Le malattie neurodegenerative sono un complesso di malattie neurologiche che comprende le più note e diffuse malattie di Alzheimer e Morbo di Parkinson ma anche quelle più rare, come le encefalopatie spongiformi.
Per comprendere i meccanismi di queste malattie è importante capire come è fatto e come funziona il sistema nervoso.
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Il sistema nervoso centrale è composto da:
Nelle malattie neurodegenerative sono coinvolte tutte e tre queste componenti, anche se sono solo i neuroni a subire un danno progressivo: questo danno compromette prima la comunicazione tra le cellule e poi l’intera struttura cellulare, fino a provocare la morte.
La comunicazione tra la fitta rete di neuroni avviene a livello dei punti di contatto, o sinapsi, tra due cellule nervose. Qui l’impulso elettrico si trasforma in segnale neurochimico con la liberazione di specifiche sostanze dette neurotrasmettitori. Se quindi le sinapsi vengono danneggiate, la funzionalità cerebrale viene compromessa.
Le cellule nervose non si replicano e, a parte la presenza di un numero limitato di cellule progenitrici, non hanno la possibilità di essere sostituite. Per questo motivo si parla di danno irreversibile dei neuroni.
Inoltre, ogni cellula nervosa svolge funzioni diverse, quindi una volta subito un danno, la manifestazione patologica sarà diversa a seconda della cellula colpita. Questa caratteristica è chiamata vulnerabilità selettiva, per cui:
Così come per il danno, anche la successiva morte delle cellule nervose è un evento comune a tutte le malattie neurodegenerative. I fenomeni capaci di causare la morte delle cellule nervose virtualmente in tutte le malattie neurodegenerative sono:
La combinazione dei diversi fenomeni può essere diversa e non è sempre facile stabilire la causa e l’effetto di due fenomeni dannosi.
Le malattie neurodegenerative danneggiano progressivamente il cervello e il sistema nervoso, portando alla perdita graduale di funzione. I sintomi delle malattie neurodegenerative possono variare a seconda del tipo di malattia e dello stadio di progressione, ma alcuni sintomi comuni includono:
È importante notare che non tutti gli individui con malattie neurodegenerative mostrano tutti questi sintomi e alcuni potrebbero avere sintomi aggiuntivi specifici della loro condizione. Inoltre, alcuni di questi sintomi possono essere causati da altre condizioni; quindi, è importante consultare un neurologo per una diagnosi accurata.
Le malattie neurodegenerative possono essere di natura:
Le mutazioni responsabili delle forme genetiche sono caratterizzate da una capacità maggiore o minore di causare la malattia. Questo parametro viene definito penetranza e può dipendere da molti fattori ma generalmente è un dato a cui si può risalire dalla storia familiare. Ovviamente solo studi genetici mirati possono stimare con sufficiente precisione il livello di penetranza.
Accanto al ruolo causale di specifiche mutazioni esistono poi alterazioni all’interno di alcuni geni che costituiscono un fattore di rischio per lo sviluppo della malattia, cioè non portano inevitabilmente alla malattia ma ne favoriscono l’insorgenza e la progressione. Il concetto di fattore di rischio va oltre la componente genetica e può essere anche di tipo ambientale, stili di vita, dieta, ecc.
L’analisi clinica e dei sintomi insieme agli esami strumentali utilizzati hanno fatto notevoli progressi anche se spesso capita che solo al momento dell’autopsia si confermi con certezza la diagnosi di una specifica malattia neurodegenerativa. Generalmente, comunque, le forme genetiche sono più precoci.
Un fenomeno importante per comprendere i meccanismi biologici responsabili delle malattie neurodegenerative è la costante presenza nell’encefalo dei soggetti affetti di aggregati proteici. Gli aggregati sono vere e proprie “matasse” di proteine che si accumulano sia tra le cellule del cervello sia all’interno delle cellule stesse e, nel caso della Corea di Huntington, addirittura nel nucleo della cellula.
Non è ancora stato chiarito dal punto di vista molecolare come questi aggregati proteici possano portare alla comparsa delle patologie neurodegenerative e cioè se sono responsabili del danno ai neuroni. Certo è che l’accumulo di queste proteine, diverse per ogni patologia, è un fenomeno che avviene nella prima fase della malattia e in alcuni casi molto tempo prima che la malattia si manifesti da un punto di vista clinico.
