L’antibiotico resistenza (dall’inglese AMR - AntiMicrobial Resistance) è uno dei principali problemi di sanità pubblica. Negli ultimi anni ha raggiunto proporzioni tali da indurre istituzioni nazionali e internazionali a lanciare l’allarme e a promuovere iniziative finalizzate al suo controllo. La raccolta di informazioni sulla presenza di antibiotici nell’ambiente risulta di particolare rilevanza per comprendere le dinamiche che regolano l’antibiotico-resistenza.
L’antibiotico resistenza (AMR) è il fenomeno che porta alcuni microrganismi a sviluppare resistenza ad un medicinale antimicrobico (antibiotici, antivirali e antiparassitari) verso cui erano sensibili in precedenza. Questa resistenza può derivare da mutazioni nel DNA o dall’acquisizione di pezzi di DNA di altri microrganismi.
Si tratta di un fenomeno che avviene naturalmente e che consente ai microrganismi di assicurarsi la sopravvivenza. I microrganismi resistenti, come batteri e virus, sono quindi in grado di resistere all’azione di farmaci come antibiotici, antivirali e antiparassitari e di causare infezioni persistenti. Se la resistenza viene acquisita anche da batteri capaci di causare infezioni e malattie nell’uomo, ecco che sopraggiunge una grave minaccia per la salute umana e una sfida per la sicurezza globale con significative implicazioni economiche.
L’utilizzo eccessivo o scorretto di antibiotici nell’uomo e negli animali ha favorito lo sviluppo e la proliferazione di resistenze specifiche nelle comunità batteriche ambientali, esposte agli effetti delle attività umane in tutto il pianeta. È ormai ben dimostrato, infatti, che l’abbondanza e la diversità di batteri resistenti nell’ambiente (acque di superficie, suoli, foreste) è strettamente correlata all’impatto causato localmente dalle attività umane. Infatti, sebbene una resistenza “naturale” sia presente in qualsiasi comunità batterica, c’è una forte evidenza che il numero totale di geni che conferiscono resistenza sia molto più elevato in una comunità batterica sottoposta a sostanze introdotte nell’ambiente dall’uomo, come appunto farmaci e disenfettanti (si parla in questo caso di pressione selettiva).
Nell’ultimo decennio, la ricerca scientifica ha confermato il ruolo dell’ambiente come serbatoio di resistenze (naturali e legate ad antibiotici sintetici) e come luogo di selezione e proliferazione di resistenza in presenza di microinquinanti. Ciò implica il rischio di trasmissione di resistenze dall’ambiente abitato dall’uomo ad agenti patogeni (come virus e batteri) tipici umani. Di conseguenza questo comporta che gli stessi trattamenti farmacologici, sia destinati all’uomo che agli animali, perdono la loro efficacia.
I farmaci, in generale, e gli antibiotici, in particolare, sono oggi considerati tra i principali inquinanti emergenti poiché sono presenti ovunque nell’ambiente. La contaminazione ambientale da farmaci è, dunque, un problema attuale, i cui effetti sulla salute dell’ambiente stesso e dell’uomo sono tuttora in via di definizione.
La principale fonte di contaminazione è data dall’utilizzo di farmaci a livello terapeutico nell’uomo e negli animali, mentre altre fonti, come ad esempio quelle industriali, risultano di minor entità e localizzate in aree definite.
Le sostanze parentali, ovvero quelle che rimangono nella forma originaria non modificata dal corpo umano, e i rispettivi metaboliti, prodotti dei processi di trasformazione che avvengono nell’organismo, vengono eliminati attraverso urine e feci e raggiungono le acque reflue urbane e gli impianti di depurazione delle acque, dove generalmente vengono rimossi solo parzialmente. Antibiotici e metaboliti finiscono così nei corsi d’acqua, nei laghi o nel mare attraverso le acque trattate, oppure nei suoli, mediante l’utilizzo dei fanghi di depurazione usati come concime in agricoltura. Gli allevamenti e gli impianti di acquacoltura sono delle fonti di immissione diretta nell’ambiente di farmaci ad uso veterinario, ma anche lo smaltimento improprio di farmaci scaduti ha un impatto importante.
