Milano, 31 agosto 2022 – Un nuovo studio realizzato dai ricercatori della Fondazione IRCCS Istituto Neurologico Carlo Besta, in collaborazione con i colleghi dell’Istituto di Ricerche Farmacologiche Mario Negri, pubblicato sulla rivista “Molecular Psychiatry”, dimostra che un piccolo peptide somministrato per via intranasale è efficace in un modello di Alzheimer nel topo e inibisce il deposito e gli effetti tossici di una delle due proteine che causano la patologia.
Lo studio rappresenta un passo in avanti per lo sviluppo di un farmaco per la cura della malattia di Alzheimer nell’uomo, la più comune forma di demenza in età avanzata e tuttora incurabile.
Gli approcci terapeutici finora esplorati dalla comunità scientifica internazionale non hanno purtroppo ancora portato all’identificazione di un composto in grado di contrastare efficacemente la malattia, se non addirittura prevenirla. Tuttavia, i risultati di decenni di ricerca scientifica finalizzata alla scoperta di un ‘magic bullet’ per il morbo di Alzheimer hanno dimostrato che impedire o rallentare la formazione di aggregati delle due proteine, che giocano un ruolo fondamentale in questa forma di demenza (la proteina beta-amiloide e la proteina tau), non è sufficiente a sconfiggere la malattia. È importante, infatti, inibire contemporaneamente gli effetti neurotossici di queste due proteine.
La nuova strategia sviluppata per contrastare l’Alzheimer si basa su una scoperta antecedente degli stessi autori che hanno identificato una variante naturale della proteina beta amiloide che protegge i soggetti portatori dallo sviluppo dalla malattia: questo ha permesso di sintetizzare la molecola (un piccolo frammento formato da 6 aminoacidi) utilizzata nello studio.
“Gli esperimenti- commentano il dottor Fabrizio Tagliavini e il dottor Giuseppe Di Fede, neurologi del Besta che hanno condotto lo studio - hanno dimostrato che la somministrazione per via intranasale del peptide, in una fase precoce della malattia, è efficace nel proteggere le sinapsi dagli effetti neurotossici della beta-amiloide oltre che nell’inibire la formazione di aggregati della stessa proteina, responsabili di gran parte dei danni cerebrali nell’Alzheimer, e nel rallentare il deposito della beta-amiloide sotto forma di placche nel cervello. Inoltre, il trattamento sembrerebbe non indurre eventi collaterali che derivano da un’anomala attivazione del sistema immunitario, riscontrati in altre potenziali terapie per l’Alzheimer. Questi effetti multipli costituiscono pertanto una combinazione apparentemente vincente nell’ostacolare lo sviluppo della malattia nei topi”.
Infine, conclude il dottor Mario Salmona, biochimico dell’Istituto Mario Negri, “Gli ulteriori vantaggi di questa strategia riguardano i bassi costi di produzione del piccolo peptide, in confronto agli elevatissimi costi di altri approcci terapeutici potenziali per l’Alzheimer come gli anticorpi monoclonali, la semplicità e la scarsa invasività del trattamento per via intranasale, peraltro già utilizzato con successo per altre categorie di farmaci”.
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