L’insufficienza cardiaca, chiamata anche scompenso cardiaco, è la condizione in cui il cuore non è in grado di pompare in modo adeguato il sangue ossigenato in tutto il corpo per venire incontro alla sua richiesta energetica.
Si distingue lo scompenso cardiaco acuto, se compare all’improvviso, oppure lo scompenso cardiaco cronico, quando è il risultato dell’evoluzione a lungo termine di svariate patologie cardiache.
Le difficoltà del cuore nell’espellere una quantità sufficiente di sangue ad ogni ciclo cardiaco è causa di sintomi quali ridotta tolleranza allo sforzo, mancanza di fiato o sensazione di affanno (dispnea), aumento del peso corporeo, gonfiore degli arti inferiori e/o dell'addome, ecc.
Soffrono di insufficienza cardiaca circa 40 milioni di persone in tutto il mondo. In Italia interessa oltre 1 milione di persone con circa 90.000 nuovi casi all’anno.
È la prima causa di ospedalizzazione negli ultrasessantacinquenni, pertanto è considerato un problema di salute pubblica. La sua prevalenza aumenta con l’età, raggiungendo il 10% negli anziani. Rappresenta, quindi, una condizione che ha visto un aumento, in termini di prevalenza e d’incidenza, in relazione al netto aumento dell’aspettativa di vita nella popolazione dei paesi ad alto reddito.
Le cause d’insufficienza cardiaca sono diverse, ma i fattori di rischio più importanti sono l’ipertensione, le coronaropatie (principalmente l’ostruzione di una o più arterie coronarie), il diabete, l’obesità, il fumo e la genetica. La causa più frequente dell’insufficienza cardiaca acuta è l’infarto miocardico, mentre quelle dello scompenso cronico sono la cardiopatia ischemica, l’ipertensione arteriosa e il diabete. Alcune patologie delle valvole cardiache, altre cardiomiopatie, cardiopatie congenite, aritmie e miocarditi possono essere cause d’insufficienza cardiaca cronica.
Per eseguire la diagnosi di scompenso cardiaco occorre sottoporsi ad una visita cardiologica, durante la quale sarà ricavata informazione dettagliata sulle abitudini e capacità di compiere atti quotidiani; il medico durante un esame fisico cercherà i segni caratteristici della malattia, e inoltre saranno valutati i risultati degli esami di laboratorio, della radiografia del torace e dell’ecocardiografia.
La mortalità a 5 anni dopo la prima diagnosi di insufficienza cardiaca è comparabile a quella del cancro al polmone, cioè del 20-25%. È importante segnalare che i trattamenti oggi disponibili sono molto efficaci sia nel ridurre i sintomi che nel rallentare la progressione della malattia, migliorando la prognosi e la qualità della vita dei pazienti. Infatti, se eseguita attenendosi alle prescrizioni del medico, la terapia permette di ridurre significativamente la mortalità e le ospedalizzazioni per insufficienza cardiaca.
La terapia indicata per il trattamento dello scompenso cardiaco è prevalentemente farmacologica. La complessità della malattia fa sì che in generale non sia sufficiente l’assunzione di un solo farmaco, ma l’associazione di diversi tipi di farmaci con meccanismi d’azione differenti. I farmaci raccomandati sono i beta-bloccanti, gli ACE-inibitori, gli antagonisti del recettore di tipo 1 dell’angiotensina (ARB), gli antagonisti del recettore dei mineralcorticoidi (MRA) e gli inibitori del recettore dell’angiotensina e della neprilisina (ARNI). Di recente abbiamo a disposizione anche le glifozine o inibitori SGLT2 (trasportatori sodio-glucosio tipo 2).
Le condizioni cliniche dei pazienti possono migliorare:
L’invecchiamento della popolazione, oltre ad aumentare l'incidenza dell'insufficienza cardiaca, rende più frequente la sua associazione con altre patologie. La presenza di diabete, insufficienza renale, bronchite ostruttiva cronica e fibrillazione atriale peggiorano la prognosi e rappresentano spesso controindicazioni e limitazioni all'utilizzo di farmaci salvavita.
Di recente, è stata posta particolare attenzione sul probabile legame tra insufficienza cardiaca e lo sviluppo di tumori maligni. Negi ultimi anni, infatti, evidenze sperimentali e analisi condotte su gruppi di persone affette scompenso cardiaco hanno rivelato un’aumentata incidenza di cancro. Tuttavia, tali evidenze sono limitate e controverse, pertanto l’associazione è ad oggi oggetto di ulteriori approfondimenti da parte dei ricercatori.
Il Dipartimento di Danno Cerebrale e Cardiovascolare Acuto, insieme all’Associazione di Medici Cardiologi Ospedalieri (ANMCO), ha eseguito studi clinici includendo migliaia di pazienti affetti da insufficienza cardiaca cronica dagli anni ‘90. Il primo di loro, lo studio ValHeFT ha coinvolto 302 ospedali di 16 paesi e ha dimostrato che un antagonista del recettore di tipo 1 dell’angiotensina, il valsartan, associato alla miglior terapia disponibile per lo scompenso, riduceva significativamente la mortalità e i ricoveri per peggioramento dello scompenso dopo 2 anni di trattamento in più di 5000 pazienti con funzione contrattile del ventricolo sinistro del cuore compromessa.
Per la prima volta si è valutato il valore prognostico di molecole circolanti in migliaia di pazienti con scompenso cardiaco. In particolare si è dimostrato che il peptide natriuretico di tipo B (Brain Natiuretic Peptide, BNP), la norepinefrina e la troponina T rappresentano marcatori molto sensibili di gravità della malattia e di risposta al trattamento.
Lo studio GISSI-HF, invece, ha coinvolto 357 cardiologie italiane per verificare se 1 grammo al giorno di Omega-3 (olio di pesce) potesse migliorare la mortalità e la morbosità nei pazienti con scompenso cardiaco. I risultati di questa ricerca hanno dimostrato che il trattamento oggetto di studio riduceva significativamente la mortalità (di 3 anni e mezzo). Ad oggi lo studio GISSI-HF continua a produrre risultati che permettono di conoscere meglio i biomarcatori prognostici e per l’identificazione di possibili nuovi meccanismi associati all’insufficienza cardiaca.
Inoltre, grazie ad un finanziamento del Ministero della Salute, i ricercatori del Dipartimento svolgono ricerca epidemiologica e sperimentale, con l’obiettivo di stabilire se lo scompenso cardiaco sia associato ai tumori e, nello specifico, se favorisce la crescita del tumore.
Francesca Fumagalli - Unità di Ricerca Preclinica Cardiovascolare - Laboratorio di Fisiopatologia Cardiopolmonare - Dipartimento di Danno Cerebrale e Cardiovascolare Acuto
Lidia Irene Staszewsky e Roberto Latini - Laboratorio di Farmacologia Clinica Cardiovascolare - Dipartimento di Danno Cerebrale e Cardiovascolare Acuto
Editing Raffaella Gatta - Content Manager