Vaccino anti-Covid e morti improvvise, trombosi, miocarditi: c'è una reale connessione? Facciamo chiarezza sugli effetti collaterali del vaccino.
La vaccinazione è una delle più importanti scoperte scientifiche nella storia della medicina e ha contribuito in modo fondamentale ad incrementare la speranza di vita della popolazione umana. Anche nella recente pandemia di SARS-CoV-2, la campagna di vaccinazione contro il COVID-19 ha rappresentato e rappresenta tuttora un'arma fondamentale nella lotta contro la malattia infettiva. Tuttavia, sorgono frequentemente domande e preoccupazioni riguardo alla sicurezza e agli effetti collaterali dei vaccini.
Riceviamo diverse email sugli effetti avversi dei vaccini e reputiamo importante segnalare che l'analisi dei dati della farmacovigilanza internazionale e basati sulle informazioni raccolte da qualche miliardo di persone conferma la sicurezza dei vaccini ad mRNA osservate negli studi clinici: le reazioni avverse si verificano principalmente nel breve termine e la quasi totalità di questi effetti indesiderati è rappresentata da sintomi lievi (cefalea, astenia, febbre e reazioni locali nel sito di iniezione). Alcune reazioni avverse non emerse dagli studi ed osservate solo dopo l’inizio delle somministrazioni, come miocarditi e pericarditi, sono da considerarsi eventi rarissimi (6 per ogni milione di dosi somministrate) e comunque non gravi, perché hanno decorso favorevole.
Nessuno studio ha evidenziato rischi di geno tossicità o cancerogenicità: l'mRNA è attivo nel citoplasma della cellula, non entra nel nucleo, non interagisce con il genoma e non si replica, pertanto non c'è motivo di attendersi effetti genotossici. Continueremo certamente a tener d'occhio la letteratura, ma ad oggi non ci sono studi o segnali della farmacovigilanza che suggeriscano un nesso di causalità con gli eventi segnalati da diverse persone che scrivono all'Istituto.
In questo articolo, esaminiamo attentamente i dati disponibili riguardo agli effetti collaterali dei vaccini COVID-19, fornendo risposte basate sulle più recenti evidenze della letteratura scientifica.
Una delle domande che ci vengono poste più frequentemente è se i vaccini contro il COVID-19 possano causare morti improvvise. Studi condotti da autorità sanitarie di tutto il mondo e da diversi gruppi di ricerca internazionali non hanno riscontrato alcun collegamento tra il vaccino e le morti improvvise. Uno studio inglese ha analizzato i dati sanitari nazionali su tutti i residenti del Regno Unito tra i 12-29 anni per valutare l'impatto del vaccino sul rischio di mortalità nei giovani. Questo studio ha mostrato che non c'è un aumento significativo della mortalità nelle 12 settimane successive alla vaccinazione a mRNA contro il COVID-19. Anche da noi in Italia, uno studio della regione Veneto condotto sui soggetti fino a 40 anni di età ha dimostrato che non vi è alcuna variazione nella mortalità tra gli anni 2021-2022, quando è stata introdotta la vaccinazione, rispetto ai precedenti anni (2018-2019). Questi risultati però non valgono solo per i giovani. I risultati di un studio americano su oltre 3 milioni di veterani seguiti per 60 giorni dopo la vaccinazione hanno dimostrato che la vaccinazione non è associata ad un aumentato rischio di morte. Lo stesso si può dedurre da uno studio australiano che ha analizzato i dati dell’intera popolazione vaccinata senza aver trovato alcun aumento di decessi improvvisi nei giorni successivi alla vaccinazione. Quest’ultimo studio ha una grande rilevanza perché è stato condotto in Australia, un Paese con un altissimo tasso di vaccinazione (98% della popolazione) ma che ha anche subito lockdown prolungati e una trasmissione estremamente bassa di SARS-CoV-2 nella comunità. Questo contesto ottimale ci permette di valutare i tassi di mortalità dopo l'introduzione della vaccinazione, escludendo i potenziali effetti sul rischio di morte indotti da un’ampia diffusione di SARS-CoV-2 come si è visto in altri Paesi del mondo. Ma non è finita, uno studio condotto in India ha cercato di capire a cosa fossero dovute le morti improvvise avvenute in soggetti vaccinati. Lo studio non solo ha confermato che la vaccinazione contro COVID-19 non causa morti improvvise ma ha addirittura dimostrato che ricevere almeno una dose del vaccino ha ridotto le probabilità di morte improvvisa inspiegata. Inoltre, andando ad analizzare le cause di morte nei soggetti vaccinati, gli autori hanno dimostrato che queste erano attribuibili ad una precedente ospedalizzazione per COVID-19, una storia familiare di morte improvvisa, un eccessivo consumo di alcol o all'uso di droghe/sostanze ricreative.
