Quali novità sul fronte della terapia farmacologica nei malati Covid-19 dall'inizio dell'emergenza sanitaria creata dal SARS-CoV-2?
Gli approcci terapeutici in corso di sperimentazione si focalizzano principalmente sull’inibizione della replicazione del virus, sulla riduzione della risposta infiammatoria e sull’inibizione della coagulazione.
Sono terapie che hanno lo scopo di bloccare la replicazione del virus e, quindi, di ridurre la durata e la gravità della malattia.
Al momento i farmaci sperimentati e usati nei pazienti con Covid-19 sono:
Tra i trattamenti che hanno come finalità principale il blocco della replicazione del virus e l’accelerazione della sua eliminazione può essere, inoltre, considerato l’uso del plasma da pazienti guariti. L’azione degli anticorpi prodotti da queste persone e presenti nel plasma, possono agire favorendo l’eliminazione del virus da parte del sistema immunitario.
Sono, poi, in corso di studio terapie con anticorpi monoclonali, i quali hanno come bersaglio la proteina spike del virus. Questi anticorpi "artificiali" mimano il meccanismo di protezione degli anticorpi prodotti dall’organismo in seguito all’infezione, allo scopo di neutralizzare il virus e impedire il suo ingresso all’interno delle cellule per replicarsi.
I farmaci antinfiammatori sono sperimentati con lo scopo di ridurre la reazione infiammatoria (tempesta citochinica) causato dal Covid-19, che può causare danni ai polmoni e ad altri organi (per esempio reni, cuore, vasi sanguigni). In questo ambito, tra le classi di farmaci da più tempo utilizzate ritroviamo:
I dati finora pubblicati su alcune medicine oggetto di sperimentazione (lopinavir/ritonavir, clorochina e idrossiclorochina) non documentano una loro efficacia, mentre al contrario a tutt’oggi ci sono prove scientifiche solide e conclusive solo sull’efficacia del trattamento con cortisonici nei pazienti che hanno forme gravi di Covid-19 (per esempio polmonite che richiede un supporto alla respirazione).
Il desametasone, farmaco cortisonico impiegato da molti anni, nei pazienti con distress respiratorio che necessitano di un supporto alla respirazione, in particolare quelli sottoposti a ventilazione meccanica invasiva riduce la mortalità di circa il 20%. Il beneficio è minore per i pazienti meno gravi (che ricevevano ossigeno ma senza bisogno del supporto del ventilatore) e pressoché assente in quelli che non necessitavano di alcun aiuto per la respirazione. L'Oms raccomanda l'impiego di questi farmaci nei pazienti in condizioni gravi o critiche.
Sono invece molto promettenti i dati derivanti dall'utilizzo fin dai primi sintomi della malattia di cortisone per inalazione: i risultati di uno studio pubblicato sulla rivista the Lancet hanno dimostrato che somministrazione precoce, per un breve periodo, di budesonide, cortisonico inalatorio da tempo impiegato nel trattamento dell’asma, riduce sia la probabilità di aver bisogno di cure mediche urgenti sia il tempo di recupero dopo il Covid -19. Se questi dati fossero confermati da altri studi, l'uso di medicinali a base di cortisone per inalazione potrebbe rappresentare un trattamento efficace per i primi sintomi di Covid -19, alleggerendo la pressione sui servizi sanitari di tutto il mondo in attesa di completare la campagna vaccinale contro SARS-Cov-2.
Dati non ancora definitivi sono, invece, a disposizione per altri farmaci di tipo antinfiammatorio, come il tocilizumab e gli inibitori della Janus chinasi (JAK) come il baricitinib. Gli studi disponibili, prevalentemente di tipo osservazionale, hanno mostrato una possibile diminuzione del rischio di ventilazione meccanica o morte associata all'impiego di questi farmaci. Come per i cortisonici, questi farmaci sono efficace nei pazienti più gravi, mentre in quelli lievi potrebbe non avere benefici o al contrario comportare rischi di aggravamento.
Tra i farmaci antivirali, il remdesivir è stato approvato per uso condizionato in Europa e negli Stati Uniti per il trattamento di Covid-19 nei pazienti di età maggiore di 11 anni affetti da polmonite e che necessitano di ossigeno supplementare: gli studi hanno documentato un beneficio nel ridurre la durata della malattia e del rischio di forme gravi, mentre l’impatto sulla mortalità è scarso o nullo.
Studi con una bassa numerosità hanno mostrato una diminuzione dell’accesso al pronto soccorso, del ricovero ospedaliero e della necessità di visite mediche in pazienti con sintomi lievi o moderati di Covid-19 trattati con gli anticorpi monoclonali che si legano alla proteina spike del SARS-CoV-2. Negli Stati Uniti alcuni di questi farmaci (bamlanivimab in associazione con etesevimab; combinazione di imdevimab e casirivimab) sono stati approvati per l’uso in emergenza dalla Food and Drug Administration. Il 4 febbraio 2021 anche l’Agenzia Italiana del Farmaco ha autorizzato in via straordinaria l’uso nei pazienti con sintomi lievi-moderati ad alto rischio di aggravamento per età o malattie croniche. I dati sono, però, ancora preliminari e non consentono una valutazione approfondita dell’efficacia. Inoltre, si tratta di terapie da somministrare per infusione endovenosa, in un ambiente protetto, che garantisca la possibilità di un'assistenza medica in caso di gravi reazioni alla terapia.
Infine, è degno di essere segnalato anche l’anticorpo monoclonale sotrovimab (VIR-7831), prodotto da GlaxoSmithKline e Vir Biotechnology: dati preliminari indicano che anche questo trattamento somministrato precocemente è in grado di ridurre il rischio di ricovero ospedaliero e la mortalità. È in corso la rolling review (revisione ciclica) da parte dell’EMA. A differenza degli altri anticorpi monoclonali, il sotrovimab può essere somministrato per via intramuscolare e non solo per via endovenosa e questo potrebbe rendere più agevole l’accesso a questo tipo di terapia.
Antonio Clavenna - Laboratorio di Farmacoepidemiologia - Dipartimento di Salute pubblica
Editing Raffaella Gatta - Content manager