Studi recenti hanno dimostrato che non sono i grossi aggregati in sé a produrre il danno ai neuroni ma piccole forme solubili, detti oligomeri: infatti con il termine oligomeropatia si descrivono proprio tutte queste malattie.
Tra le caratteristiche comuni delle malattie neurodegenerative c’è la presenza di un importante stato infiammatorio: a livello cerebrale l’infiammazione, pur utilizzando gli stessi elementi coinvolti nella reazione infiammatoria in altre parti del corpo, assume delle caratteristiche del tutto particolari.
Per lungo tempo aspetti legati all’invecchiamento, come danno cognitivo e progressiva perdita delle capacità intellettive, sono stati attribuiti ai danni a carico dei vasi sanguigni (vascolari). In questi ultimi anni, invece, si è compreso che l’origine nella maggior parte dei casi di demenze è di tipo neurodegenerativo. Sono tuttavia numerose anche le forme miste, in cui la componente vascolare ha un ruolo rilevante.
Tra le forme più diffuse di demenze neurodegenerative oggi si possono riconoscere:
Esistono poi altre forme di demenze combinate con altre patologie neurologiche e comunque più rare.
La malattia di Alzheimer è la forma di demenza più diffusa ed è caratterizzata da una perdita progressiva delle capacità cognitive. Le forme genetiche della malattia si manifestano prima dei 65 anni ma rappresentano una percentuale molto modesta della casistica complessiva inferiore al 5%.
Questa patologia è legata all’invecchiamento: dopo gli 80 anni, infatti, colpisce ben un quarto della popolazione. L’invecchiamento e la familiarità sono quindi i due maggiori fattori di rischio per lo sviluppo della malattia.
Generalmente l’Alzheimer si manifesta con un deficit di memoria a breve termine, ma è piuttosto frequente che vengano colpite anche altre funzioni, come quelle relative al linguaggio o all’attenzione. La progressione della malattia come pure il disorientamento temporale e spaziale, le difficoltà di relazione sociali, la perdita progressiva di autonomia, seguono percorsi significativamente differenti.
A seconda del paziente, la malattia può progredire velocemente oppure svilupparsi più lentamente: sono diversi i fattori che possono influenzare la sua progressione, oltre al trattamento farmacologico. Certamente, uno stile di vita sano e “sociale” aiuta le funzioni cerebrali a rimanere attive e a rallentare l’inevitabile manifestazione dell’Alzheimer.
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La demenza frontotemporale (FTD) è una forma di demenza causata da una degenerazione delle cellule nervose di zone ben definite del cervello. FTD rappresenta il 10% di tutte le forme di demenza ma, a differenza delle altre, tende a insorgere in individui più giovani (tra i 40 e i 65 anni) di entrambi i sessi.
L’esordio di questa patologia neurodegenerativa è caratterizzato da disinibizione, apatia, alterazione della personalità e del linguaggio. La memoria sembra essere meno compromessa rispetto alla malattia di Alzheimer. L'orientamento è intatto così come le capacità motorie.
Esiste anche un’altra forma di FTD, anche se meno diffusa, ovvero la demenza semantica: quando ad essere coinvolto in maniera predominante è il lato sinistro del cervello, ad essere colpita è la capacità di comprendere le parole. Quando ad essere coinvolto maggiormente è il lato cerebrale destro, i pazienti presentano una progressiva incapacità di denominare gli oggetti (anomia) e un’ulteriore incapacità di riconoscere visi familiari (prosopoagnosia).
La demenza frontotemporale è una patologia spesso ereditaria e può essere dovuta a diverse mutazioni genetiche scoperte recentemente. La diagnosi non è semplice in quanto non esistono marcatori biologici affidabili; anche l’analisi attraverso la risonanza magnetica o la PET purtroppo non garantisce una diagnosi affidabile.
Dopo l’Alzheimer, il morbo di Parkinson è la seconda malattia neurodegenerativa più diffusa: colpisce soprattutto gli adulti ma può manifestarsi più raramente anche prima dei 40 anni.
