Non c'è da stupirsi delle precarie condizioni in cui si trova la ricerca scientifica in Italia. La pandemia ha messo in evidenza, se ce ne fosse bisogno, la sua debolezza. Abbiamo circa la metà dei ricercatori rispetto alla media dei Paesi europei avanzati e conseguentemente circa la metà della spesa - si dovrebbe dire investimento - e circa un terzo rispetto alla Germania.
Ciò è dovuto alla mancanza di formazione scolastica che orienti alla comprensione del ruolo della scienza con la conseguenza di essere in basse posizioni di classifica per quanto riguarda innovazione, competitività, sviluppo di prodotti ad alto valore aggiunto, brevetti e start-up di successo, per citare solo alcuni parametri su cui si sviluppa il benessere e l'economia di un Paese.
La scarsità di risorse umane ed economiche dovuta al basso numero di laureati e di dottori in ricerca (PhD) nonché di strutture, è alla base della mancanza di contributi sostanziali dell'Italia ai maggiori sviluppi di conoscenza nell'area delle scienze della vita, pur essendo i singoli ricercatori italiani ad un livello di produttività simile a quello dei ricercatori di Paesi più avanzati. Tuttavia oggi la ricerca ha bisogno di masse critiche, di gruppi multidisciplinari e di collaborazioni attraverso reti nazionali ed internazionali. Inoltre le scarse risorse disponibili sono frammentate nell'ambito di molti ministeri in contrasto fra di loro con un fantomatico Ministero della Ricerca che in realtà non ha alcun compito di coordinamento.
Una incredibile complicazione burocratica, che rende difficile e costosa la programmazione e la gestione della ricerca, va aggiunta a quanto affermato sopra.
Le date dei bandi di concorso sono casuali, le approvazioni dei progetti richiedono tempi lunghissimi, i pagamenti sono sempre in ritardo.
Le istituzioni che dipendono dal Ministero della Salute, IRCCS (Istituti di Ricovero e Cura a Carattere Scientifico) che dovrebbero operare a vantaggio del Servizio Sanitario Nazionale (SSN) hanno linee di ricerca strettamente demarcate, decise da funzionari; nelle rendicontazioni si devono rispettare rigide regole che contrastano con la necessità della ricerca di adattarsi all'evolversi delle conoscenze.
La partecipazione ai bandi di concorso ha incredibili limitazioni: un giovane per parteciparvi deve avere parametri bibliometrici ben definiti, deve avere almeno due articoli scientifici come primo autore e una serie di altre limitazioni che certamente non aiutano a premiare i progetti sulla base del loro intrinseco merito.
Se poi si deve eseguire una sperimentazione animale è prescritto che il Ministero, dopo il passaggio attraverso molteplici Comitati, dia l'autorizzazione solo se esiste un finanziamento; ma il finanziatore a sua volta richiede che il progetto sia approvato dal Ministero!
È chiaro che non si può continuare in questo modo e che sia necessario lo sviluppo di una strategia che in un tempo ben determinato possa portare l'Italia gradualmente ad un livello di sostegno della ricerca scientifica vicino a quello degli altri Paesi europei con cui siamo di fatto in competizione.
La proposta è perciò anzitutto di tipo organizzativo. In analogia con quanto succede in altri Paesi europei - vedi in Francia CNRS e INSERM - la ricerca dovrebbe essere organizzata attraverso un'Agenzia sganciata dalla politica, anche se in stretto contatto con la Presidenza del Consiglio per poter rapidamente recepire le priorità indicate dal Governo.
Alternativamente si potrebbe pensare anche a più Agenzie per grandi aree, come salute, ambiente, energia.
Si dovrebbe trattare in ogni caso di una struttura tecnica molto agile con membri dei comitati che giudicano i progetti eletti dai ricercatori ed integrati da autorevoli scienziati internazionali al fine di premiare il merito. La struttura dovrebbe assicurare tempi certi per tutte le tappe che riguardano la presentazione dei progetti fino alla loro rendicontazione. La presentazione dei progetti dovrebbe essere fatta dalle istituzioni e non dai singoli ricercatori per avere progetti di grandi dimensioni, possibilmente in rete con altre istituzioni di ricerca e possibilmente con collaborazioni internazionali. Ciò al fine di affrontare problemi di base che implicano solo aumento di conoscenza, ovviamente in aggiunta a progetti applicativi.
Volendo essere concreti si può suggerire che sia necessario un raddoppio delle risorse in 5 anni, tenendo conto che anche gli altri Paesi tendono ad aumentare le loro risorse. Una cifra intorno ai 4 miliardi di euro all'anno per 5 anni permetterebbe:
Il valore di queste cifre acquista un significato di scala, perché le risorse sarebbero utilizzate per più ricercatori all'interno di uno stesso Ente di ricerca pubblico o non-profit.
Si può inoltre cercare fin dall'inizio di identificare alcune priorità nell'area della salute.
Dovrebbe essere fondamentale un grande progetto riguardante la prevenzione, cioè ricerche che mirino a evitare le malattie. Si calcola infatti che almeno il 50 percento delle malattie non piova dal cielo ma dipenda dall'ambiente in cui viviamo e dai nostri comportamenti, o stili di vita.
Si tratta di capovolgere, attraverso una ricerca medica-sociale-antropologica, l'attuale cultura che tende ad aumentare il peso delle malattie a carico del SSN, incentivata com'è da un sistema consumistico basato su un crescente mercato della medicina.
Una conversione della medicina alla prevenzione avrebbe un vantaggio non solo per la salute collettiva ma anche per l'economia del Paese.
Una seconda area in armonia con la prima riguarderebbe molti settori che non rispondono alla logica del consumismo, perché la produzione di terapie non avrebbe ritorni economici sufficienti ad assicurare profitto.
Basti pensare all'area delle malattie rare, meno di 5 pazienti per ogni 10.000 abitanti, che sono stimate nell'ordine di 7.000 e che, nell'arco di 20 anni dalla promulgazione della legge europea per incentivarne lo sviluppo, ha visto la produzione di 100 nuovi farmaci soltanto, mentre vi sono circa 2.000 prodotti che hanno la potenzialità di diventare farmaci ma sono in attesa di risorse economiche per poter essere sviluppati.
Si tratta in generale di malattie genetiche che affliggono i bambini, con particolare riferimento a malattie neurodegenerative e a disturbi cognitivi che richiedono sviluppo di terapie.
Una terza area riguarda i problemi terapeutici che non sono di interesse industriale, perché troppo difficili e quindi richiedono una costosa ricerca di base per avanzamenti di conoscenza che permettano in seguito applicazioni pratiche.
Basti citare la malattia di Alzheimer e le demenze senili che, in assenza di terapie, comporteranno nel 2030 la presenza di circa 3 milioni di persone non-autosufficienti, un problema di grande portata sociale.
Non da meno è l'aumento delle polipatologie negli anziani, che richiede studi per individuare appropriate modalità di intervento e capirne l'interazione.
Una quarta area riguarda problemi terapeutici che sono contro gli interessi dell'industria farmaceutica che drena risorse per oltre 30 miliardi di euro all'anno in continuo aumento, di cui circa due terzi a carico del SSN. Si tratta ad esempio di:
Questi sono solo alcuni esempi che ovviamente possono essere modificati e integrati con altri problemi sanitari.
Il post-pandemia, dunque, è un'occasione che non possiamo perdere per rimettere la ricerca scientifica nella sua giusta posizione culturale e operativa. Il Paese non può aspettare!
Silvio Garattini - Presidente Istituto Mario Negri
Editing Raffaella Gatta - Content Manager