I sintomi del tumore alle ovaie, le cause, le terapie, le novità della ricerca. Tutto su uno dei tipi di cancro più difficili da curare e diagnosticare precocemente.
Il tumore ovarico è una neoplasia complessa, eterogenea e piuttosto aggressiva che colpisce le ovaie. Le evidenze scientifiche raccolte in questi anni suggeriscono che in realtà questo tumore è la manifestazione di più malattie che possono nascere in sedi diverse, ma che poi crescono e si sviluppano anche in sede ovarica.
Per questa ragione, sempre più ricercatori ritengono che il termine “tumore ovarico” sia riduttivo e che sia più corretto parlare di tumore maligno “dell’ovaio, delle tube o del peritoneo”, comprendendo tutta quell’area anatomica vicino alle ovaie.
Secondo la classificazione dall’Organizzazione Mondiale della Sanità distinguiamo due categorie di tumore maligno ovarico:
Il tumore ovarico primitivo può essere ulteriormente classificato in:
Solo il 10-15% dei tumori dell’ovaio è maligno e il carcinoma ovarico, quello di origine epiteliale, rappresenta il 60% dei tumori maligni diagnosticati.
Fino a pochi anni fa il carcinoma dell’ovaio era considerato e veniva quindi curato come se fosse una sola malattia. Oggi, invece, grazie alle conoscenze acquisite a livello molecolare, si ritiene che questo tumore sia una malattia eterogenea in cui si riconoscono ben cinque principali sottotipi istologici con importanti differenze in termini di fattori di rischio, modalità di disseminazione, alterazioni genetiche, risposta alla chemioterapia e conseguentemente di prognosi.
I diversi sottotipi sono:
La forma più comune di questa patologia è il carcinoma sieroso ad alto grado, la cui origine sembra essere a livello dell’epitelio delle tube di Falloppio. Queste cellule si trasformano in cellule tumorali, raggiungendo e invadendo non solo l’ovaio, ma anche gli altri organi presenti nella cavità peritoneale.
Il tumore dell’ovaio colpisce circa 6000 donne in Italia ogni anno (le stime sono relative al 2022), secondo i dati riportati nel rapporto “I numeri del cancro in Italia 2023” a cura, tra gli altri, dell’Associazione italiana registri tumori (AIRTUM) e dell’Associazione italiana di oncologia medica (AIOM). Questo tumore si colloca tra le prime 10 forme tumorali più diffuse tra le donne e costituisce il 3 per cento circa delle diagnosi di tumore. La percentuale di sopravvivenza a 5 anni dalla diagnosi è circa del 43 per cento, perché in molti casi la malattia viene diagnosticata quando è in fase già avanzata. Cionostante, i tassi di mortalità sono in diminuzione negli ultimi anni, grazie anche all’introduzione di nuove ed efficaci strategie di trattamento.
Tra le cause riconosciute come associate ad un alto rischio di sviluppare carcinoma dell’ovaio possiamo citare:
E’ stato dimostrato che l’aver partorito più figli (o multiparità), l’allattamento al seno e un prolungato impiego di contraccettivi orali sono associati ad un rischio ridotto di sviluppo di tumore ovarico.
Come già detto, alcune forme di carcinoma ovarico sieroso ad alto grado possono essere di natura ereditaria (circa il 15%).
Le mutazioni che si trasmettono dai genitori ai figli, definite germinali, nei geni BRCA1 e BRCA2 aumentano il rischio di sviluppare un tumore al seno e/o all’ovaio rispetto a chi non ha queste mutazioni.
È ormai prassi consolidata anche in Italia testare la presenza di mutazioni nei geni BRCA1 e 2 nelle donne a cui viene diagnosticato un tumore sieroso ad alto grado, cosa che può essere fatta attraverso un semplice prelievo di sangue. In presenza di una o più mutazioni, alla paziente verrà consigliato un consulto genetico per valutare il rischio che anche parenti più vicine (figlia, sorelle e nipote) possano contrarre la malattia.
La storia di Angelina Jolie ne è un esempio: l’attrice, infatti, dopo la perdita della nonna, della mamma e della zia per questa patologia, ha scoperto di essere portatrice di mutazioni nei geni BRCA1 e BRCA2 e ha scelto di ridurre il rischio di ammalarsi facendosi asportare prima entrambi i seni e poi ovaie e tube di Falloppio. Anche la top model Bianca Balti ha subito a dicembre 2022 una mastectomia bilaterale profilattica perché portatrice del gene BRCA 1, manifestando l'intenzione di sottoporsi anche alla rimozione delle ovaie, come la Jolie. Purtroppo a settembre 2024 ha fatto sapere di avere un tumore ovarico al terzo stadio.