La sintomatologia classica è basata su disturbi motori, rigidità e tremori, ma anche da alterazioni del sonno e decadimento cognitivo.
La causa di questa malattia neurodegenerativa è da ricondursi alla presenza nelle cellule del cervello di aggregati detti Corpi di Levy, dal nome del neurologo che per primo li ha descritti oltre un secolo fa. Recentemente è stato scoperto che la proteina alfa-sinucleina è la principale componente dei corpi di Levy, tanto che il ruolo patogenetico di questi aggregati nella malattia è stato confermato.
All’esordio, le prime cellule ad essere colpite sono quelle responsabili della produzione di dopamina. Tra tutte le malattie neurodegenerative il morbo di Parkinson è la patologia in cui è stato possibile elaborare con maggiore efficacia diverse strategie terapeutiche, basandosi sui sintomi: il trattamento con L-Dopa, introdotto negli anni Sessanta, è ancora oggi utilizzato insieme ad altri farmaci di nuova generazione.
Come nel morbo di Parkinson, anche la Demenza da corpi di Lewy è caratterizzata dalla presenza di aggregati di alfa-sinucleina all’interno delle cellule cerebrali, tanto che queste demenze vengono chiamate anche sinucleinopatie.
La Demenza da corpi di Lewy costituisce il 10-15% di tutte le forme neurodegenerative conosciute tanto da posizionarsi subito dopo il morbo di Alzheimer e la demenza vascolare. Interessa in egual modo entrambi i sessi ma, come la maggior parte delle demenze, colpisce più frequentemente gli over 65.
Da un punto di vista clinico questa malattia neurodegenerativa non è facilmente distinguibile dalle altre forme di demenza. Tuttavia, strumentazioni più recenti hanno permesso di migliorare la diagnosi differenziale.
Da un punto di vista terapeutico, come per l’Alzheimer, l’approccio è ancora basato su sintomi anche se sono in sperimentazione altre terapie mirate ad interferire con i meccanismi responsabili della patologia.
La Sclerosi Laterale Amiotrofica, conosciuta anche come SLA o malattia dei motoneuroni, è una malattia neurodegenerativa che colpisce il sistema nervoso centrale, caratterizzata da una progressiva perdita di controllo delle più importanti attività muscolari. Questa malattia colpisce la fascia degli adulti e può presentarsi in due forme:
L’incidenza globale è di 1,7 casi per 100.000 persone/anno, con circa 1.000 nuovi casi all’anno in Italia. La prevalenza globale è attualmente stimata attorno ai 200.000-300.000 casi, circa 5000 in Italia.
La SLA è una malattia rara: la sua causa è sconosciuta e in circa il 5-10% dei casi la malattia è ereditaria. Oggi non esiste ancora una cura per prevenire o bloccare questa malattia fatale.
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Le malattie da prioni, conosciute anche come encefalopatie spongiformi trasmissibili, sono malattie degenerative del sistema nervoso centrale che colpiscono l’uomo e altri mammiferi (scrapie negli ovini e morbo della Mucca Pazza nei bovini).
Nell’uomo le forme più comuni sono la malattia di Creutzfeldt-Jakob (CJD), l’insonnia fatale familiare (FFI) e la malattia di Gerstmann-Sträussler-Scheinker (GSS), tutte dipendenti da un’alterazione della struttura di una particolare proteina, chiamata proteina prionica. Questa proteina, che si accumula nel cervello come avviene nell’Alzheimer, ha anche un potenziale infettivo non ancora dimostrato per nessuna altra malattia neurodegenerativa.
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Negli ultimi decenni le conoscenze relative alla biologia delle malattie neurodegenerative sono cresciute esponenzialmente grazie alla ricerca. Tuttavia, queste conoscenze non si sono ancora tradotte in interventi in grado di agire sulle cause delle malattie interrompendo il processo degenerativo responsabile delle patologie (in gergo tecnico interventi terapeutici risolutivi).