Un altro evento avverso severo che non era stato identificato nei primi trial clinici ma che è emerso solo durante l’uso dei vaccini su un numero molto elevato di popolazione, sono i fenomeni di trombosi. La trombosi è la conseguenza della formazione in un vaso sanguigno di un coagulo di sangue (trombo), cioè di un aggregato solido di globuli bianchi, globuli rossi e soprattutto piastrine che ostacola la circolazione all’interno del vaso stesso. I fenomeni di trombosi venosa in seguito a vaccinazione sono rarissimi con un'incidenza di 28 casi su 100.000 dosi, ovvero lo 0.02 %. Queste trombosi avvengono a causa di una reazione immune, dovuta alla formazione di anticorpi che agiscono contro le piastrine in un modo del tutto particolare che ora abbiamo imparato a conoscere e a gestire. Infatti questi sono eventi simili alle trombosi legate alla riduzione delle piastrine indotte dall’uso di eparina, un fenomeno ben conosciuto e abbastanza frequente. La maggior parte dei casi segnalati si è infatti verificata dopo somministrazione di vaccini a vettore virale, principalmente AstraZeneca, nelle donne e in coloro di età inferiore ai 50 anni, entro due settimane dalla vaccinazione. I siti più comuni di trombosi sono stati nelle vene cerebrali (54%), nelle vene profonde polmonari (36%) e nelle vene splancniche (19%). Tale evidenza ha indotto le agenzie regolatorie per i medicinali, europea (EMA) e italiana (AIFA), a condurre un’indagine al termine della quale è stato confermato che i benefici del vaccino superano i rischi. Che i benefici superino i rischi è stato effettivamente confermato da uno studio del Regno Unito che ha confermato come i rischi di trombosi erano molto più elevati in seguito ad infezione con SARS-CoV-2. Questi fenomeni trombotici erano ancor più limitati con le vaccinazioni a mRNA. Per ridurre al minimo la possibilità di questi eventi avversi, molti paesi hanno raccomandato di riservare i vaccini a vettore virale ai soggetti di età superiore ai 60 anni, incoraggiano l'uso dei vaccini a mRNA nei soggetti più giovani.
Il 7 maggio 2024 l’Ema - Agenzia europea per i medicinali - ha pubblicato un avviso che riporta che il vaccino Astrazeneca non è più autorizzato all’uso.
L'avviso segue l'annuncio di AstraZeneca del ritiro a livello mondiale del suo vaccino contro il Covid-19 a causa di “un’eccedenza di vaccini aggiornati disponibili” che agiscono su nuove varianti del virus.
La miocardite, un’infiammazione del tessuto muscolare del cuore, è un evento avverso severo molto raro che è stato osservato dopo la somministrazione dei vaccini a mRNA contro il COVID-19. A causa della loro estrema rarità, questi eventi non erano stati rilevati negli studi clinici iniziali, ma sono stati segnalati attraverso i sistemi di sorveglianza passiva dopo l'autorizzazione. Un studio condotto in Israele su oltre 2,5 milioni di persone vaccinate ha trovato un leggero aumento del rischio di miocardite nei giovani maschi dopo la seconda dose di vaccino, ma il rischio era comunque molto basso: circa 2 casi su 100.000 dosi somministrate, ovvero lo 0,002%. La maggior parte delle miocarditi è di lieve entità e si risolve spontaneamente nel giro di alcune settimane. Lo studio ha inoltre evidenziato che il rischio di miocardite era molto più alto dopo l'infezione da COVID-19, indicando un rischio/beneficio favorevole della vaccinazione.
Questi risultati sono stati ulteriormente confermati da uno studio condotto nel Regno Unito su un campione ancora più ampio di 21 milioni di vaccinati che hanno ricevuto 3 dosi di vaccino. Gli autori hanno evidenziato che il rischio di miocardite rimane modesto dopo dosi successive, inclusa una dose di richiamo del vaccino a mRNA. Anche in questo studio il rischio di miocarditi era maggiore dopo l'infezione da SARS-CoV-2.
