Ogni minuto, nel mondo, 130 persone subiscono un trauma cranico. Il trauma cranico porta a grave disabilità cronica cognitiva e/o motoria in un’alta percentuale di pazienti. Attualmente non siamo in grado di predire il decorso clinico di questi pazienti con sufficiente precisione. Questo è attribuibile a un’imperfetta conoscenza della patofisiologia del danno cerebrale post-traumatico e delle variabili biologiche associate ad una prognosi peggiore.
Comprendere i meccanismi responsabili dell’evoluzione del danno cerebrale permetterà di identificare i soggetti a maggior rischio di esito sfavorevole e sviluppare terapie personalizzate per i pazienti con trauma cranico.
Obiettivo del nostro laboratorio è quello di:
- migliorare la predittività dei modelli sperimentali;
- comprendere i meccanismi di danno cerebrale in relazione alla gravità dell’evento traumatico e a varianti biologiche del soggetto come età e sesso;
- integrare approcci di imaging avanzato e componenti diagnostiche ottiche, fluidiche ed elettriche per misurare simultaneamente l’attività neuronale, le alterazioni bioenergetiche e gli eventi molecolari conseguenti al trauma cranico;
- sviluppare terapie per il danno cerebrale acuto e le conseguenze croniche.
Tauma cranico ed esiti cronici
Il trauma cranico porta a grave disabilità cronica cognitiva e/o motoria in un’alta percentuale di pazienti e rappresenta un importante fattore di rischio per l’insorgenza di demenze come l’Alzheimer e l’encefalopatia cronica post-traumatica. Analizzando il cervello di individui deceduti anni dopo un trauma cranico, abbiamo documentato la formazione di aggregati della proteina tau, tipica di alcune demenze. Nel modello animale abbiamo osservato che un singolo trauma cranico induce processi neuroinfiammatori e neurodegenerativi che si propagano nel cervello coinvolgendo in fase cronica aree cerebrali remote rispetto alla sede iniziale del danno. In collaborazione con il Laboratorio di Neurobiologia dei Prioni, abbiamo osservato che in seguito a trauma cranico si genera una forma di proteina tau (tauTBI) in grado di auto-propagarsi e di indurre un danno cognitivo progressivo, spiegando come un trauma biomeccanico possa evolvere in una malattia neurodegenerativa. In collaborazione con il Laboratorio di Patologia Umana in Organismi Modello abbiamo messo a punto un modello nel nematode con il quale abbiamo dimostrato il ruolo centrale di tauTBI nell’induzione dei processi patologici conseguenti a TBI. Avvalendoci di questi modelli è in corso uno screening di farmaci che possano inibire la formazione di tau patologica ed arrestare la neurodegenerazione.
Biomarcatori ematici di trauma cranico
Un biomarcatore ematico è una sostanza presente nel sangue che fornisce informazioni sullo stato di salute di una persona. Può indicare la presenza di una malattia, il funzionamento di un organo o la risposta a un trattamento medico. Esempi comuni sono il glucosio per il diabete e il colesterolo per il rischio cardiovascolare. I biomarcatori ematici sono strumenti fondamentali per comprendere la fisiopatologia del trauma cranico e sviluppare nuove terapie. I livelli di proteine come il neurofilamento leggero, rilasciato dai neuroni dopo un danno, possono essere indicatori di progressione della malattia e possono essere analizzati in maniera semplice e poco invasiva, rendendoli essenziali nella ricerca. Tuttavia, la loro integrazione negli studi preclinici su modelli animali è ancora limitata. Per colmare questa lacuna, il nostro laboratorio si dedica alla caratterizzazione delle variazioni delle proteine circolanti in diverse fasi post-trauma. Recentemente, abbiamo condotto e pubblicato una revisione sistematica sui biomarcatori preclinici del trauma cranico, evidenziando che nei roditori questi marcatori seguono un andamento simile a quello osservate nell’uomo. Questo permette di calibrare meglio i modelli preclinici, rendendoli più aderenti alla realtà clinica. Inoltre, comprendere nei modelli la risposta dei biomarcatori alle terapie – riduzione con trattamenti efficaci ad aumento con agenti tossici – permetterà di incorporarli come indicatori di risposta terapeutica nello sviluppo di nuovi farmaci nei pazienti. Per migliorare ulteriormente la traslazione dalla ricerca preclinica alla pratica clinica, sarà essenziale approfondire l’andamento dei biomarcatori nelle fasi subacute e croniche del trauma cranico. Un approccio basato su biomarcatori affidabili potrebbe affinare la scelta dei modelli sperimentali e accelerare lo sviluppo di terapie neuroprotettive efficaci. Il trauma cranico è uno dei fattori di rischio per lo sviluppo di demenza e malattia di Alzheimer, tuttavia non siamo in grado di predire acutamente quali pazienti potrebbero andare incontro a declino cognitivo. Stiamo conducendo delle analisi in parallelo su campioni ematici di pazienti TBI e pazienti con declino cognitivo ampiamente caratterizzati clinicamente e tramite neuroimaging. L’obiettivo dello studio è quello di condurre una profilazione di biomarcatori plasmatici, indicatori di danno neuronale, disfunzione sinaptica e danno alla barriera ematoencefalica al fine di identificare un "fingerprint" biologico associato al declino cognitivo in corso, per migliorare la prognosi dei pazienti e prevedere i rischi di progressione da un primo stadio di compromissione cognitiva a un deterioramento più avanzato e alla demenza. I risultati potrebbero avere un impatto significativo nello sviluppo di nuove strategie per diagnosticare e mitigare il rischio di progressione della malattia nei pazienti con TBI e demenza, migliorando la qualità della vita per una parte significativa della popolazione e influendo in modo rilevante sul sistema sanitario.
