Data prima pubblicazione
September 6, 2019

L’omeopatia non è una scienza: le prove della sua inefficacia

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Negli anni Novanta ben quattro meta-analisi, e cioè gli studi che raccolgono e analizzano i risultati di diversi studi clinici tutti riguardanti un preciso argomento, riportano la stessa conclusione: l’omeopatia non garantisce un effetto superiore a quello del placebo.

E nel 2005, The Lancet dichiara definitivamente la fine dell’omeopatia, con un editoriale intitolato The End of Homeopathy.

Come si schierano, in seguito, tutte le autorità e le istituzioni lo affrontiamo in questo articolo:

  • Qual è la posizione delle autorità sanitarie nei confronti dell’omeopatia?
  • Come si schierano le autorità regolatorie?
  • Che cosa dichiarano le istituzioni a proposito dell’omeopatia?
  • Qual è l’opinione pubblica sull’omeopatia?
  • La contesa legale subentra al dibattito scientifico
  • Conclusioni

 

Qual è la posizione delle autorità sanitarie nei confronti dell’omeopatia?

Sull’onda di tante inconfutabili prove, le autorità sanitarie cominciano a prendere le distanze dall’omeopatia. Nel 2009, l’ Organizzazione Mondiale della Sanità (WHO) dichiara che l’omeopatia non rappresenta una cura e, soprattutto, raccomanda che questa pratica non vada a sostituire le terapie tradizionali per il trattamento di malattie gravi e mortali, come HIV, tubercolosi, diarrea infantile e malaria. Nel 2012, in Australia, il National Health and Medical Research Council ha definito “non etico” l'uso dell'omeopatia, a causa della sua inefficacia: questa conclusione deriva da una lunga indagine operata dal Council su mandato del governo australiano. L’indagine, che ha incluso oltre 200 studi intesi a valutare l’efficacia del trattamento omeopatico in circa 70 situazioni patologiche di vario tipo ed entità, è pervenuta alle stesse conclusioni della comunità scientifica:

l’omeopatia non ha più effetto del placebo.

Quindi, cosa giustifica oggi il ricorso all’omeopatia, pur senza poterla legittimare? Si riconosce, infatti, che il nulla, contenuto nei preparati omeopatici, non può far nulla di per sé, se non condizionare emotivamente il paziente, fino a farlo sentire meglio: come ormai tutti sappiamo, questo è l'“effetto placebo”. Il placebo è una sostanza innocua o un intervento non farmacologico, privo di efficacia terapeutica. È somministrato nelle sperimentazioni cliniche in alternativa ad un trattamento attivo, di cui non si conoscono ancora efficacia e sicurezza, senza che il paziente sia a conoscenza di cosa sta assumendo. A differenza del placebo, l’uso del prodotto omeopatico, non solo è generalmente molto costoso ma, utilizzato al di fuori di una sperimentazione, viene anche promosso come potenzialmente efficace agli occhi del paziente.

Proprio qui sta la differenza: il prodotto omeopatico è somministrato facendo credere al paziente che sia un trattamento utile.

Perché mai, volendo utilizzare un placebo, se ne dovrebbe utilizzare uno tanto costoso quanto lo sono i prodotti omeopatici?

 

Come si schierano le autorità regolatorie?

Nel frattempo, in controcorrente rispetto alla comunità scientifica, l’Unione Europea inizialmente adotta una legislazione che in qualche modo legittima l’omeopatia. Infatti, una direttiva del 2004 (Directive 2004/27/EC) prevede che le agenzie regolatorie, deputate a valutare e approvare l’immissione in commercio di nuovi farmaci, dovessero fare altrettanto per i prodotti omeopatici. La Direttiva, però, si guarda bene dall’imporre i criteri e le procedure di valutazione obbligatori per tutti i farmaci anche per i prodotti omeopatici. Per autorizzare il commercio dei prodotti omeopatici, infatti, il legislatore europeo prevede pure una procedura semplificata: non solo questi prodotti non dovranno esporre indicazioni terapeutiche ma concede anche che siano venduti in formulati farmaceutici e in dosaggi privi di rischi per i pazienti. In questo modo, la direttiva conferisce ai preparati omeopatici la dignità di “farmaco”!  

Sappiamo bene che, nel linguaggio comune, per farmaco si intende una “Sostanza capace di provocare nell’organismo umano e animale modificazioni funzionali mediante un’azione chimica o fisica”. Non contenendo nulla, i prodotti omeopatici non possono indurre “modificazioni funzionali mediante un’azione chimica o fisica”. E pertanto, checché ne dica il legislatore europeo, non si possono di certo chiamare farmaci, tuttalpiù “prodotti”o “preparati”.

Altra cosa difficile da capire è come il legislatore pensasse che il metodo scientifico potesse valutare il nulla presente in tali prodotti. La dignità professionale degli organi regolatori è stata poi mortificata da quell’atto politico, di cui, inoltre, si coglievano immediatamente altre conseguenze negative.

Se il nulla poteva avere un mercato legittimato e garantito, perché mai l’industria farmaceutica avrebbe dovuto investire nella ricerca di terapie davvero innovative?

Se le istituzioni dell’Unione riconoscevano dignità terapeutica e commerciale ai prodotti omeopatici, chi ne avrebbe scoraggiato l’uso nei pazienti, magari a scapito di trattamenti efficaci?

Era facilmente prevedibile la ricaduta in termini di salute pubblica dell’implicito disincentivo per l’innovazione, indirizzato all’industria, e per i trattamenti efficaci, indirizzato ai pazienti.

 

Che cosa dichiarano le istituzioni a proposito dell’omeopatia?

