La Corea di Huntington è una malattia genetica rara che colpisce tra le 5 e le 10 persone ogni 100.000 individui ed ha un tasso di incidenza maggiore nell'Europa occidentale. E' una patologia che inteerssa il sistema nervoso centrale e che è caratterizzata da movimenti involontari.
La malattia o Corea di Huntington è una malattia neurodegenerativa, ereditaria e progressiva che compare normalmente attorno alla mezza età.
Il termine "core"a deriva dal greco e significa “danza”: chi soffre di questa patologia, infatti, è preda di movimenti coreici, cioè accidentali, rapidi, aritmici e non controllabili. Tali scatti involontari interessano soprattutto arti, viso, collo e tronco.
Il suo nome lo deve a George Huntington che, dopo essere stato a contatto con un gruppo di pazienti affetti da corea, nel 1872 a soli 22 anni è riuscito a fornire una brillante descrizione della malattia. Ha infatti colto diversi aspetti della patologia quali la natura ereditaria, l’inarrestabile progressione della disabilità, il disturbo mentale associato a comportamenti inappropriati e disinibiti, e la morte precoce.
Nella sua forma classica, i sintomi della malattia si manifestano in età adulta, intorno ai 40-50 anni, ma esistono anche forme più gravi con insorgenza intorno ai 20 anni.
La malattia di Huntington colpisce il sistema nervoso centrale, attaccando la coordinazione muscolare e determinando un declino cognitivo, fino a provocare nel paziente problemi di tipo psichiatrico. L’altro tratto distintivo dei pazienti affetti dalla malattia è la corea e il disturbo ipercinetico del movimento, caratterizzato da contrazioni involontarie irregolari.
L’ordine di comparsa di questi sintomi e la loro gravità possono variare notevolmente, per questo motivo risulta difficile diagnosticarla.
Altri sintomi comuni sono anche:
Man mano che la malattia progredisce, il paziente assume un’andatura instabile, posture inconsuete e i movimenti coreici si amplificano. Contestualmente a questi disturbi, si manifestano anche alterazioni del comportamento e un peggioramento delle capacità cognitive, fino ad uno stato di demenza grave. Inoltre, chi soffre di Corea di Huntington tende a isolarsi e a diventare apatico, e questo col tempo porta ad un impoverimento del linguaggio e ad una sempre minore capacità di esprimersi.
Nella fase avanzata della malattia di Huntington compaiono i seguenti disturbi motori che peggiorano fino alla totale perdita di autonomia:
Generalmente, la morte arriva 15-25 anni dopo l'insorgenza dei primi sintomi, a causa di un arresto cardiaco o di una polmonite ab ingestis, cioè un'infiammazione dei polmoni dovuta dall'ingresso di sostanze estranee, come ad esempio il cibo, nei bronchi.
La malattia di Huntington si manifesta, generalmente, in età adulta, colpisce con la stessa frequenza uomini e donne. I sintomi peggiorano con il passare degli anni (tra i 15 e i 25 anni) dal momento in cui appaiono i primi disturbi. I pazienti vanno incontro alla perdita progressiva della loro autonomia, richiedendo cure infermieristiche a tempo pieno. La morte è di solito dovuta a una causa secondaria, come l’insufficienza cardiaca, la polmonite e altre infezioni.
La causa della malattia di Huntington è una mutazione nel gene HTT, che da origine alla proteina huntingtina, mutazione che produce una ripetizione anomala di una specifica sequenza di DNA. Questo errore fa sì che la proteina assuma una forma sbagliata, diventando appiccicosa. Tante huntingtine, appiccicandosi, formano dei grovigli che danneggiano i neuroni.
I tre mattoncini del DNA (nucleotidi), che vengono ripetuti in serie molte volte, sono Citosina-Adenina-Guanina. La tripletta risultante, CAG, costituisce a sua volta un aminoacido, mattoncino delle proteine, chiamato Glutammina. Quindi, l’espansione del tratto trinucleotidico CAG porta alla formazione della proteina mutata caratterizzata quindi da una lunga coda di glutamine. Nelle persone sane la coda contiene fino a 35 unità di glutammina. Quando le unità di glutammina aumentano, la malattia di Huntington si manifesta: la proteina, infatti, risulta tossica per le cellule nervose, i neuroni, provocandone la morte in alcune aree del cervello.
La zona del cervello maggiormente colpita è quella più interna, ma col progredire della malattia vengono interessati anche i neuroni che si trovano nella corteccia, quindi più in superficie. In fase avanzata, l’atrofia interessa tutto il cervello, che diminuisce in peso e volume.
Più è lunga la coda poliglutamminica, più la malattia Huntington è precoce e più gravi sono i sintomi. Il numero di ripetizioni, inoltre, può aumentare man mano che si va avanti con le generazioni, portando col tempo alla comparsa di un fenotipo più grave all'interno di una stessa famiglia.
La malattia di Huntington è causata da un gene localizzato su un cromosoma autosomico, e cioè presente in entrambi i sessi. Per questo motivo colpisce in egual misura gli uomini e le donne. È una malattia di tipo dominante: quindi, basta una sola copia del gene mutato, derivante da uno dei due genitori, per ereditare la malattia.
In parole semplici, ciascun figlio (maschio o femmina) nato da un genitore malato ha un rischio del 50% di ereditare la corea di Huntington. Il gene mutato e patologico, infatti, prevale su quello sano, essendo presente in tutte le cellule dell'organismo sin dal momento del concepimento.