Ma cosa sappiamo dei meccanismi alla base di questi rari eventi di infiammazione del cuore in seguito alla vaccinazione? Uno studio americano ha suggerito che questi siano causati dall'aumento di citochine infiammatorie e della risposta immunitaria, senza evidenza di autoanticorpi mirati al cuore, ipersensibilità o meccanismi iperimmuni. In altre parole, questo effetto collaterale non è dovuto al vaccino di per sé ma alla reazione del nostro corpo ad esso.
In linea con questi dati, una revisione sistematica pubblicata su Lancet Respiratory Medicine, una tra le più prestigiose riviste nell’ambito della ricerca clinica, ha analizzato dati provenienti da 22 studi distinti, che hanno esaminato oltre 405 milioni di dosi di vari vaccini. I risultati hanno rilevato che non vi è una differenza significativa nell'incidenza di miocardite tra coloro che hanno ricevuto vaccini COVID-19 e coloro che hanno ricevuto altri tipi di vaccini. Anzi, l'incidenza più alta di miocarditi si è verificata dopo la vaccinazione contro il vaiolo, ma non significativamente diversa dalla la vaccinazione antinfluenzale o di altri tipi di vaccini. Questo sottolinea ancora una volta come la miocardite sia un raro effetto collaterale che può avvenire in seguito ad ogni tipo di vaccinazione a causa della risposta immunitaria del nostro organismo.
Infine, un ampio studio condotto da ricercatori delle Università di Cambridge, Bristol ed Edimburgo e pubblicato su Nature Communications ha rivelato che il vaccino COVID-19 riduce l’incidenza di eventi cardiovascolari, come infarto o ictus. Lo studio ha analizzato le cartelle cliniche di oltre 45 milioni di pazienti adulti in Inghilterra che hanno ricevuto la vaccinazione contro il virus SARS-CoV-2 tra l'8 dicembre 2020 e il 23 gennaio 2022. I ricercatori hanno dimostrato come l'incidenza di complicazioni cardiovascolari sia generalmente inferiore dopo ogni dose di ciascun tipo di vaccino contro COVID-19 rispetto alla prima o rispetto ai pazienti che non sono stati vaccinati.
La sindrome di Guillain-Barré è un raro disturbo neurologico in cui il sistema immunitario del corpo danneggia le cellule nervose, provocando dolore, intorpidimento e debolezza muscolare che possono progredire, nei casi più gravi, fino alla paralisi. La maggior parte delle persone guarisce completamente dalla patologia con appositi trattamenti.
Ad oggi la sindrome di Guillain-Barré è descritta come un evento collaterale molto raro che avviene in seguito alla vaccinazione con Janssen COVID-19 con un tasso di segnalazione di 3,29 casi per milione di dosi di vaccino. Al contrario, i valori di Guillain-Barré osservati in seguito a vaccino Pfizer-BioNTech e mRNA-1273 non erano diversi da quelli attesi nella popolazione generale, indicando che questa rara sindrome non è un effetto collaterale di questi due specifici vaccini.
Fra i luoghi comuni legati al vaccino contro il COVID-19 c’è quello secondo cui “questo indurrebbe lo sviluppo malattie autoimmuni perché indebolirebbe il sistema immunitario”.
Come messo in evidenza da uno studio recente pubblicato su Nature Communication e condotto dai ricercatori del Dipartimento di Dermatologia della Yonsei University di Seul (Corea del Sud), i vaccini a mRNA non sono associabili a un aumento del rischio di sviluppare la maggior parte delle malattie autoimmuni come alopecia, vitiligine, psoriasi, morbo di Crohn, artrite reumatoide, colite ulcerosa o sindrome di Sjogren.
Al contrario, una ricerca pubblicata sulla rivista scientifica JAMA Network Open ha messo in evidenza il possibile legame tra l’infezione di COVID-19 e un lieve aumento dell'incidenza di diabete di tipo I. La vaccinazione prima dell'infezione potrebbe avere un effetto protettivo contro il diabete, come suggerito da un altro studio pubblicato sulla stessa rivista. Sono tuttavia necessari ulteriori studi per convalidare quest’ipotesi.
