Negli ultimi tempi abbiamo assistito ad un acceso dibattito sull'Intelligenza Artificiale (IA) e le implicazioni legate all’utilizzo di macchine pensanti che potrebbero potenziare o, addirittura, replicare la coscienza umana.
L'Intelligenza Artificiale è un sistema informatico già in grado di imitare molti dei processi caratteristici della mente umana. Esistono programmi capaci di guidare automobili, formulare diagnosi o comporre musica. L’'IA elabora informazioni in modi sempre più complessi e a livelli più performanti (dal punto di vista qualitativo e quantitativo) rispetto a quanto sia in grado di fare un cervello umano, ma sarà possibile un giorno elaborare tali informazioni in modo consapevole? Ad esempio, recentemente gli scienziati hanno sviluppato uno strumento di screening facciale che può rilevare un ictus in pochi secondi e in modo molto più efficiente rispetto ai paramedici. Ma una cosa è riconoscere un ictus nei pazienti, altra cosa è provare compassione o empatia per questi ultimi.
Una delle difficoltà maggiori di questa impresa sta nel fatto che, a differenza di altri tessuti o organi artificiali che siamo riusciti ad ingegnerizzare parzialmente in laboratorio, non conosciamo esattamente il funzionamento dell'organo che stiamo cercando di replicare.
Ci sono ancora interrogativi fondamentali (di carattere epistemologico e ontologico) a cui dobbiamo rispondere prima di essere in grado di replicare la nostra mente. O la nostra coscienza.
Chi o cosa siamo veramente? Come funziona la nostra coscienza? Cosa è la nostra realtà?
Ne abbiamo parlato con Christodoulos Xinaris, Coordinatore delle Ricerche per la sede milanese dell’Istituto di Ricerche Farmacologiche Mario Negri.
Ognuno di noi percepisce se stesso come un’entità individuale, un essere cosciente che dimora dietro ai propri occhi e in mezzo alle proprie orecchie. Questo essere ha un nome, si rapporta al mondo come se fosse in un film, decide per la sua vita, riflette sul passato e immagina il futuro. Tuttavia, se ci fermassimo ad osservare cosa c’è appena sotto la superficie del nostro cranio, troveremmo solo un groviglio di neuroni: cellule incoscienti che, quando si combinano tra loro, danno origine ad un complesso fenomeno chiamato coscienza. Queste cellule possono essere coltivate in laboratorio, crescono e muoiono come tutte le altre cellule, senza essere coscienti della propria esistenza. Ma, una volta messe insieme in un cervello, creano circuiti capaci di far emergere la coscienza proprio come la viviamo noi - una sorta di film intorno all'Io (Ego, come l'hanno definito gli antichi).
In poche parole, quello che percepiamo come “Io”, a livello biologico non esiste fisicamente in un luogo ben definito, ma è una raccolta di pensieri, ricordi ed esperienze che i nostri neuroni integrano in una singola narrazione. Questo concetto (il senso del sé) è stato indagato in vari contesti filosofici, psicologici e neuroscientifici: alcuni filoni di pensiero sostengono che sia un'illusione che si è evoluta per aiutarci a navigare nel mondo e a dare senso alla nostra esperienza.
La coscienza è uno dei fenomeni più affascinanti e misteriosi della mente umana. In neurobiologia è un concetto complesso, che coinvolge l'interazione di varie regioni cerebrali, neurotrasmettitori e reti neurali. Si riferisce allo stato o alla qualità di esseri consapevoli in grado di riflettere su loro stessi e sull'ambiente circostante. In termini generali, potremmo dire che la coscienza è la consapevolezza che un soggetto ha di sé stesso e del mondo esterno, della propria identità e delle proprie attività interiori. Cartesio la esprimeva con la famosa formula "Cogito, ergo sum" (letteralmente "penso, dunque sono"), con cui il filosofo sottolineava la certezza granitica che l'uomo ha di sé stesso in quanto soggetto pensante.
Uno dei principali interrogativi che dividono gli scienziati è: la coscienza è un semplice prodotto dei processi di elaborazione dell’informazione, e quindi, in teoria, è riproducibile potenzialmente anche da un computer? Oppure nasce da caratteristiche peculiari del cervello, da qualcosa per cui “nessuna macchina” potrà mai sostituirci completamente?
Molti pensatori sostengono che la coscienza sia radicata nella biologia e che i sistemi artificiali siano incompatibili con le esperienze soggettive. Altri, ritengono che i cervelli biologici non siano necessari per dar vita a una coscienza, e che produrremo IA coscienti entro la fine del secolo. Forse tutte le parti hanno torto. Forse, tutte le parti presumono erroneamente che ne sappiamo abbastanza sulla coscienza per azzardarci a fare previsioni ed esprimere giudizi sulla possibilità di un'IA cosciente.
Qui entra in gioco la fisica, che per rispondere a questo quesito ci pone un'altra domanda fondamentale: di cosa sono fatte le cellule che compongono il nostro cervello?
Analizzando i componenti dei neuroni, infatti, ci imbattiamo nella sconcertante natura della realtà materiale. I neuroni, come tutta la materia dell’universo, sono costituiti da atomi e particelle subatomiche – protoni, elettroni e neutroni.