Quando nel 1993 è stato identificato il gene HTT, che se mutato causa la malattia di Huntington, la diagnosi iniziò ad essere fatta tramite un test genetico predittivo, capace di individuare la presenza della mutazione nel gene HTT nelle persone affette già prima dell’insorgenza dei sintomi. Questa scoperta offre la possibilità ad una persona a rischio di malattia, maggiorenne e non ancora sintomatica di eseguire il test genetico predittivo, per sapere o meno se si ammalerà in futuro, accompagnato da un periodo di preparazione al test durante il quale si è seguiti da specialisti in psicologia.
Quando invece la corea si manifesta all’improvviso, la diagnosi prevede:
L'ipotesi diagnostica è poi confermata dal test genetico, che rileva un'espansione uguale o superiore a 36 unità di glutammina nel gene dell'huntingtina.
Purtroppo, non esistono cure efficaci in grado di bloccare o prevenire l’insorgenza della malattia di Huntington.
Oggi si utilizzano farmaci palliativi che riescono ad attenuare i sintomi, senza però curare la causa della patologia, come ad esempio:
Ricoprono poi un ruolo importante anche le strategie non farmacologiche, che aiutano i pazienti a gestire i sintomi della malattia di Huntington. Ad esempio, la logopedia, la psicoterapia e la riabilitazione cognitiva, sono tutte utili a migliorare e ad aiutare la comunicazione e lo svolgimento autonomo delle attività quotidiane. Importante anche la fisioterapia e l’esercizio regolare per aiutare il mantenimento della coordinazione.
Per decidere come curare al meglio una persona che soffre di Corea di Huntington è necessario un team multidisciplinare composto da:
C’è stato un farmaco specifico per la malattia di Huntington in fase clinica avanzata: il Tominersen (RG6042). Questo farmaco è costituito da una molecola di DNA sintetico, capace di riconoscere e di appaiarsi in maniera “complementare” a quella dell’RNA messaggero del gene HTT, ovvero la molecola intermedia tra il gene e la proteina. Il legame tra l’RNA messaggero e la molecola antisenso (ASOs) blocca la produzione della proteina huntingtina. Questo porta a una minore formazione di proteina huntingtina mutata nei pazienti, ostacolando la causa della morte delle cellule nervose, e di conseguenza l’insorgenza e la progressione dei sintomi.
Il Tominersen è stato utilizzato nello studio Generation HD1: veniva somministrato attraverso una puntura lombare, infuso direttamente nel liquido cerebrospinale.
Nel mese di aprile 2020, Roche aveva annunciato che il reclutamento del trial clinico Generation HD1 era terminato con successo, ma a fine marzo 2021 l’azienda svizzera ha inaspettatamente interrotto la sperimentazione per mancanza di risultati positivi.
Rimangono in corso studi basati sulla stessa tipologia di farmaco nelle fasi cliniche iniziali (preclinica e fase I) e altri studi basati su terapie farmacologiche in fase I-III di cui ancora non si conoscono efficacia ed effetti collaterali.
“HUNTINGTON Onlus – La rete italiana della malattia di Huntington” nasce allo scopo di informare non solo i familiari, ma anche gli operatori della cura e dell’assistenza circa la natura della malattia e i diritti del malato, per migliorare la qualità di vita dei malati e alle loro famiglie.
È un’associazione che si occupa di offrire una risposta ai bisogni dei malati e delle loro famiglie, mettendo a disposizione conoscenze, esperienze e competenze. Inoltre, vuole collegare tutti coloro che in Italia e all’estero si dedicano alla malattia di Huntington per stimolare e sostenere la ricerca e per far conoscere le sperimentazioni più avanzate a livello mondiale.
Il Dipartimento di Biochimica e Farmacologia Molecolare, in collaborazione con l’Università degli Studi di Milano e con l’Istituto Neurologico “C. Besta”, sta portando avanti un progetto che vede il colesterolo come candidato per il trattamento della malattia di Huntington e, in particolare, il suo principale prodotto del metabolismo cerebrale, il 24-idrossi-colesterolo. Quest’ultimo, infatti, rappresenta un possibile indicatore (biomarker) della malattia.
Il colesterolo a livello del sistema nervoso centrale gioca un ruolo importante nella corretta connessione tra le cellule neuronali. Quello introdotto con la dieta, infatti, non può oltrepassare la barriera che isola il cervello dall’ambiente esterno (ematoencefalica) quindi le cellule cerebrali hanno la necessità di sintetizzarsi colesterolo ex novo.
È noto che nella malattia di Huntington si assiste a una ridotta produzione di colesterolo a livello cerebrale, che è una delle cause dei sintomi della malattia, insieme ad altri fattori, tra cui la presenza della proteina huntingtina mutata.
Il team di ricercatori ha scoperto che l’apporto di colesterolo a livello del cervello migliora il fenotipo in vivo di modelli animali della malattia di Huntington. Purtroppo però questo è stato possibile utilizzando delle strategie molto invasive e non traslabili all’uomo. Per questo motivo ora si sta testando un metodo non invasivo e facilmente traslabile in clinica come strategia per veicolare colesterolo al sistema nervoso centrale: la tecnica intranasale.
Parallelamente, i clinici dell’Istituto Neurologico “C. Besta” si sono occupati del reclutamento al tempo basale di pazienti a diversi stati di malattia, che saranno poi ricontattati a distanza di 2 anni, nel tentativo di valutare il 24-idrossi-colesterolo presente nel sangue come indicatore della progressione della malattia.
I ricercatori del Mario Negri stanno, poi, portando avanti anche un altro studio volto a impedire che le molecole di Hungtintina si aggreghino. E' stata individuata, infatti, l’area in cui avviene questo fenomeno al fine di identificare dei farmaci che lo blocchino.
Laura Colombo e Monica Favagrossa - Laboratorio di Biochimica e Chimica delle Proteine - Dipartimento di Biochimica e Farmacologia molecolare
Editing Raffaella Gatta - Content manager