Di come C. elegans, un minuscolo verme cilindrico, è salito alla ribalta della ricerca scientifica diventando protagonista di ben 4 Premi Nobel e organismo modello fondamentale per la comprensione delle malattie umane.
Caenorhabditis elegans, meglio noto come C. elegans, è un verme trasparente, quasi invisibile agli occhi. Appartiene alla famiglia dei nematodi, organismi vermiformi che si sono adattati ad una spettacolare varietà di ambienti, dal suolo gelido dell’Antartide alla superficie dell’intestino.
È minuscolo, misura appena un millimetro da testa a coda. Eppure è riuscito a diventare protagonista della ricerca biomedica aggiudicandosi ben quattro Premi Nobel e aprendo nuove frontiere nel campo della biologia, della genetica e della medicina.
C. elegans è un organismo modello, ossia una specie usata dai ricercatori per esplorare i processi biologici. Presenta caratteristiche genetiche simili a quelle umane ed è impiegato in ambiti come la genetica, la biologia dello sviluppo e le neuroscienze.
“La storia di C. elegans comincia tra la fine dell’800 e gli inizi del ‘900, quando viene isolato e descritto per la prima volta dal biologo francese Émile Maupas. Per diversi decenni, rimane però solo una curiosità zoologica”, racconta Luisa Diomede, responsabile del Laboratorio di Patologia Umana in Organismi Modello all’Istituto Mario Negri.
Il primo a riconoscere appieno il potenziale del vermicello è, negli anni ‘60, il biologo sudafricano Sydney Brenner. Brenner, all’epoca ricercatore a Cambridge, è in cerca di un organismo modello pluricellulare per i suoi studi sullo sviluppo animale e il funzionamento del sistema nervoso. La sua scelta ricadde su un organismo apparentemente insignificante: Caenorhabditis elegans, un minuscolo nematode. Questa decisione curiosa si rivela una delle più brillanti della biologia moderna.
Per quanto possa apparire filogeneticamente distante dai vertebrati superiori e dall'uomo, C. elegans si rivela infatti ben presto il candidato ideale per i suoi studi. Per una serie di ragioni.
Il 7 ottobre 2002, Sidney Brenner si aggiudica assieme ai colleghi Robert Horvitz e John Sulston il Premio Nobel per la Fisiologia o la Medicina “per le scoperte relative alla regolazione genetica dello sviluppo degli organi ed alla morte cellulare programmata (apoptosi)”. Scoperte rese possibili grazie all’utilizzo di C. elegans, che diventa in questo modo un organismo modello riconosciuto a livello internazionale.
Sulston sviluppa tecniche per osservare tutte le divisioni cellulari del verme, dall’uovo fecondato fino alle 959 cellule dell’adulto. Scopre che, mentre si formano nuove cellule, altre muoiono attraverso un processo programmato chiamato apoptosi, un meccanismo essenziale per mantenere l’equilibrio del corpo, eliminando cellule danneggiate, infette o inutili. Horvitz identifica i principali geni responsabili dell’apoptosi, che si rivelano presenti anche nell’uomo. Il lavoro di Sulston e Horvitz è reso possibile solo grazie a quello di Brenner, che per primo identifica C. elegans come organismo modello ideale per questo tipo di studi.
Nel 2006, Andrew Fire e Craig Mello ricevono il Nobel per la Fisiologia o la Medicina grazie alla scoperta dell’RNA interference, un meccanismo di regolazione genica post-trascrizionale basato su RNA a doppio filamento. Ancora una volta C. elegans è protagonista della scoperta.
I ricercatori dimostrano che iniettando in C. elegans molecole di RNA a doppio filamento (dsRNA) si può bloccare la produzione di specifiche proteine. Questa scoperta apre un nuovo campo di studi con enormi implicazioni nella terapia genica e nella biotecnologia.
