manager