Sono 3 i potenziali campanelli d’allarme di cui le donne dovrebbero tenere conto in quanto possibili indicatori precoci della presenza di un cancro delle ovaie:
Tra gli altri possibili sintomi sono inclusi dolore addominale o pelvico, sanguinamento vaginale, stipsi o diarrea e anche sensazione di estrema stanchezza. Nelle fasi più avanzate di malattia potrebbero presentarsi anche senso di nausea, perdita di appetito e senso di pienezza subito dopo aver iniziato il pasto.
Gli esperti rimarcano però anche quanto generici siano molti di questi disturbi, che potrebbero essere legati a cause che non hanno nulla a che vedere con un tumore dell’ovaio. Se questi sintomi si presentano insieme (o in rapida sequenza) all’improvviso, con in aggiunta una sensazione di sazietà anche a stomaco vuoto, allora occorre prestare particolare attenzione. In tal caso può essere consigliabile rivolgersi al medico per un eventuale accertamento.
Il tumore dell’ovaio non dà infatti sintomi nelle fasi iniziali. Il tumore dell'ovaio è infatti una malattia molto subdola e l’assenza di sintomi precisi ne rende difficile la diagnosi precoce. La sintomatologia classica, cioè dolore al basso ventre, addome gonfio, sanguinamento vaginale difficoltà digestive, stipsi o diarrea, sensazione di stanchezza, frequente necessità di urinare, mal di schiena è spesso molto generica ed aspecifica e potrebbe essere legata a cause che non hanno nulla a che vedere con un tumore dell’ovaio.
Purtroppo, non esistono ad oggi test di screening utili ad effettuare una diagnosi precoce del tumore dell’ovaio. Per questa ragione, insieme poi alla mancanza di sintomi specifici, nella maggior parte dei casi la diagnosi viene fatta ad uno stadio avanzato della malattia.
Il percorso diagnostico da seguire in caso di sospetto tumore dell'ovaio prevede:
La chirurgia rappresenta il trattamento terapeutico di prima linea: più il chirurgo sarà scrupoloso nel riconoscere e rimuovere la massa tumorale e le eventuali metastasi, maggiore sarà la sopravvivenza delle pazienti. Inoltre, i dati riportati in letteratura dimostrano chiaramente che le percentuali di guarigione sono più alte se le pazienti vengono curate nei centri ospedalieri d’eccellenza per il tumore ovarico.
Oltre alla rimozione di una o di entrambe le ovaie e delle tube di Falloppio, il chirurgo potrebbe essere costretto a rimuovere anche:
Da segnalare un approccio attualmente piuttosto diffuso nell’approccio iniziale della malattia che è quello di far precedere all’intervento chirurgico un breve ciclo di chemioterapia denominata “neoadiuvante”, finalizzata a ridurre la massa tumorale e semplificare l’intervento chirurgico.
In ogni caso, dopo la chirurgia, le pazienti devono sottoporsi a chemioterapia, allo scopo di eliminare tutte le eventuali cellule maligne rimaste.
Questa chemioterapia, che prevede due farmaci da somministrarsi insieme (carboplatino e taxolo) e rimane il caposaldo da molti anni della terapia farmacologica del tumore ovarico, si sta arricchendo di nuove proposte terapeutiche cosiddette di mantenimento.
L’avvento dei farmaci che contrastano la formazione dei vasi sanguigni, chiamati anti-angiogenici, ha portato alla approvazione di bevacizumab, un anticorpo monoclonale usato come antitumorale e somministrato per circa un anno dopo la chemioterapia, specie nelle pazienti a maggior rischio.
Recentemente è stata introdotta, in prima linea e anche in linee successive, una nuova categoria di farmaci gli “inibitori di PARP” (PARPi), piccole molecole capaci di inibire la proteina PARP coinvolta nei processi di riparazione del DNA. Questi farmaci sono caratterizzati da una notevole efficacia clinica, soprattutto in pazienti con un sistema di riparazione del DNA difettoso a causa di mutazioni nei geni BRCA1 e 2 o in geni coinvolti in un altro meccanismo di riparazione del DNA, chiamato ricombinazione omologa o HR (dall’inglese homologous recombination). A differenza delle altre terapie farmacologiche, i PARPi possono essere assunti per via orale quotidianamente, senza la necessità di recarsi in ospedale, per un periodo generalmente di due anni dopo la fine della chemioterapia.
L’immunoterapia, che ha dato risultati sorprendenti in altri tumori (melanoma, tumore del colon, tumore dell’endometrio) non ha invece finora dato risultati soddisfacenti nel tumore dell’ovaio.