Se il vaccino contro COVID-19 non è associato a morti improvvise mentre le trombosi e le miocarditi sono eventi rarissimi, quali sono i reali effetti indesiderati? L'esperienza complessiva accumulata nel tempo sulla sicurezza e gli eventi avversi della vaccinazione è ormai vasta, solida e completa. Questo è dovuto principalmente al fatto che le segnalazioni della sicurezza dopo l'autorizzazione dei vaccini COVID-19 sono state monitorate in modo estremamente robusto attraverso capillari sistemi di sorveglianza passiva e attiva, molto di più che per altri vaccini. Insieme, questi sistemi di sorveglianza hanno catturano i dati sulla sicurezza da un'ampia ed eterogenea popolazione globale. Basti pensare che solo nei paesi dell'Unione Europea sono state somministrate oltre 900 milioni di dosi, di cui 200 e 66 milioni di terze e quarte dosi. Allo stesso modo, negli Stati Uniti sono state somministrate rispettivamente più di 700 milioni di dosi. Il grande numero di vaccinazioni effettuate ha consentito una valutazione dettagliata di tutti i potenziali effetti indesiderati con elevata precisione.
Gli effetti indesiderati più comuni includono:
• Dolore, gonfiore, arrossamento nel sito di iniezione (80-90%)
• Stanchezza (60-70%)
• Mal di testa (60-70%)
• Dolori muscolari e articolari (50-60%)
• Brividi (30-40%)
• Febbre (30-40%)
• Nausea (20-30%)
La frequenza di questi effetti indesiderati avviene in maniera lieve ma può variare a seconda del tipo di vaccino e della persona. Questi sintomi rappresentano una normale risposta del sistema immunitario alla vaccinazione e di solito scompaiono entro pochi giorni, sono lievi e possono essere ridotti attraverso misure preventive.
Sono invece estremamente rari i casi di ipersensibilità e di reazioni anafilattiche. Una recente analisi ha mostrato che le reazioni allergiche avvengono in media 13 ogni milione di dosi somministrate (0,001%), mentre l’anafilassi è un evento ancora più raro e se ne riscontrano 2 ogni milione di dosi somministrate (0,0002%). Le reazioni allergiche possono essere dovute agli ingredienti attivi o agli eccipienti utilizzati nella formulazione del vaccino e avvengono principalmente nelle persone che hanno avuto anafilassi o una reazione allergica in passato.
Tutti questi dati confermano il profilo di sicurezza iniziale osservato negli studi clinici, dimostrando che il vaccino è sicuro e ben tollerato. Anche per quanto riguarda la terza e la quarta dose di richiamo, gli studi clinici di fase II/III non hanno riportato effetti indesiderati significativamente diversi rispetto a quelli osservati dopo la seconda dose e non sono stati individuati nuovi segnali di rischio.
Sono passati tre anni dalla vaccinazione, cosa sappiamo oggi della durata della protezione immunitaria conferita dai vaccini? Le informazioni sulla durata della protezione del vaccino COVID-19 sono in continua evoluzione. Quello che sappiamo è che la vaccinazione primaria con due dosi di vaccino conferisce una forte protezione contro le forme severe di malattia, la morte e l’ospedalizzazione in seguito all’infezione con SARS-CoV-2. Questa protezione è stimata durare oltre un anno. I dati raccolti fino ad ora avevano però mostrato che i livelli anticorpali tendono a diminuire in modo significativo a partire da tre mesi dopo aver ricevuto la seconda dose di vaccino, favorendo così la possibilità di contrarre l’infezione anche se in forma non severa. Per questa ragione, le autorità sanitarie hanno approvato una terza dose di vaccinazione al fine di ripristinare alti livelli di anticorpi e prevenire ulteriormente la possibilità di contrarre l’infezione e quindi la malattia. Anche in questo caso però i livelli di anticorpi tendevano a diminuire nel tempo dopo circa tre mesi dalla dose di richiamo. La percezione era quindi che l'immunità anticorpale indotta dai vaccini svanisse rapidamente. Tuttavia, questa convinzione si basava principalmente su dati ottenuti da studi a breve termine con un numero molto limitato di dati.
Un recente studio a lungo termine pubblicato a febbraio 2024 sulla prestigiosa rivista Immunity da un gruppo di microbiologi del Mount Sinai di New York ha rivelato che le risposte degli anticorpi indotte dai vaccini COVID-19 durano molto più a lungo di quanto inizialmente pensato, sfatando l'idea che l'immunità indotta dai vaccini svanisca rapidamente. I ricercatori hanno analizzato oltre 8.000 campioni raccolti da circa 500 dipendenti in un periodo di tre anni e hanno mostrato che al momento dell'immunizzazione primaria, i partecipanti con immunità preesistente (coloro che erano stati precedentemente infettati dal virus) avevano risposte anticorpali più elevate più rapidamente e hanno raggiunto titoli anticorpali costanti più alti rispetto agli individui che non erano stati precedentemente infettati. Il declino delle risposte anticorpali è stato caratterizzato da due fasi: un rapido decadimento dal picco forte dopo la vaccinazione, seguito da una fase di stabilizzazione con un decadimento molto lento, suggerendo che i livelli degli anticorpi fossero molto duraturi. La vaccinazione di richiamo ha equilibrato le differenze nella concentrazione degli anticorpi tra i partecipanti con e senza immunità preesistente.