Le terapie sono, infatti, ancora limitate ad azioni di tipo sintomatico. In alcuni casi, come nel Morbo di Parkinson, l’approccio terapeutico è comunque vario e dimostra un’efficacia prolungata nel tempo sebbene i trattamenti siano in grado di controllare solo i sintomi della malattia. Nella malattia di Alzheimer e nella demenza da Corpi di Lewy l’azione farmacologica ha un’efficacia più limitata e interessa solo una parte della popolazione affetta. Ancora più complesso è il trattamento delle demenze frontotemporali, per cui gli interventi per controllare il comportamento hanno un’efficacia parziale e nel complesso poco soddisfacente.
In fase di sperimentazione ci sono numerosi farmaci che hanno identificato l’accumulo della proteina beta-amiloide nell’Alzheimer e gli aggregati di alfa-sinucleina nel Parkinson come possibili target terapeutici.
Nel momento in cui insorgono, le malattie neurodegenerative sono caratterizzate da diverse manifestazioni cliniche che interessano vari aspetti della funzionalità nervosa, del comportamento motorio e di quello cognitivo. Solo uno specialista di neurologia potrà effettuare una diagnosi, basandosi su:
I farmaci sono ancora limitati e per questo motivo è importante ottenere una diagnosi precoce che consenta di sviluppare un percorso condiviso dal neurologo con il paziente e i suoi congiunti, spesso fondamentali nella gestione del malato e della malattia.
Gli studi che si svolgono al Mario Negri nel campo delle malattie neurodegenerative vanno dalla ricerca a livello molecolare, allo studio di modelli sperimentali, agli studi clinici per testare nuove strategie terapeutiche, fino alle indagini utili ad orientare l’assistenza e la gestione dei pazienti e l’accuratezza delle terapie in ambito geriatrico.
Gli obiettivi principali sono la cura del paziente e la scoperta di farmaci capaci di rallentare e addirittura fermare il processo degenerativo alla base delle malattie neurodegenerative.
Sono tanti i laboratori all’interno dell'Istituto che si occupano di demenze, di sclerosi laterale amiotrofica (SLA), di malattie da prioni e del morbo di Parkinson. Tutte queste ricerche vengono svolte in stretta collaborazione con cliniche neurologiche e con altri IRCCS della Rete di Neuroscienze e Neuroriabilitazione (RIN).
L’Istituto, inoltre, gestisce anche il Registro Regionale della SLA.
L’impegno dei ricercatori, soprattutto del Dipartimento di Neuroscienze, è volto a sviluppare modelli sperimentali utili a comprendere i meccanismi che portano all’insorgenza di queste malattie e a testare l’efficacia di possibili approcci terapeutici in un dialogo stretto con le evidenze che emergono a livello clinico. Alcuni farmaci studiati a livello sperimentale sono attualmente in uso in clinica, soprattutto quelli per la cura della SLA e della malattia da prioni.
I ricercatori sono impegnati anche nello studio di quelle sostanze misurabili all’interno dell’organismo, che permettano di monitorare lo sviluppo della malattia e l’efficacia di potenziali farmaci, sostanze chiamate biomarcatori. Poiché nel momento in cui compaiono i sintomi il processo neurodegenerativo è già biologicamente avanzato, avere a disposizione degli indicatori che in fase preclinica consentono di segnalare il processo patologico in corso è fondamentale per arrivare a terapie finalmente efficaci. Ancor di più poi se i biomarcatori risultano sensibili ai trattamenti terapeutici. A tal proposito è appena partito lo studio ProFFIle, che coinvolge oltre a laboratori dell’Istituto anche altri ricercatori in Spagna, Germania, Italia e Turchia, ed è finalizzato a identificare biomarcatori che possano predire l’insorgenza della malattia e monitorare l’effetto di potenziali terapie nei portatori della mutazione che causa l’Insonnia Fatale Familiare.
Oggi si cerca di orientare in maniera personalizzata la strategia terapeutica da adottare non solo osservano e analizzando parametri biologici e genetici, ma anche occupandosi di una corretta assistenza del paziente, un altro elemento fondamentale a cui l’Istituto con i suoi studi epidemiologici cerca di dare un contributo con ovvie ricadute sul Sistema Sanitario Nazionale.
Gianluigi Forloni - Capo Dipartimento di Neuroscienze
Editing Raffaella Gatta - Content manager