Quello della morte è un momento importante, forse il più importante di tutti, o comunque il più difficile. Vorremmo tutti morire con dignità e poter scegliere almeno un po’ come e con chi lasciare questo mondo, dopo una vita passata insieme vorremmo almeno poter salutare i nostri cari. Purtroppo nelle settimane o nei mesi che precedono la morte ti privano di tutto, incluse relazioni e affetti, senza chiederti nemmeno un parere: sei in balia di altri, anche per le cose più intime, e non sai bene cosa ti succede e cosa ti succederà. Se non ci prepariamo per tempo a questo momento, gli ultimi mesi e le ultime settimane della nostra vita rischiano di essere così faticosi o così insopportabili da vanificare tutto il buono che c’è stato prima.
Siamo tutti convinti che la vita sia un dono, e che dobbiamo farne il miglior uso possibile. Però siamo anche convinti che arrivati alla fine della nostra storia terrena dobbiamo avere voce in capitolo e decidere noi il modo migliore di arrivare all’attimo più difficile della nostra vita. In quel momento lì, tutto diventa una questione fra l’ammalato, la sua famiglia e i suoi medici, che hanno un ruolo importante per aiutare l’ammalato a morire bene. Dobbiamo far di tutto per morire in un ambiente confortevole, possibilmente a casa nostra, circondati dai nostri famigliari. Quando si sa benissimo che non c’è più nulla da fare, che mancano solo pochi giorni al momento finale, ci si deve affidare a medici e infermieri bravi. Abbiamo medici che fanno di tutto per diagnosticare le malattie, curarle al meglio, utilizzare i farmaci più moderni e tutte le tecnologie che la medicina all’avanguardia mette e a disposizione. I medici devono curare fino a quando è possibile, ma dev’essere anche ragionevole: se le terapie sono futili bisogna fermarsi. Fare il medico è rianimare, ma anche sospendere le cure quando sono inutili, fa parte dei nostri compiti e della nostra missione. Non possiamo nasconderci dietro le leggi che a volte sono farraginose e difficili da interpretare e dietro i comitati etici che si riuniscono quando va bene una volta al mese o una volta ogni due mesi, mentre i nostri ammalati soffrono adesso.
Piuttosto che nuove leggi sarebbe opportuno a mio parere farci guidare da quelle che ci sono già, quelle che fanno riferimento alla sedazione palliativa, due leggi, una del 2010 e una del 2017, contengono disposizioni molto dettagliate per come affrontare gli ultimi momenti della vita, c’è scritto tutto, ma proprio tutto, quello che si può e non si può fare e come farlo. Il malato che ha pochi giorni da vivere, con sofferenze insopportabili, refrattarie ai farmaci comuni, o con crisi di ansia incontrollabili, (col consenso dei famigliari e delle autorità sanitarie, si capisce) se lo vuole fortemente, può essere addormentato e accompagnato così alla fine della sua vita.
E il suicidio assistito? Non c’è una legge che regoli quello che oggi chiamano «suicidio medicalmente assistito» e io chiamerei invece col suo nome: il desiderio di chi non ce la fa più di porre fine alla sua vita. Il mio parere personale (anche se capisco bene le ragioni degli altri) è che di suicidio medicalmente assistito non si dovrebbe nemmeno parlare, è un’aberrazione, nella forma e nella sostanza. È una forma di eutanasia, ma non si vuole che la pratichi il medico o l’infermiere, si chiede al malato di somministrarsi lui stesso i farmaci che porranno fine alla sua esistenza. C’è niente di più ipocrita?
Giuseppe Remuzzi - Direttore Istituto Mario Negri