Tutti speravamo che il 2021 sarebbe stato l’anno che avrebbe messo il punto alla pandemia. Purtroppo, però, la variante Omicron e l’immunità da lei generata non è riuscita a far estinguere definitivamente il virus.
Rispetto al Covid-19 causato dal virus SARS-CoV-2 originario nel febbraio 2020, oggi la malattia è cambiata, facendo sviluppare sintomi diversi rispetto a quelli delle varianti precedenti e colpendo principalmente le vie respiratorie superiori e meno i polmoni. La minor gravità del Covid di Omicron potrebbe essere dovuta sia alla variante stessa che ad un'immunità preesistente. In ogni caso, però, la sua straordinaria velocità di diffusione avrà importanti conseguenze sul futuro della pandemia. La capacità di infettare così tante persone in maniera così rapida potrebbe presto portare ad un’immunità globale, tanto da far diventare il Covid-19 una malattia più gestibile, come pensa anche William Hanage, professore di Epidemiologia dell’Università di Harvard.
In parte questo è già successo con la variante Delta. Infatti, se gli abitanti del Sudafrica hanno sperimentato una malattia meno grave con Omicron è proprio “grazie” all’immunità acquisita con la variante che l’ha preceduta. Purtroppo, però, non è per tutti così. Omicron, infatti, può ancora causare gravi malattie e decesso nelle persone che non hanno mai contratto il Covid-19 prima o che non si sono vaccinate. Da qui l’importanza di continuare con le campagne vaccinali per rendere davvero il Covid-19 più debole, alla luce di un altro dato preoccupante: il numero di reinfezioni segnalato nell’ultima settimana a cavallo tra febbraio e marzo 2022. Infatti, dopo una breve fase calante, la pandemia, purtroppo, è ripartita, anche a causa del fatto che l’immunità sviluppata in seguito ad infezione naturale o a vaccino cala nel tempo, tanto che una persona vaccinata o che ha già avuto il Covid può infettarsi nuovamente.
Ricordiamoci che esistono due tipi diversi di risposte immuni: una prima risposta guidata dagli anticorpi che neutralizzano direttamente il virus (i quali, però, durano poco e sono molto sensibili alle mutazioni delle varianti) e una seconda risposta guidata dalle cellule T, che eliminano le cellule infettate e con esse anche il virus, risposta questa con una durata molto più lunga e meno sensibile alle mutazioni.
Generalmente, per definire, come è stato fatto per altri virus, un modello matematico che preveda cosa succederà dopo Omicron, bisogna innanzitutto monitorare i dati tenendo in considerazione due caratteristiche fondamentali del virus: la frequenza e la severità delle ondate. La frequenza di future ondate, infatti, è strettamente collegata all’immunità di popolazione e ai cambiamenti genetici/biologici del virus. La severità, invece, dipende da diversi fattori, come ad esempio la capacità intrinseca di nuove varianti di far ammalare le persone. Un esempio viene da alcuni virus respiratori, come ad esempio quello dell’influenza o il virus respiratorio sinciziale (RSV), la cui diffusione è maggiore durante i mesi invernali.
Secondo diversi scienziati, però, è molto difficile definire un modello matematico relativo alla diffusione del SARS-CoV-2, in particolare di future varianti che arriveranno dopo Omicron, a causa dell’elevata velocità di diffusione di quest’ultima variante, BA.1, e di sua “sorella”, BA.2.
Stare dietro ai veloci cambiamenti nelle caratteristiche biologiche del virus è davvero complicato, tanto che Woolhouse, virologo all’Università di Edimburgo, semplifica la previsione dicendo che il Covid-19 diventerà effettivamente endemico solo quando tutti gli adulti saranno protetti contro la malattia grave, grazie a molteplici esposizioni al virus, come accade nei bambini che sviluppano così immunità naturale.
Alla luce di tutte queste considerazioni, gli scenari futuri possibili sono due.
Il primo, più ottimistico, prevede una convivenza con il SARS-CoV-2 tanto che il Covid-19 diventerà un’influenza dei mesi freddi. Molti si infetteranno, pochi però saranno ricoverati e ancor meno moriranno. I tassi di ospedalizzazione e morte saranno piuttosto bassi, se paragonati a quelli del 2020/2021.
Il secondo scenario, più pessimistico, prevede che il virus continuerà a mutare, dando vita a varianti più infettive e “immuno-evasive”, dotate cioè di così tante mutazioni da sfuggire del tutto all’immunità acquisita. Questo è un evento molto raro ma purtroppo probabile. È giusto dire che l’alto tasso di vaccinazione e l'immunità indotta da infezioni naturali sono garanzia di infezioni future lievi, ma questo concetto ignora un dogma centrale della biologia: l'evoluzione antigenica. Il virus, infatti, se messo sotto pressione, è in grado di sfuggire alla risposta immunitaria dall’ospite creando una combinazione potenzialmente dannosa tra la sua capacità di reinfettare e la sua elevata virulenza. A livello di popolazione, tutto questo si tradurrebbe in un aumento del carico sugli ospedali, a causa delle percentuali di reinfezione e di malattie gravi.
Una futura variante sarà quindi considerata pericolosa se “antigenicamente” molto diversa da Omicron e dalle precedenti, superando l'immunità sviluppata contro di loro.
Ma le cose peggiori possono portare anche a qualcosa di buono? Forse sì, se consideriamo il coronavirus l’occasione giusta per inventare qualcosa di diverso.
Giuseppe Remuzzi - Direttore Istituto di Ricerche Farmacologiche Mario Negri IRCCS
Editing Raffaella Gatta - Content Manager