Epilessia post traumatica
L’epilessia post-traumatica rappresenta il 10% di tutte le epilessie ed è una grave conseguenza neurologica del trauma cranico. L’epilessia post-traumatica si può sviluppare anche molti anni dopo l’evento traumatico. Tuttavia, ad oggi non abbiamo strumenti diagnostici in grado di individuare i pazienti ad alto rischio di sviluppare questa complicanza. Con il Laboratorio di Epilessia e Strategie Terapeutiche, stiamo conducendo una serie di studi nei modelli animali e nei pazienti per identificare una combinazione di biomarcatori predittivi di epilessia post-traumatica, utilizzando un approccio combinato che include studi di MRI, EEG, e la ricerca di proteine circolanti. Sapere in anticipo quali siano i pazienti con trauma cranico che andranno incontro ad epilessia potrebbe avere implicazioni enormi per interventi atti a prevenire l’insorgenza o a rallentare/attenuare il decorso della malattia. Nel modello murino, abbiamo identificato un pattern EEG che a 7 giorni dal trauma ci permette di stratificare i soggetti in base al rischio di sviluppo di epilessia-post traumatica. Studi in corso sono volti a chiarirne la rilevanza in una coorte di pazienti. Stiamo inoltre studiando nel modello murino il coinvolgimento della neuroinfiammazione nell’esordio e progressione dell’epilessia e l’efficacia di terapie mirate a prevenirne lo sviluppo.
Emorragia subaracnoidea post-traumatica: ruolo della neuroinfiammazione
Uno dei predittori di outcome sfavorevole dopo il trauma cranico è la presenza di sangue nello spazio subaracnoideo. L’emorragia subaracnoidea (ESA) induce danno cerebrale attraverso una serie di eventi: il sanguinamento del vaso arterioso cerebrale iniziale determina un aumento repentino della pressione all’interno del cervello che dà origine a lesioni cerebrali precoci, responsabili della gravità clinica iniziale. La presenza di sangue nello spazio subaracnoideo determina una meningite chimica, fenomeni infiammatori persistenti ed un danno vascolare che nel 25% dei pazienti porta ad un’ischemia tardiva. Capire quali sono i meccanismi responsabili della progressione del danno cerebrale dopo emorragia subaracnoidea e che ruolo giochino i vari tipi di cellule infiammatorie nello sviluppo delle lesioni ischemiche tardive, è un aspetto fondamentale per la messa a punto di strategie terapeutiche. I nostri studi preliminari hanno mostrato che dopo ESA i pazienti hanno alti livelli liquorali di cellule T e che il loro livello è maggiore in caso di ischemia tardiva. Attualmente stiamo studiando il ruolo della risposta infiammatoria con particolare attenzione alle popolazioni di cellule T nello sviluppo di lesioni cerebrali precoci e tardive. Inoltre, stiamo valutando l’utilizzo di biomarcatori circolanti e di neuroimaging indicativi della gravità del danno cerebrale utili a valutare l’efficacia di nuove terapie per l’ESA.
Ruolo dell'asse intestino-microbiota-cervello nel trauma cranico
Evidenze sperimentali e cliniche suggeriscono un asse bidirezionale di comunicazione tra il cervello e il tratto gastrointestinale. Un trauma cranico, infatti, innesca una risposta infiammatoria acuta, che a sua volta può alterare la composizione del microbiota intestinale (disbiosi). La disbiosi intestinale, a sua volta, può amplificare la neuroinfiammazione attraverso la produzione di mediatori pro-infiammatori. Inoltre il trauma cranico induce una compromissione della barriera ematoencefalica, rendendo il cervello più vulnerabile a sostanze tossiche, e, contemporaneamente, si possono osservare alterazioni nella permeabilità intestinale, che permettono il passaggio di endotossine nel sangue, aggravando l'infiammazione sistemica e cerebrale. Sebbene questi meccanismi siano stati caratterizzati acutamente dopo il trauma cranico, non è noto quale sia il contributo dell’asse intestino-microbiota-cervello nell’evoluzione cronica del danno post-traumatico. Stiamo quindi conducendo un’analisi parallela nel nostro modello animale e nei pazienti (in collaborazione con Fondazione IRCCS San Gerardo dei Tintori - Monza e IRCCS Ospedale Policlinico San Martino - Genova), al fine di caratterizzare longitudinalmente la disfunzione intestinale e la disbiosi e correlarla con gli esiti neurologici cronici post traumatici. Inoltre, nel modello murino, stiamo studiando se trattamenti farmacologici volti a migliorare la funzionalità intestinale possano avere effetti benefici sull’esito neurologico e neuropatologico post traumatico, al fine di determinare una relazione di causa-effetto. In caso di efficacia nel modello animale, lo studio aprirebbe alla possibilità di identificare l’intestino come un ulteriore target farmacologico per il trauma cranico.
