Data prima pubblicazione
January 31, 2023

Malformazioni Cavernose Cerebrali (CCM) familiari: una nuova terapia con un “vecchio” farmaco per evitare la chirurgia

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Un farmaco dal costo di pochi euro ha rivoluzionato la cura di alcune malattie cardiovascolari a partire dagli anni ‘60.

Oggi lo stesso principio attivo, il propranololo, potrebbe “cambiare la storia clinica” delle Malformazioni Cavernose Cerebrali (CCM) familiari: una malattia rara che finora ha avuto come unico trattamento l’intervento chirurgico. Dati promettenti arrivano dallo studio Treat_CCM ideato dall’Istituto Fondazione di Oncologia Molecolare (IFOM) e dall’Istituto Mario Negri e che ha visto coinvolti sei ospedali italiani, punti di riferimento per la cura di questa patologia, coordinati dal Policlinico di Milano. Un lavoro finanziato dall’Agenzia Italiana del Farmaco (AIFA) con oltre 750.000 euro e recentemente pubblicato sulla rivista Lancet Neurology.

La CCM familiare è una malattia rara che causa dilatazione e fragilità dei vasi sanguigni a livello cerebrale e spinale (cavernomi o angiomi cavernosi). Si tratta di strutture gonfie di sangue rivestite da una parete molto sottile, responsabili di una serie di sintomi: dalle crisi epilettiche alle cefalee fino alle emorragie cerebrali e deficit neurologici. Quando si presentano i sintomi, l’unico trattamento finora disponibile è la neurochirurgia, una procedura invasiva e complessa soprattutto se il cavernoma si trova in zone delicate del cervello o del midollo spinale e in presenza di numerose lesioni.

Grazie alle ricerche effettuate dal team guidato da Elisabetta Dejana, esperta dell’IFOM nello studio dei meccanismi che regolano lo sviluppo del sistema vascolare, è stato possibile ricreare il decorso della patologia umana ed anche verificare l'efficacia di farmaci utili a sostituire la chirurgia nella cura del cavernoma. Tra questi si è visto che il propranololo, un classico beta-bloccante già disponibile in commercio da oltre 60 anni per la cura soprattutto di alcune malattie cardiovascolari, ha ridotto in modo significativo la formazione di cavernomi.

Un’osservazione che ha permesso a Roberto Latini, responsabile del Dipartimento di Medicina cardiovascolare dell’Istituto Mario Negri, di disegnare e successivamente coordinare uno studio clinico controllato con il coinvolgimento di 6 istituzioni a livello nazionale per il trattamento della CCM familiare: il Policlinico di Milano, l’Istituto Neurologico Carlo Besta di Milano, l’ASST Grande Ospedale Metropolitano Niguarda di Milano, l’IRCCS Centro Neurolesi “Bonino Pulejo” di Messina, la Fondazione Policlinico Universitario Gemelli di Roma e l'IRCCS Casa Sollievo della Sofferenza di San Giovanni Rotondo. Il Policlinico di Milano, in qualità di Centro di riferimento nazionale per la CCM, ha svolto il ruolo di Centro Coordinatore, mettendo a disposizione un’equipe multidisciplinare di esperti dedicati. La gestione dello studio, comprensiva del monitoraggio clinico, della raccolta dati su web e della analisi dei dati è stata presa interamente in carico dal Mario Negri.

“Lo studio ha coinvolto 71 pazienti, seguiti per un periodo di due anni, e ha evidenziato una riduzione del numero di emorragie cerebrali sintomatiche e di deficit neurologici focali nei pazienti in trattamento con il propranololo. Inoltre, è emerso che potrebbe ridurre il numero di nuove malformazioni cavernose cerebrali ed evitare così gli interventi chirurgici” spiega Silvia Lanfranconi, specialista della Neurologia del Policlinico di Milano e responsabile clinico dello studio Treat_CCM. “Questi dati hanno portato all’approvazione del propranololo anche come farmaco orfano, cioè un medicinale usato per il trattamento di una malattia rara come l’angiomatosi cerebrale familiare. Si tratta, inoltre, di un caso di “drug repositioning”, ovvero un farmaco nato per curare determinate condizioni e già approvato che potrebbe essere utile per un nuovo scopo terapeutico”.

"Lo studio, sottolinea Roberto Latini, ha fornito promettenti indicazioni sull'uso del propranololo nei primi 71 pazienti, e costituisce un'eccellente premessa per l'avvio di uno studio su un gruppo di pazienti più ampio che produca evidenze definitive sulla sua efficacia terapeutica".

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