Cosa distingue quindi le particelle che compongono il nostro cervello da quelle presenti negli oggetti inanimati (incoscienti, per l’appunto), come questo computer o le mura che mi circondano? Forse è una questione di ordine: solo una particolare disposizione delle particelle può dar luogo a questo fenomeno. E quest'ordine esiste solo nei sistemi viventi? In tutti o solo nell'uomo?
Immaginate adesso un elefante rosa. Potete farlo in un baleno, e averlo proprio davanti agli occhi. Come è possibile che questa scena emerga in pochissimo tempo millisecondi dalle vostre particelle? Questi sono alcuni tasselli che compongono il problema fondamentale della coscienza.
La coscienza emerge dalle nostre particelle in un modo “misterioso”, ma se avessimo gli elementi per replicare quest’ordine, probabilmente saremmo in grado di ingegnerizzare l’esperienza consapevole.
Esatto. Ma questo è un concetto relativamente più semplice da spiegare meccanicisticamente.
Molti di voi potrebbero percepire le parole scritte in questo articolo o il paesaggio che ci circonda come qualcosa che si può definire “reale”. Ma cosa è reale? Ciò che vediamo è soltanto il risultato di una serie di eventi che cominciano con la stimolazione dei fotorecettori nei nostri occhi indotta dai fotoni della luce, che, attivando specifici neuroni nel nostro cervello, creano la percezione dell’immagine. Stessa cosa con l’udito. Sentite un rumore o un suono? Non esiste. Semplicemente una persona che parla o una macchina che passa hanno provocato un movimento delle particelle nell’aria, che a loro volta hanno sollecitato il vostro apparato acustico e scaturito l’attivazione dei neuroni per dar vita a questa esperienza.
Tutto ciò che accade in questo mondo – suoni, odori, immagini – non è altro che un costrutto delle nostre menti. Sempre con lo stesso schema: stimolazione, neuroni, esperienza. Tutto avviene lì. L’esperienza è strettamente collegata al nostro corpo, e c’è un mondo lì fuori completamente sconosciuto.
Questo tema, ponderato metodicamente (forse per la prima volta) da Platone circa 2500 anni fa, e tuttora oggetto di discussione di filosofi e neuroscienziati contemporanei, sfida la nostra concezione della realtà e solleva importanti interrogativi riguardo la natura stessa dell’esperienza.
Quello che sappiamo per certo è che il mondo, così come lo percepiamo, è il “prodotto” del nostro sistema nervoso e, per tornare alla questione dell’IA, non siamo in grado di prevedere con certezza come un sistema elettronico cosciente percepirà il mondo.
Pensate al perché avete scelto di leggere questo articolo: è stata una decisione consapevole e volontaria? Oppure siete stati “costretti” a stare qui dall’accensione probabilistica dei circuiti neuronali nel vostro cervello?
Che voi siate arrivati fin qui per interesse verso la psicologia, per ricordi d’infanzia o per un caso fortuito, il fatto stesso che abbiate letto fino a questo punto può essere spiegato più dai processi deterministici del vostro cervello che da qualsiasi concetto di libero arbitrio. Per semplificare: consideriamo che una decisione si basi sulla probabilità che un certo gruppo di neuroni si attivi o meno in diverse regioni del cervello. E che questo dipenda da una serie di fattori, tra cui le esperienze, l’ambiente, l’eredità genetica, eccetera, che determinano l’attivazione di questo circuito. Tuttavia, al momento della decisione, attraverso quel preciso circuito neuronale, le nostre cellule vengono dirottate verso una decisione o un’altra. La dinamica di questo processo non è però del tutto chiara: avviene in modo realmente cosciente oppure troviamo le motivazioni che la supportano solo dopo aver realizzato l’esito della nostra scelta?
Guardando al futuro, il campo delle neuroscienze ha potenzialità immense, smisurate. Le intuizioni derivanti dalla ricerca sul cervello vengono sfruttate per sviluppare computer sempre più intelligenti, aumentando la possibilità che le macchine arrivino ad avere un giorno una coscienza tutta loro. Forse è difficile o improbabile ingegnerizzare in laboratorio la coscienza, però esiste anche la possibilità che quest’ultima emerga in modo inatteso (quasi misterioso) dagli intricati interstizi delle particelle informatiche, proprio come emerge dai nostri neuroni. E, in tal caso, le conseguenze della coscienza artificiale sulle nostre vite saranno imprevedibili.
La nostra coscienza è ciò che ci determina in quanto individui. Sono le nostre esperienze legate alla percezione di colori, suoni e odori; i nostri sentimenti di dolore, gioia, eccitazione o stanchezza, o le nostre idee, credenze e preferenze: è la coscienza stessa che preferisce il gelato alla pizza, che dedica la sua vita agli altri per farli felici, oppure che decide di intraprendere una guerra in nome della fede, o costruisce forni crematori per purificare la razza. Pensate a cosa potrebbe succedere se anche dalle macchine venissero fuori questi ultimi "effetti collaterali" della coscienza.
Questi non sono semplici quesiti teoretici, ma urgenti indagini scientifiche che plasmeranno profondamente il futuro dell’umanità.
Christodoulos Xinaris | Coordinatore delle Ricerche per la sede milanese dell’Istituto di Ricerche Farmacologiche Mario Negri