La Nefropatia membranosa (NM), detta anche glomerulonefrite membranosa, è una malattia autoimmune piuttosto rara. La causa è da ricondursi alla produzione di anticorpi anomali (auto-anticorpi) da parte di cellule che in teoria dovrebbero proteggere l'organismo dalle infezioni. Questi anticorpi attaccano i glomeruli renali, riconoscendoli per errore come estranei, e si depositano sulla loro membrana basale, facendola risultare ispessita. L’infiammazione che ne deriva può danneggiare i reni alterandone la corretta capacità di filtraggio. Questa condizione porta ad un pericoloso accumulo nell’organismo di liquidi, sali minerali (in gergo tecnico elettroliti) e tossine, accumulo considerato una delle principali cause di sindrome nefrosica non diabetica negli adulti.
L'incidenza mondiale complessiva della NM è di circa 1 su 100.000. Il rapporto maschi-femmine è 2:1. La malattia è rara nei bambini.
Esistono due tipi di Nefropatia membranosa:
Non vi sono cause riconosciute per la Nefropatia membranosa. Quello che si sa, però, è che ad innescare il quadro patologico sia una serie di reazioni anomale del sistema di difesa del proprio corpo (sistema immunitario). La deposizione di anticorpi legati al proprio antigene sulla membrana basale dei capillari dei glomeruli aumenta la permeabilità della membrana stessa con conseguente perdita di proteine nelle urine.
Tra i principali sintomi e segni della Nefropatia membranosa ci sono:
La diagnosi di glomerulonefrite membranosa viene eseguita con una biopsia del tessuto renale a cui segue un esame istologico e uno di microscopia elettronica. Inoltre, attraverso un prelievo di sangue si procede con l’identificazione e la caratterizzazione di specifici anticorpi circolanti che reagiscono con antigeni glomerulari sulla membrana basale chiamati PLA2R e THSD7A.
Circa il 25% dei pazienti guarisce spontaneamente dalla malattia, ma la maggior parte rimane in questa condizione per molto tempo. Alla lunga, la malattia compromette la funzione del rene fino a che non si rende necessaria la dialisi o il trapianto.
Verso la metà degli anni '80 è stata proposta una terapia per questa malattia, con qualche successo, ma a prezzo di importanti effetti indesiderati, anche gravi. La terapia consisteva nella combinazione di cortisone ad alte dosi e di un immunosoppressore noto come ciclofosfamide.
Successivamente è stato proposto l'impiego di un altro immunosoppressore, la ciclosporina, farmaco normalmente impiegato per prevenire il rigetto e purtroppo nefrotossico.
Col tempo, i meccanismi alla base della malattia sono stati chiariti ed è stato possibile proporre interventi terapeutici più mirati. I ricercatori del Dipartimento di Medicina Renale, insieme ai medici dell’Ospedale di Bergamo, hanno documentato per primi nel 2002 che il rituximab, un anticorpo monoclonale che attacca un tipo particolare di cellule linfatiche responsabili - almeno in parte - del danno renale, era in grado di guarire totalmente o parzialmente dalla malattia. Rituximab è più sicuro di altri agenti immunosoppressori (tra i quali anche la ciclosporina), ha effetti indesiderati nettamente inferiori e induce remissione della malattia in circa due terzi dei pazienti trattati.
Recentemente è stato pubblicato uno studio condotto negli USA della Mayo Clinic di Rochester, che dimostra che la terapia con rituximab è più efficace e molto meno tossica di quella con ciclosporina nella cura della nefropatia membranosa. Lo studio ha coinvolto numerosi centri di Nefrologia americani che hanno complessivamente reclutato 130 pazienti. Circa un terzo dei pazienti però, dopo il primo trattamento con rituximab, va incontro a recidiva ed è necessario ripetere le somministrazioni di questo farmaco.
Esistono diverse condizioni in cui diventa difficile utilizzare la terapia con il Rituximab.
In alcuni pazienti, ad esempio, ripetute infusioni di rituximab possono provocare reazioni allergiche o di ipersensibilità, per cui questa terapia deve essere interrotta. Per cui, indipendentemente dalla risposta al trattamento, i pazienti intolleranti al rituximab necessitano di una terapia alternativa efficace e sicura che riduca il rischio di reazioni di ipersensibilità.
Altri pazienti, non sono proprio sensibili al rituximab e non vanno mai in remissione; altri ancora sono sensibili ma dopo essere andati in remissione continuano a recidivare per cui sono praticamente sempre con grave proteinuria (sindrome nefrosica).
Pertanto, per questa percentuale consistente di pazienti affetti da nefropatia membranosa, resistenti, dipendenti o intolleranti alla terapia con rituximab, è necessario individuare nuove opzioni terapeutiche.
I ricercatori del Dipartimento di Medicina Renale sono impegnati in prima linea sia nella ricerca di base, volta ad individuare i meccanismi che portano al manifestarsi della malattia, sia nella ricerca clinica, che ha l'obiettivo di migliorare la diagnosi, la prognosi e la cura della glomerulonefrite membranosa.
Nella sede di Ranica (BG) dell'Istituto Mario Negri, più precisamente presso il Centro di Ricerche Cliniche per le Malattie Rare Aldo e Cele Daccò, sono in corso due studi clinici che hanno l’obiettivo di valutare l'efficacia di due nuovi anticorpi monoclonali diversi dal rituximab. Il primo è un anticorpo monoclonale anti-CD20, di seconda generazione, chiamato Obinutuzumab (studio ORION); il secondo è un anticorpo monoclonale umano ricombinante anti-CD38, chiamato Felzartamab (studio MONET). Il target di questi due nuovi farmaci è di indurre la remissione della malattia in pazienti con nefropatia membranosa resistenti, dipendenti o intolleranti alla terapia con rituximab. Questi anticorpi si sono dimostrati efficaci in pazienti con altre malattie del sangue, nelle quali il rituximab non era stato efficace. Per cui è plausibile che questi anticorpi possano essere efficaci anche nei pazienti con nefropatia membranosa, che non hanno risposto al rituximab.
La partecipazione a questi studi è aperta a tutti i pazienti con Nefropatia membranosa, trattati con rituximab e nei quali questo trattamento o non ha mai funzionato, oppure continua ad associarsi a recidive o non è più tollerato.
Per maggiori informazioni in merito a questi studi scrivete a: orion@marionegri.it, monet@marionegri.it.
Piero Ruggenenti - Responsabile Unità Operativa Complessa Malattie Renali - Centro Clinico - Centro Aldo e Cele Daccò
Matias Trillini - Laboratorio Fasi Avanzate dello Sviluppo dei Farmaci nell'uomo - Unità Operativa Complessa Malattie Renali - Centro Clinico - Centro Aldo e Cele Daccò
Editing Raffaella Gatta - Content manager