Interfacce neurali di nuova generazione per la ricerca sul danno cerebrale acuto
I cambiamenti neurofisiologici in modelli sperimentali di danno cerebrale acuto, come ictus e trauma cranico, sono alla base degli effetti a lungo termine e possono essere studiati grazie a innovative interfacce neurali basate su sonde ad alta densità di elettrodi. Questa tecnologia, sviluppata da Corticale Srl, un’azienda che si occupa di neuroelettronica, permette di monitorare l'attività cerebrale con un'elevata precisione spazio-temporale. L'obiettivo è comprendere come l'attività neurale si modifichi dopo un danno e in che modo queste variazioni influenzino il recupero, con la prospettiva di accelerare la scoperta di nuovi farmaci. Il progetto si concentra su tre aspetti principali: identificare i segnali elettrici cerebrali che indicano i primi processi negativi dopo un ictus o un trauma cranico, comprendere come queste alterazioni possano portare a condizioni croniche come epilessia, neurodegenerazione e demenza, e valutare l’efficacia delle terapie analizzando come i segnali cerebrali rispondano ai trattamenti.
Trauma cranico: cellule mesenchimali per la protezione cerebrale
Il trauma cranico innesca processi patologici acuti e cronici, comprendenti eventi infiammatori e alterazioni molecolari, che contribuiscono alla morte neuronale e conseguente perdita funzionale. Accanto a fenomeni neurotossici, il danno traumatico induce anche eventi benefici (neurogenesi, angiogenesi, modificazioni infiammatorie e plasticità sinaptica) volti a riparare il danno cerebrale. Questi eventi spontanei, tuttavia, sono limitati nel tempo e inefficaci nel contrastare l’evoluzione del danno post-traumatico e la loro stimolazione e amplificazione risulta cruciale al fine di mitigare/riparare il danno cerebrale. Nel modello animale abbiamo dimostrato che le cellule stromali mesenchimali (MSC) proteggono il cervello traumatizzato attraverso processi immunomodulatori, protettivi, riparativi e rigenerativi, che determinano un miglioramento funzionale e strutturale del danno post-traumatico. Le nostre ricerche hanno permesso di porre le basi per un primo studio clinico in corso in collaborazione con quattro ospedali Lombardi (Fondazione IRCCS San Gerardo dei Tintori di Monza, Fondazione IRCCS Ca’ Granda Policlinico di Milano, e ASST Ospedale Papa Giovanni XXIII di Bergamo, Niguarda, Ca’ Granda). Lo studio è finalizzato a verificare la sicurezza e l’efficacia del trattamento con MSC, somministrate per via endovenosa in pazienti con trauma cranico grave ricoverati in terapia intensiva, entro 48 ore dall’evento. I riscontri positivi che potrebbero emergere dallo studio sui pazienti avrebbero implicazioni terapeutiche di grande portata. Parallelamente, a livello preclinico, stiamo studiando il secretoma delle MSC, ovvero l’insieme dei fattori solubili rilasciati dalle cellule implicati nei processi di neuroriparazione e rigenerazione. Abbiamo dimostrato che la somministrazione del secretoma induce un miglioramento del danno funzionale e anatomico dopo trauma cranico sperimentale. Studi in corso sono volti a identificare i mediatori della protezione e definire gli aspetti che potrebbero influenzare la risposta terapeutica come l’eterogeneità del TBI, il sesso e l’età.
Trauma cranico e sport da contatto
L’esposizione ripetuta a traumi cranici anche se di lieve entità, come spesso avviene negli sport da contatto, aumenta il rischio di neurodegenerazione e predispone alla demenza in età avanzata. Ad oggi non esistono trattamenti specifici in grado di prevenire gli effetti a lungo termine del trauma cranico di tipo sportivo. Inoltre, è necessario affinare gli strumenti diagnostici in grado di monitorare i danni microscopici causati del trauma cranico lieve. Abbiamo sviluppato un modello murino di trauma cranico lieve e ripetuto in grado di replicare alcuni aspetti salienti della patologia umana come lo sviluppo di deficit cognitivi a lungo termine associato a neuroinfiammazione. Questo studio ci ha permesso di identificare che i valori plasmatici del neurofilamento leggero (NfL), una proteina di origine assonale, se misurati acutamente dopo trauma, sono in grado di informare sull’entità del danno alla sostanza bianca prima dello sviluppo della compromissione cognitiva a lungo termine. L’identificazione di nuovi biomarcatori potrebbe avere importanti implicazioni per la valutazione delle conseguenze a lungo termine del trauma cranico sportivo, e dell’efficacia di nuovi approcci terapeutici.
International Consensus on Cardiopulmonary Resuscitation.