L’utero è rivestito al suo interno da una mucosa che si chiama endometrio (dal greco “endo” cioè all’interno e “metra” cioè utero). L’endometrio consente all’uovo fecondato di annidarsi e svilupparsi mentre quando ciò non si verifica, ciclicamente l’endometrio si sfalda e viene espulso (mestruazione).
Come per qualunque cellula-tessuto anche l’endometrio può andare incontro a degenerazione tumorale. Il tumore dell’endometrio (adenocarcinoma dell’endometrio) è, purtroppo, frequente e costituisce il tumore dell’apparato genitale femminile più frequente nei paesi sviluppati. Altrove è il tumore della cervice uterina. In Italia si contano circa 10200 nuovi casi ogni anno.
La fascia di età più colpita è quella tra i 65 e i 75 anni. Ci sono fattori che predispongono all’insorgenza di questo tumore quali l’obesità, non avere avuto figli, il diabete, l’infertilità associata all’ovaio policistico e l’uso prolungato di tamoxifen, un farmaco utilizzato per la cura del tumore alla mammella.
Oltre il 90% dei casi di tumore dell'endometrio sono casi “sporadici” mentre per un 5-10% sono forme “ereditarie” riconducibili in prevalenza a due condizioni: la sindrome del carcinoma colorettale senza poliposi e la sindrome di Lynch.
I sintomi principali del tumore dell’endometrio possono manifestarsi con anomalie del ciclo mestruale e, soprattutto, sanguinamenti vaginali che si verificano dopo la menopausa. Il sanguinamento uterino anomalo, quindi al di fuori del ciclo mestruale o in menopausa, è il primo campanello d'allarme che dovrebbe portare ad una indagine celere e approfondita. Nei casi più avanzati si può avere anche dolore addominale.
Il sanguinamento permette però nel 90% circa dei casi una diagnosi del tumore in una fase precoce. Il PAP test della cervice uterina può segnalare delle cellule endometriali “atipiche” e quindi sospette ma complessivamente il PAP test non è un test affidabile per diagnosticare o anche solo sospettare la presenza di un tumore dell’endometrio.
Una diagnosi precoce, che si verifica nell’80% dei casi, si traduce in una complessiva eccellente prognosi, con una sopravvivenza a 5 anni che raggiunge il 90% per i tumori in stadio I. Quando però il tumore viene diagnosticato più tardivamente l’aspettativa di guarigione viene compromessa via via che il tumore infiltra la cervice uterina (stadio II), i linfonodi regionali (stadio III) o ha già invaso la vescica oppure l’intestino oppure altri organi distanti (stadio IV).
Dal 2013 si è progressivamente imposta una nuova classificazione di questo tumore non più basata solo sulla stadiazione e sull’aspetto delle cellule tumorali al microscopio (tipi istologici) ma basata su aspetti ancora più profondi della biologia molecolare di queste cellule. Tale classificazione molecolare in quattro sottogruppi ha permesso di migliorare le nostre capacità di prevedere l’aggressività del tumore e di intravedere approcci terapeutici più mirati o, come si dice più comunemente, “personalizzati”.
Questa classificazione molecolare, semplificando, procede a cascata con la identificazione dapprima dei tumori con mutazione del gene denominato POLE, seguita dai tumori con difetti nei meccanismi di riparazione del DNA (dMMR) e la suddivisione delle forme rimanenti tra tumori che hanno o non hanno una mutazione del gene denominato p53.
Nell’ambito della prevenzione, come anticipato in precedenza, l’obesità rappresenta un fattore di rischio per il tumore dell’endometrio. Per questo condurre uno stile di vita che permetta di tenere sotto controllo il peso attraverso una dieta equilibrata e l’esercizio fisico regolare può correggere questo fattore di rischio.
