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Il trauma cranico sportivo, chiamato anche commozione cerebrale, non si associa a fratture del cranio e comporta un danno al cervello con sintomi transitori come:
Le conseguenze di una singola commozione cerebrale solitamente sono modeste e transitorie.
Viceversa, l’esposizione ripetuta a traumi cranici anche di lieve entità aumenta il rischio di neurodegenerazione cronica e predispone alla demenza in età avanzata.
Diversi studi (The spectrum of disease in chronic traumatic encephalopathy, Traumatic brain injury is associated with subsequent neurologic and psychiatric disease: a meta-analysis) hanno infatti dimostrato che gli atleti che hanno praticato per molti anni sport che espongono a collisioni ad alta velocità hanno un rischio maggiore di sviluppare malattia di Alzheimer, Parkinson e più in generale problemi di memoria, alterazioni dell’umore e del controllo motorio, anni dopo il termine dell’attività sportiva. Solo negli Stati Uniti il 60% degli sportivi conferma di aver avuto almeno una commozione cerebrale durante la sua carriera. A causa della transitorietà dei sintomi acuti, la diagnosi spesso è difficile, quindi i casi totali potrebbero essere addirittura di più. Per questo motivo il trauma cranico lieve oggi viene descritto come un’epidemia silente con crescente preoccupazione in Europa e negli Stati Uniti per il suo impatto nello sport sia amatoriale che professionale.
Il trauma cranico sportivo è stato storicamente associato agli atleti che praticavano la boxe. Risale, infatti, al 1928 il primo studio che riportava le conseguenze croniche di chi per anni aveva praticato tale sport. Nel tempo si è compreso che anche altri sport, in cui si hanno impatti ad alta intensità, possono avere conseguenze croniche, anni dopo il termine della pratica sportiva.
Il trauma cranico di tipo sportivo è molto frequente nel football americano, rugby, hockey, pugilato. Si può, però, verificare anche in tutte quelle situazioni in cui si ha una brusca accelerazione/decelerazione della testa. Anche sport non strettamente definiti “da contatto“ come ad esempio il calcio, possono esporre a questo tipo di trauma.
Gli urti e i bruschi cambi di velocità che avvengono durante gli sport da contatto imprimono forze di accelerazione/decelerazione al cervello. Ciò comporta un allungamento improvviso di una componente delle cellule nervose. Questa componente chiamata assone è fondamentale perché permette la connessione tra le diverse aree del cervello. Il danno prodotto in seguito dallo stiramento degli assoni danneggia i neuroni stessi e innesca processi neurodegenerativi che sono alla base degli effetti a lungo termine del trauma cranico sportivo.
I meccanismi che portano al danno che si genera dopo una commozione cerebrale, oltre allo stiramento degli assoni, sono:
Non esistono trattamenti specifici in grado di prevenire gli effetti a lungo termine del trauma cranico di tipo sportivo.
E’ anche necessario affinare gli strumenti diagnostici di cui disponiamo per poter monitorare i danni microscopici causati del trauma cranico lieve. I danni strutturali al cervello sono così limitati da non essere evidenziati dalla diagnostica per immagini come la tomografia assiale computerizzata (TAC). Recenti studi (CSF and Blood Neurofilament Levels in Athletes Participating in Physical Contact Sports: A Systematic Review, Plasma glial fibrillary acidic protein and neurofilament light chain, but not tau, are biomarkers of sports-related mild traumatic brain injury) volti a valutare la presenza nel sangue di molecole indicative di danno cerebrale hanno individuato una proteina di origine assonale (NfL neuro filament light) sensibile al danno traumatico sportivo. La misurazione di questa molecola nel sangue potrà permettere di identificare gli sportivi che a seguito di una commozione cerebrale saranno più a rischio di sviluppare conseguenze a lungo termine.
Studi recenti (Neurodegenerative Disease Mortality among Former Professional Soccer Players, Association of Field Position and Career Length With Risk of Neurodegenerative Disease in Male Former Professional Soccer Players) hanno evidenziato come anche impatti di bassa entità (come ad esempio un colpo di testa a calcio) se frequenti e ripetuti in un breve lasso temporale, possono provocare effetti a lungo termine.
Le conseguenze a lungo termine del trauma cranico sportivo si possono contrastare garantendo un periodo sufficientemente lungo di riposo a seguito di un trauma prima di tornare a svolgere nuovamente la pratica sportiva. Questo è estremamente importante soprattutto per chi pratica sport in età adolescenziale quando il cervello, ancora in fase di sviluppo, è più sensibile agli eventi traumatici. Inoltre, è possibile intervenire introducendo nuove regolamentazioni volte a ridurre la frequenza degli impatti nelle pratiche sportive ad alto rischio. L’Inghilterra dal 2020 ha stilato nuove linee guida per il calcio con la raccomandazione per i ragazzi al di sotto dei 18 anni di non effettuare colpi di testa e per gli adulti di limitare ad un massimo di 10 il numero di impatti alla settimana.
Da anni il Laboratorio di Danno Cerebrale Acuto e Strategie Terapeutiche sta studiando il meccanismo responsabile della transizione da danno cerebrale acuto a malattia cronica neurodegenerativa. E' stato dimostrato che interferire con l’accumulo di una forma anomala della proteina tau, in grado di auto-propagarsi e contribuire al danno a lungo termine, possa avere effetti terapeutici. Le pubblicazioni di riferimento sono:
Inoltre, in un modello sperimentale di trauma cranico sportivo recentemente sviluppato in laboratorio, è stato dimostrato che la misurazione di una proteina nel sangue, chiamata neurofilamento leggero, entro 7 giorni dal trauma predice il danno neurologico e anatomico cronico, osservato 1 anno dopo.
Elisa R. Zanier e Federico Moro - Laboratorio Trauma Cranico e Neuroprotezione - Dipartimento di Danno Cerebrale e Cardiovascolare Acuto
Editing Raffaella Gatta -Content manager