La contaminazione ambientale da farmaci crea particolare preoccupazione a causa della continua immissione nell’ambiente in quantità rilevanti (decine di tonnellate annue in Italia). I farmaci vengono ritrovati nelle acque, nei suoli e nei sedimenti come molecole biologicamente attive, poiché sintetizzate per agire su particolari recettori nell’uomo e negli animali. La presenza di antibiotici nell’ambiente favorisce lo sviluppo e la proliferazione di resistenze specifiche nelle comunità batteriche. Queste resistenze creano situazioni pericolose per la salute dell’uomo e negli allevamenti animali, dove una resistenza spesso si traduce direttamente in un’infezione di difficile o impossibile trattamento.
L’Italia è uno dei paesi europei con il più elevato consumo di antibiotici e sviluppo di resistenze sia nell’uomo che negli animali. Per questo motivo, i ricercatori del Laboratorio di Indicatori Epidemiologici Ambientali hanno monitorato la presenza e i luoghi in cui finiscono gli antibiotici sul territorio nazionale, in studi pubblicati dal 2000 fino ad oggi. I risultati hanno dimostrato che gli antibiotici sono:
La presenza di antibiotici nei reflui trattati e nelle acque di superficie può creare altri potenziali rischi se queste vengono poi riutilizzate per l’irrigazione in agricoltura.
In Italia, i dati sul consumo di antibiotici (umano e veterinario) e sui ceppi resistenti riconosciuti in ambito ospedaliero variano in modo estremo da regione a regione (e ancor di più tra provincia e provincia). Questo suggerisce un diverso carico ambientale e quindi la necessità di sviluppare azioni mirate di controllo ed abbattimento a livello nazionale. Esiste oggi un Piano di Contrasto all’Antibiotico Resistenza (PNCAR) redatto dal Ministero della Salute volto a realizzare strategie di monitoraggio e definire azioni per contrastare lo sviluppo e la diffusione di resistenza in ambito clinico ed ambientale.
L’Antibiotico resistenza (ARM) mette in pericolo la sicurezza alimentare, il commercio internazionale, lo sviluppo economico e minaccia anche i progressi verso gli obiettivi di sviluppo sostenibile (SDG) definiti dall’Organizzazione Mondiale della Sanità (WHO). Inoltre, causa un aumento dei costi sanitari causati da ospedalizzazioni prolungate, da un numero maggiore di indagini cliniche e dalla necessità di terapie spesso più costose.
Il problema dell’AMR richiede pertanto un’azione veloce e decisa a livello internazionale che metta in campo il coordinamento e la collaborazione nell’ambito di ricerca e sviluppo, tenendo conto di tutti i settori coinvolti, come il settore umano (clinico), veterinario e ambientale (approccio definito One Health).
Ciascun cittadino può nel suo piccolo contribuire a salvaguardare sé stesso e l’ambiente, se educato ad un corretto uso degli antibiotici. Molto potrebbe fare una corretta formazione dei medici prescrittori e un corretto utilizzo e smaltimento da parte dei consumatori: effettuare prescrizioni o usare antibiotici solo quando strettamente necessari e poi smaltirli adeguatamente consegnandoli in farmacia.
In tutta Europa, e in particolare in Svezia, sono in corso esperimenti di “farmaceutica verde” con l’obiettivo di sviluppare farmaci eco-compatibili, cioè capaci di degradarsi più rapidamente nell’ambiente. Altre iniziative riguardano lo studio di processi di rimozione di farmaci più efficaci negli impianti di depurazione, in grado di ridurre i quantitativi che vengono immessi direttamente nell’ambiente.
Sara Castiglioni - Laboratorio di Indicatori Epidemiologici Ambientali - Dipartimento di Ambiente e Salute
Editing Raffaella Gatta - Content manager