Nelle pazienti più giovani con cicli non ovulatori, che si manifestano quando l’ovaio non rilascia l’ovulo durante il ciclo mestruale a causa ad esempio di squilibri ormonali, l’uso di contraccettivi orali o di terapia progestinica ciclica può certamente avere un ruolo protettivo.
Inoltre, sottoporsi a esami diagnostici e visite ginecologiche periodiche, soprattutto in caso di ovaio policistico o assunzione di terapie ormonali, può essere cruciale nella rilevazione precoce e il monitoraggio di possibili variazioni.
La terapia del tumore dell'endometrio negli stadi precoci (stadio I e II) è sostanzialmente chirurgica. Questo approccio, affinato negli anni ’90 con il consolidarsi di tecniche “mini invasive” laparoscopiche, anziché laparotomiche, è spesso risolutore. L’intervento standard è costituito dall’isterectomia (asportazione dell’utero) associata alla rimozione di entrambe le ovaie.
L’asportazione dei linfonodi regionali è oggi limitata a solo condizioni considerate a rischio maggiore di recidiva e sempre più spesso viene condotta solo dopo avere dimostrato che il linfonodo “sentinella” (quello più prossimo al tumore) è stato infiltrato dalle cellule tumorali. Negli stadi più avanzati la chirurgia non è sufficiente a controllare la malattia e viene affiancata fin dagli anni ’70 dalla radioterapia o a partire dagli anni ’80 dalla chemio ed ormonoterapia al fine di prevenire le ricadute loco-regionali (radioterapia) o a distanza (chemioterapia). Negli ultimi anni è stata introdotta nel trattamento di questo tumore l’immunoterapia.
Il tumore dell’endometrio, infatti, fa parte dei tumori detti "caldi", cioè quei tumori che presentano cellule immunitarie che infiltrano il microambiente tumorale. Questo viene interpretato come un segnale che il sistema immunitario ha riconosciuto le cellule cancerose come anomale e sta lavorando per combatterle. Il cancro agisce però attivando dei freni che bloccano l’aggressione del sistema immunitario sul tumore. L’immunoterapia consente di eliminare questo blocco e quindi di “smascherare” il tumore alle cellule del sistema immunitario che riacquisiscono la loro capacità di attaccare il tumore.
L’Istituto Mario Negri è il centro di coordinamento del gruppo italiano di ricerca in onco-ginecologia denominato MaNGO (Mario Negri Gynecologic Oncology). Il gruppo MaNGO con l’Istituto Mario Negri ha promosso, coordinato, condotto e recentemente presentato i risultati di un grande studio clinico internazionale randomizzato in doppio cieco per valutare l’efficacia della immunoterapia nel tumore dell’endometrio avanzato (stadi III e IV) o alla recidiva di malattia. Lo studio ha visto la partecipazione di 89 centri clinici in 11 nazioni (Italia, GB, Spagna, Svizzera, Austria, Germania, Australia, Nuova Zelanda, Giappone, Corea e Taiwan) e ha coinvolto oltre 549 donne.
Le pazienti sono state tutte trattate con chemioterapia (considerata la migliore terapia standard) alla quale, in due terzi dei casi, è stata aggiunta l’immunoterapia (costituita dall’anticorpo monoclonale atezolizumab) e in un terzo il placebo. La ricerca è stata presentata al congresso della società europea di oncologia (ESMO) tenutosi a Madrid in ottobre 2023.
Questo studio ha dimostrato che l’immunoterapia ha complessivamente diminuito del 26% il rischio di una recidiva del tumore dell'endometrio, raggiungendo in un importante sottogruppo, (dMMR) una riduzione del rischio del 64%. Lo studio resta ancora aperto per raccogliere informazioni ulteriori sull’effetto di questi farmaci a più lungo termine.
I risultati dello studio, pubblicato su Lancet Oncology, sono consultabili al seguente link.
Elena Biagioli - Dipartimento di oncologia clinica
Roldano Fossati - Dipartimento di oncologia clinica