Un altro grande contributo di C. elegans alla scienza è stata la scoperta della Green Fluorescent Protein (GFP), una delle proteine più utili in assoluto nel campo della ricerca. Nel 2008, Osamu Shimomura, Martin Chalfie e Roger Tsien ricevono il Nobel per la Chimica per lo sviluppo di questa proteina, che, come suggerisce il nome, conferisce una fluorescenza verde alle cellule in cui viene espressa. In questo modo permette di seguirne il percorso in tutto l’organismo, aprendo nuove strade per studiare processi come lo sviluppo dei neuroni o delle cellule tumorali. Sebbene la GFP sia naturalmente prodotta da una medusa, ancora una volta il modello ideale per studiarne come indurne la produzione è il nostro piccolo verme, C. elegans.
Victor Ambros e Gary Ruvkun vengono insigniti del Premio Nobel per la Fisiologia o la Medicina 2024 per la scoperta dei microRNA, nuova classe di minuscole molecole di RNA che svolgono un ruolo cruciale nella regolazione dei geni. Una scoperta che potrebbe essere cruciale nella lotta ai tumori, alle malattie cardiovascolari e neurodegenerative o alle malattie infettive che avviene anche in quest’ultimo caso grazie a studi sul nematode Caenorhabditis elegans.
C. elegans è il primo organismo multicellulare di cui sia stato sequenziato il genoma, nel 1998. Ha solo 20.000 geni, un numero sorprendentemente vicino a quello degli esseri umani, ma in un contesto molto più semplice da studiare. È un modello fondamentale in molti campi della ricerca: dagli studi sull’invecchiamento alle malattie neurodegenerative, passando per gli studi sulla tossicologia, fino ad arrivare alla ricerca nello spazio. «Questo è avvenuto anche grazie al fatto che - sottolinea Luisa Diomede - la manipolazione genetica del nematode è relativamente semplice, per cui è possibile creare diverse linee geneticamente modificate che ricapitolano gli aspetti essenziali delle malattie umane».
Ecco alcune delle principali aree di ricerca dove viene impiegato:
C. elegans è uno degli organismi più utilizzati negli studi sull’invecchiamento grazie al suo breve ciclo di vita, che permette di osservare più generazioni in tempi rapidi, il che lo rende un modello ideale per studiare gli effetti che la genetica o l’ambiente hanno sulla durata della vita di un organismo. Proprio in C. elegans, ad esempio, sono stati individuati due meccanismi cellulari fondamentali per il controllo dell’invecchiamento: la via di segnalazione dell’insulina (Iis) e quella della molecola Tor. Si è scoperto che mutazioni nella via dell’insulina possono raddoppiare la vita del verme, mentre alterazioni nel meccanismo di Tor possono allungarla del 30%. Dal momento che questi processi si sono mantenuti durante l’evoluzione e sono presenti anche nell’essere umano, la ricerca si concentra sullo sviluppo di molecole capaci di influenzare queste vie cellulari, con l’obiettivo di permettere una vita più lunga e in buona salute in una popolazione che sta diventando sempre più vecchia come quella occidentale.
Il nematode è anche un modello fondamentale per lo studio di patologie complesse come l’Alzheimer, il Parkinson e la SLA (sclerosi laterale amiotrofica). Gli scienziati possono manipolare geneticamente C. elegans per replicare i tratti essenziali di queste malattie, osservando come si sviluppano e testando potenziali terapie.
Linee genetiche di C. elegans sono state modificate per simulare disfunzioni metaboliche simili al diabete e all’obesità. Grazie alla facilità di manipolazione genetica, i ricercatori possono studiare i meccanismi alla base di queste malattie e testare nuovi approcci terapeutici.
C. elegans è ampiamente utilizzato negli studi di farmacologia e tossicologia, compresa la tossicologia ambientale e la nano-tossicologia: “Per esempio, all’Istituto Mario Negri nel nostro Laboratorio di Patologia Umana in Organismi Modello – spiega la Diomede - lo usiamo per valutare i potenziali effetti tossici delle plastiche, in particolare delle micro- e nano-plastiche».
C. elegans è riuscito ad arrivare persino nello spazio. Questo piccolo organismo, infatti, ha accompagnato gli astronauti a bordo della Stazione Spaziale Internazionale per studiare gli effetti dell’assenza di gravità sul corpo umano.
Marianna Monte | Giornalista
con la consulenza di
Luisa Diomede | Laboratorio di Patologia Umana in Organismi Modello