La malattia di Wilson è una rara patologia ereditaria che provoca un accumulo tossico di rame nell’organismo. Le cause, i sintomi, le cure attuali e il contributo dei ricercatori dell’Istituto Mario Negri.
A descriverla per la prima volta, nel lontano 1912, è stato il neurologo britannico Samuel Alexander Kinnier Wilson da cui prende il nome. La "Malattia di Wilson", appunto, è una rara patologia ereditaria che in Italia, come si legge sul sito dell'Associazione Nazionale Malattia di Wilson, colpisce 1 persona ogni 30.000 e 100.000 abitanti, ma in alcune zone specifiche, come la Sardegna, l’incidenza è molto più elevata, circa 1 caso su 8.000 - 9.000 persone."
E' una malattia ereditaria che viene trasmessa con modalità autosomica recessiva, cioè una persona deve ereditare due copie difettose del gene (una da ciascun genitore) per sviluppare la malattia.
La malattia di Wilson è una malattia genetica che provoca un accumulo tossico di rame nell'organismo, in particolare nel fegato e nel cervello. Se non trattata, può portare a gravi danni epatici e neurologici, ma una diagnosi precoce e una terapia adeguata permettono di gestire la malattia.
È causata da un difetto nel gene ATP7B, responsabile della regolazione del rame nell’organismo. In condizioni normali, il rame in eccesso viene eliminato attraverso la bile, ma nei pazienti con la malattia di Wilson questo processo è compromesso, portando all’accumulo del metallo.
Il morbo di Wilson è una malattia ereditaria che viene trasmessa con modalità autosomica recessiva, cioè una persona deve ereditare due copie difettose del gene (una da ciascun genitore) per sviluppare la malattia.
I sintomi possono variare a seconda dell’organo colpito:
Individuare la malattia il prima possibile è fondamentale per prevenire danni irreversibili.
La diagnosi si basa su:
La terapia mira a ridurre i livelli di rame nell’organismo e a prevenirne l’accumulo. Le principali opzioni terapeutiche includono:
Sebbene i trattamenti attuali aiutino molti pazienti, presentano gravi limitazioni. Fino al 25% dei pazienti in alcune popolazioni non risponde affatto o risponde in modo insufficiente alle terapie disponibili. Gli agenti chelanti possono causare gravi effetti collaterali, tra cui aneurismi vascolari, peggioramento neurologico, lesioni cutanee e sintomi autoimmuni. I sali di zinco sono mal tollerati dal 15% dei pazienti, causando vomito. Infine, il trapianto di fegato non sempre migliora i sintomi neurologici. Pertanto, esiste un’urgente necessità di sviluppare nuove strategie terapeutiche.
Con una diagnosi tempestiva e una terapia adeguata, i pazienti con malattia di Wilson possono condurre una vita normale. È importante seguire la terapia in modo costante per evitare complicazioni.
In un recente studio condotto in collaborazione con i ricercatori dell’Istituto Telethon di Genetica e Medicina (TIGEM) e pubblicato sulla prestigiosa rivista Nature Communications, il Laboratorio di Neurobiologia dei Prioni ha evidenziato un legame tra la proteina prionica (PrP), nota per il suo coinvolgimento nelle malattie da prioni, e la malattia di Wilson. I ricercatori hanno dimostrato che il rame stimola l'espressione della PrP, una proteina che possiede siti di legame per questo metallo, contribuendo alla sua tossicità nei modelli cellulari e animali della malattia. Questo studio apre nuove prospettive terapeutiche per la malattia di Wilson, suggerendo che la proteina PrP potrebbe rappresentare un potenziale bersaglio per futuri trattamenti.
Roberto Chiesa | Laboratorio di Neurobiologia dei Prioni