29 FEBBRAIO - GIORNATA MONDIALE MALATTIE RARE
Malattie rare non diagnosticate: trovata una diagnosi nel 33% dei casi, un punto di partenza fondamentale per garantire agli ammalati assistenza medica e sociale
Ranica (Bg), 29 febbraio 2024 – Le malattie rare colpiscono una persona ogni 2.000 abitanti; oggi ne conosciamo oltre 7.000 diverse fra loro. Il numero complessivo di ammalati rari è un problema sanitario di dimensioni sociali: in Italia sono più di due milioni le persone che hanno a che fare con queste patologie. Il Centro di Ricerche Cliniche per le malattie rare “Aldo e Cele Daccò” dell’Istituto Mario Negri è stato il primo, oltre 30 anni fa, ad occuparsi di malattie rare, svolgendo un ruolo pionieristico, quando in Italia non esisteva pressoché nulla e in Europa erano in pochi a rispondere ai bisogni di questi ammalati.
Oggi l’impegno del Centro continua per dare una risposta anche alle malattie rare “senza nome”. Molte sono infatti le persone che soffrono di una malattia rara “non diagnosticata”: almeno il 6% dei malati rari è “orfano” di una diagnosi; in persone con disabilità, si arriva al 40%. Si tratta di una condizione che costringe i pazienti e le loro famiglie ad affrontare un percorso estremamente difficile, più complesso rispetto agli altri ammalati rari: ottenere una diagnosi è infatti il punto di partenza per definire l’iter terapeutico, ottimizzare le scelte e ricevere un’assistenza medica e sociale efficaci.
Per dare una risposta a questa criticità, l’Istituto Mario Negri ha coordinato un progetto in collaborazione con il Centro Multidisciplinare di Immunopatologia e Documentazione sulle Malattie Rare di Torino e l’Istituto Superiore di Sanità (ISS). Il progetto, concluso a fine 2023, ha permesso di analizzare 273 casi di pazienti adulti senza diagnosi, arrivando a definire una malattia geneticamente determinata in 89 casi. Il risultato è stato possibile grazie a una valutazione multidisciplinare da parte degli enti coinvolti e all’avvio di indagini genetiche mirate.
Questo progetto è nato all’interno dell’Undiagnosed Network Program Italy (UDNP Italy), la rete dedicata ai pazienti adulti senza diagnosi, di cui fa parte il Mario Negri.
“Questo ambizioso risultato, pari al 33% dei casi analizzati, sottolinea l’importanza di una rivalutazione periodica dei pazienti adulti senza diagnosi, alla luce dei costanti progressi nelle tecniche di indagine molecolare – commenta Ariela Benigni, Segretario scientifico dell’Istituto Mario Negri e Coordinatore delle ricerche per le sedi di Bergamo e Ranica (Bg) –. Il tasso di successo diagnostico nella popolazione studiata, affetta da malattie di sospetta origine genetica, è stato altamente significativo considerando le caratteristiche - adulti con età media superiore ai 40 anni - e la lunga storia di malattia che nel tempo li ha costretti a numerosi consulti in più centri specialistici in diverse regioni d’Italia”.
“I risultati del progetto sono ancora più importanti se consideriamo che il network si focalizza in particolare sui pazienti adulti con nefropatie non diagnosticate, in vista di un futuro trapianto di rene: la diagnosi consente infatti in questi casi di stabilire l’opzione più adeguata (trapianto da donatore vivente o deceduto, eventuale compatibilità con un consanguineo), influenzando la probabilità di successo dell’intervento.”, ha aggiunto Giuseppe Remuzzi, Direttore dell’Istituto Mario Negri.
La ricerca del Mario Negri in questo ambito prosegue e vede già impegnato l’Istituto attraverso il Progetto ANTHEM (AdvaNced Technologies for Human-centrEd Medicine), finanziato dal Piano complementare al PNRR, in collaborazione con altri 22 enti italiani, che ha avuto un primo meeting scientifico a Bergamo nei giorni scorsi.
“Lo studio delle malattie rare è una priorità di sanità pubblica, perché tutti gli ammalati hanno il diritto di avere lo stesso tipo di trattamento – spiega Erica Daina, Responsabile del Centro Clinico –. Ma ha anche un interesse scientifico che va al di là di questo. Proprio attraverso lo studio delle malattie rare si è infatti arrivati a comprendere molti dei meccanismi che regolano le patologie più comuni. Tutto questo va ad avvallare l’importanza di sostenere le malattie rare che oggi sono orfane di fondi”.
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