All’orizzonte si vedono molti filoni di ricerca e tra i più promettenti, ad un passo dall’introduzione in clinica anche in Italia (già approvato in USA e dall’Agenzia Europea per i medicinali) una modalità più intelligente di fare chemioterapia: è la nuova categoria di farmaci denominata coniugato anticorpo-farmaco. La sostanza chemioterapica, in questo caso, non viene più somministrata a tutte le cellule indiscriminatamente ma legata ad un anticorpo monoclonale progettato per legarsi a recettori specifici sulle cellule tumorali. Una volta agganciato il recettore, come fosse un cavallo di Troia, fa entrare il farmaco che uccide la cellula.
Le pazienti affette da carcinoma dell’ovaio possono scegliere di rivolgersi a centri specializzati per avvalersi delle migliori cure oggi disponibili.
I centri sono:
Il team che seguirà la paziente è generalmente costituito da ginecologi specializzati in oncologia e chirurghi specializzati in chirurgia ginecologica oncologica.
Sono tanti oggi gli studi clinici sperimentali a livello mondiale a cui le pazienti possono prendere parte e molti sono i centri italiani coinvolti.
Per accedervi, la paziente dovrà rivolgersi al proprio oncologo, che valuterà il possesso di determinati requisiti per partecipare e le segnalerà lo studio a lei più appropriato.
Negli ultimi anni sono fiorite anche in Italia diverse associazioni che raggruppano donne con storia personale e famigliare di tumore ovarico.
Tra gli obiettivi delle associazioni troviamo:
L'associazione più conosciuta in Italia è l'Acto Onlus - Alleanza contro il Tumore ovarico, nata con l'obiettivo di unire in una vera e propria alleanza pazienti, ricercatori, medici, strutture sul territorio, imprese, uomini e donne di buona volontà intenzionati a collaborare. Ciascuna di queste persone mette a disposizione le proprie competenze per la lotta contro il cancro all'ovaio.
Una delle principali aree di ricerca del Dipartimento di Oncologia è proprio il tumore ovarico.
Già nei primi anni ‘80, in collaborazione con l’Ospedale San Gerardo di Monza, i ricercatori dell'Istituto hanno creato Pandora, una “biobanca” che raccoglie campioni biologici di oltre 1700 pazienti con una storia clinica dettagliata di oltre 20 anni. È proprio grazie alle preziose informazioni ricavate da questo materiale che i ricercatori, studiando tumori dell’ovaio allo stadio precoce (stadio I), hanno identificato delle piccole molecole di materiale genetico, chiamate microRNA. Analizzando i microRNA si riesce a predire quale sarà l'evoluzione del tumore stesso.
In uno studio che ha avuto origine presso l'Istituto Mario Negri è stata dimostrata la presenza di DNA tumorale del carcinoma ovarico già in PAP test (esame di prevenzione e diagnosi del carcinoma del collo dell'utero, riconducibile al Papilloma-Virus) eseguiti anni prima della diagnosi di carcinoma dell'ovaio. Questi dati suggeriscono che le analisi molecolari messe a punto potrebbero consentire una diagnosi precoce del tumore.
Inoltre, sempre nel Dipartimento di Oncologia, negli ultimi 20 anni sono stati messi a punto diversi modelli preclinici di tumore ovarico. Questi modelli si ottengono trapiantando frammenti di tumore proveniente da pazienti in topi immunodeficienti che, mancando di sistema immunitario, permettono al tumore umano di crescere. Oggi sono disponibili circa 60 nuovi modelli di carcinoma ovarico che saranno utilissimi non solo per studiare processi biologici chiave di questa patologia, ma anche per capire perché alcuni tumori rispondono alla terapia e altri no. Inoltre sono stati messi a punto dei modelli resistenti ai farmaci usati nel trattamento del carcinoma ovarico (composti a base di platino e inibitori di PARP) che si stanno studiando per capire i possibili meccanismi alla base della mancata risposta ai suddetti farmaci e per trovare nuove combinazioni per prevenire o superare tale resistenza.
Tutto questo permetterà in un futuro non troppo prossimo la messa a punto di nuove ed efficaci strategie terapeutiche per combattere uno dei tumori più temuti.
Con la consulenza di :
Giovanna Damia - Laboratorio di Farmacologia Molecolare, Dipartimento di Oncologia
Roldano Fossati - Lab. Metodologia per la Ricerca Clinica, Dipartimento di Oncologia
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Editing Raffaella Gatta (marzo 2021)
Ultimo aggiornamento ed editing: Ufficio Comunicazione (gennaio 2025)