Sebbene questa indagine rappresenti una delle valutazioni più estese e approfondite della longevità delle risposte immunitarie al SARS-CoV-2 fino ad oggi, dei risultati assolutamente sovrapponibili erano stati ottenuti in uno studio dell' Istituto Mario Negri nel febbraio 2022. In quest'ultimo studio condotto su circa 50 ricercatori del nostro istituto avevamo dimostrato che 9 mesi dopo le due dosi della vaccinazione primaria, i soggetti con immunità preesistente mostravano livelli residui di anticorpi più elevati, con un'attività neutralizzante significativa contro varianti distinte rispetto ai soggetti senza immunità preesistente. La risposta umorale più elevata era associata a livelli più alti di cellule B specifiche contro la proteina spike codificata dal vaccino. La terza dose di richiamo era necessaria per i soggetti senza immunità preesistente per raggiungere livelli di anticorpi comparabili ai soggetti con immunità preesistente e migliorare la risposta delle cellule B. Da questi dati risulta dunque chiaro che l’immunità indotta dal vaccino possa durare a lungo e la ragione principale per cui i soggetti vaccinati possano contrarre l’infezione da SARS-CoV-2 possa dipendere esclusivamente alle continue mutazioni del virus che consentono di eludere l'immunità, piuttosto che l'indebolimento dell'immunità.
Ma non è tutto qui. Non solo gli anticorpi potrebbero persistere per lungo tempo, ma anche la protezione che offrono i vaccini contro le complicanze dovute all’infezione di SARS-CoV-2 potrebbe essere altrettanto duratura. Un recente studio condotto nel Regno Unito su oltre un milione di soggetti ha infatti dimostrato che la vaccinazione contro il COVID-19, soprattutto l'assunzione della terza dose di richiamo, era efficace nel ridurre significativamente il rischio di conseguenze per la salute a seguito dell'infezione da SARS-CoV-2. I pazienti che hanno ricevuto tre o più dosi di vaccino non hanno subito un aumento significativo del rischio di conseguenze cliniche fino ad un anno dell'infezione iniziale. Al contrario, i pazienti non vaccinati avevano un rischio maggiore di diverse conseguenze cliniche, inclusa la mortalità per tutte le cause fino a un anno dopo l'infezione. Tali risultati forniscono prove a sostegno della protezione potenziale della vaccinazione nel ridurre il rischio di conseguenze per la salute a lungo termine.
Ma se gli anticorpi indotti dalla vaccinazione dovessero sparire, saremmo esposti a forme severe di malattia? Un lavoro tutto italiano dice di no e ci ha spiegato il perché. In seguito alla vaccinazione alcune cellule del nostro sistema immunitario, i linfociti T, vengono istruiti a difenderci dal virus e sono sufficienti a proteggerci da SARS-CoV-2 e da tutte le sue nuove varianti anche in assenza di anticorpi specifici. Queste cellule rappresentano quindi un'impronta duratura nelle nostre difese immunitarie, un vero e proprio scudo che persiste nel tempo in caso di ulteriori incontri con il virus. Le cellule T quindi possono spiegare il perché il vaccino può proteggerci a lungo contro l'infezione grave anche se gli anticorpi diminuiscono o, addirittura, svaniscono.
In conclusione, tutti i dati esaminati in questa analisi portano a una conclusione di fondamentale importanza: la vaccinazione non solo si conferma estremamente sicura, con un numero esiguo di eventi avversi gravi, ma si intravedono anche potenziali vantaggi significativi nella protezione a lungo termine dalla malattia. Questi benefici potrebbero manifestarsi in modi diversi e complessi, che al momento potrebbero ancora sfuggire a una comprensione completa. Questi risultati sottolineano l'importanza cruciale di continuare la ricerca e il monitoraggio costante per cogliere appieno il potenziale impatto positivo della vaccinazione nel contrastare la diffusione e la gravità della malattia nel lungo periodo.
Luca Perico | Laboratorio di biologia cellulare e medicina rigenerativa