Il contradditorio atteggiamento di scienziati e politici verso l’omeopatia contribuisce a creare percezioni e comportamenti dissonanti da parte delle stesse istituzioni di salute pubblica. In Italia, e non solo, molti atenei istituiscono corsi di omeopatia e alcuni ospedali aprono addirittura reparti e ambulatori dedicati a questa pratica.  A questo può aver contribuito la posizione della Federazione degli Ordini dei Medici che, nel 2002, aveva riconosciuto la dignità di “atto medico” ad alcune terapie non convenzionali tra cui omeopatia, agopuntura, fitoterapia, ayurvedica, antroposofica, tradizionale cinese, omotossicologia, osteopatia e chiropratica.

Nel 2018, fortunatamente, la Federazione dei Medici si è ricreduta affermando che le teorie omeopatiche non hanno plausibilità biologica né, tantomeno, sono supportate da prove scientifiche. Il Comitato Nazionale per la Bioetica, che già dal 2005 aveva riconosciuto il diritto del cittadino di operare scelte per la propria salute, ribadiva che tali scelte dovevano essere fatte solo a fronte di una esauriente informazione circa l’evidenza esistente sull’efficacia e la sicurezza degli interventi, allopatici o omeopatici. Quindi, il cittadino avrebbe pure il diritto di scegliere l’omeopatia, ma dato che la sua presunta efficacia non è supportata dall’evidenza, la spesa non dovrebbe essere a carico del Servizio Sanitario Nazionale, come invece avviene in altri paesi europei. Questa posizione verrà poi condivisa dal Consiglio Superiore di Sanità, in una sua relazione del 2007 al Ministero della Salute, che l’ha approvata.

 

Qual è l’opinione pubblica sull’omeopatia?

Esposto a messaggi contradditori da parte della scienza e delle istituzioni, anche il pubblico manifesta un’accoglienza incerta e posizioni opposte rispetto all’omeopatia.

Nel 2011 una class action porta la Boiron, azienda che commercializza prodotti omeopatici, a risarcire ben cinque milionidi dollari ai californiani che nei quattro anni precedenti avevano comprato Oscillococcinum. L'accusa era basata sul fatto che il prodotto non conteneva alcuna traccia del principio attivo dichiarato, oltre a non avere avuto alcun effetto clinico sull'influenza, per la quale era invece indicato come efficace.

Nello stesso periodo nel Regno Unito s’irride con sarcasmo all’omeopatia. Si moltiplicano, ad esempio, le dimostrazioni pubbliche che l’ingestione di interi flaconi di prodotti omeopatici non produce alcun effetto. La Merseyside Skeptics Society, che ha lo scopo di promuovere lo scetticismo scientifico, indice una campagna contro l’omeopatia.

Il suo motto è “There's nothing in it", ovvero non c'è niente lì dentro.

Il mercato dei prodotti omeopatici, però, resta sorprendentemente florido ovunque, anche se in Italia sembra in flessione negli ultimi anni.

 

La contesa legale subentra al dibattito scientifico

Alle voci dissenzienti, gli omeopati non oppongono argomentazioni. Forti del supporto istituzionale e del conseguente consenso nell’opinione pubblica, preferiscono minacciare cause legali nei confronti dei detrattori, e talvolta passano anche all’azione. In Italia, il caso più clamoroso è quello che coinvolge Piero Angela, nei primi anni Duemila, quando il famoso giornalista viene citato per diffamazione per avere sostenuto in una trasmissione televisiva quanto segue:

“L'omeopatia non è una cosa seria. Il rischio di curarsi con tale medicina non convenzionale è molto alto, soprattutto per i pazienti che soffrono di malattie gravi e specialmente quelle progressive”.

Angela sarà poi assolto, ma rimane il fatto, ridicolo ma allo stesso tempo mortificante, di una riedizione della caccia alle streghe all’alba del nuovo millennio.

 

Conclusioni

Negli ultimi decenni, il metodo scientifico si è sostituito ai preconcetti e al comune buon senso nell’affrontare il dibattito attorno all’efficacia dell’omeopatia. Alla luce di quanto è emerso e di quanto da noi pubblicato in un precedente articolo (link), oggi possiamo dire che è scientificamente provato che:

  1. i prodotti omeopatici non contengono, se non in tracce certamente non attive, le sostanze presenti prima del lungo processo di diluizioni seriali
  2. il solvente (acqua o altro), in cui tali sostanze erano inizialmente presenti, non può conservarne la “memoria”
  3. nessun prodotto omeopatico ha mai procurato alcun beneficio in nessuna delle condizioni in cui è stato utilizzato
  4. i prodotti omeopatici esercitano un effetto simile a quello di un placebo; se questo fosse vero, non sarebbe comunque applicabile, perché comporterebbe l’una o l’altra di due situazioni inaccettabili, ovvero tradire la fiducia del paziente, garantendogli che gli si sta somministrando qualcosa che gli può giovare, oppure vanificare l’effetto placebo, confessando al paziente che in realtà non gli si sta somministrando alcunché. In ogni caso, se si volesse somministrare un placebo, sarebbe opportuno sceglierne uno meno costoso rispetto ai prodotti omeopatici in commercio.

Quindi, soprattutto se consigliato dagli addetti ai lavori (i.e. scienziati, medici, operatori e gestori della sanità), l’uso dell’omeopatia può rappresentare un grave rischio per la salute pubblica, perché può generare disinteresse e sfiducia nella medicina basata sull’evidenza, scoraggiandone l’accesso da parte di medici e pazienti.

Vittorio Bertelè- Centro Politiche Regolatorie in Sanità

Editing Raffaella Gatta

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