Dal cielo alla terra: il virus dell'influenza aviaria è passato per la prima volta dagli uccelli alle mucche. Causerà la prossima pandemia? Facciamo chiarezza.
È passata alle mucche, per la prima volta. Il 25 marzo 2024, i funzionari federali del Dipartimento dell’Agricoltura degli Stati Uniti hanno infatti annunciato che un ceppo di influenza aviaria ad alta patogenicità è stato rilevato nelle mucche da latte. È accaduto in Texas, Kansas e Michigan, dove un numero imprecisato di esemplari sono risultati positivi al ceppo H5N1 di influenza aviaria.
L’epidemia nei bovini da latte non mostra segni di rallentamento e, nelle ultime tre settimane, H5N1 è stato riscontrato in 34 mandrie di mucche in nove diversi stati degli USA. Data l’estensione dell’infezione, le autorità Americane hanno iniziato ad imporre divieti e rigidi controlli sanitari degli animali sul territorio.
Il Dipartimento dell'Agricoltura degli Stati Uniti ha inoltre confermato che il materiale genetico del virus è stato rilevato nel latte venduto nei negozi. “Il rilevamento dell’RNA virale non rappresenta di per sé un rischio per la salute per i consumatori e ci aspettiamo di trovare questo materiale genetico residuo se il virus era nel latte crudo ed è stato inattivato dal processo di pastorizzazione per inattivare i patogeni ”, dice Nicole Martin della Cornell University. Per rilevare H5N1 è stato utilizzato un test - chiamato reazione quantitativa a catena della polimerasi - che raccoglie l'RNA virale. Poiché rileva frammenti del genoma virale, il test non è in grado distinguere tra virus attivo – e quindi potenzialmente infettante – e resti di virus morto. Effettivamente, quando i campioni di latte risultati positivi ad H5N1 tramite PCR sono stati analizzati per vedere se potessero essere infettivi, nessuno di essi è stato in grado di produrre virus vivo, come spiegato da Donald Prater, direttore ad interim del Center for Food Safety and Applied Nutrition. Secondo uno studio recentemente pubblicato su Emerging Infectious Diseases, la presenza di RNA virale nel latte, è dovuta ad un elevata proliferazione del virus all’interno dei polmoni e del tessuto mammario del bestiame infetto.
Nonostante tracce del virus siano state ritrovate nel 20% dei campioni di latte pastorizzato venduti negli USA, in quegli stessi campioni non è stata rilevata alcuna traccia di virus attivo e pericoloso. Se il latte di mucche infette dal virus dell'influenza aviaria H5N1 viene pastorizzato, infatti, non è infettivo se ingerito. Rappresenta invece un rischio se consumato crudo e non trattato. In un recente studio di Yoshihiro Kawaoka, virologo dell'Università del Wisconsin, Madison (Stati Uniti), sono stati analizzati campioni di latte crudo munto da una mandria di mucche con aviaria provenienti da un allevamento del Nuovo Messico. Topi nutriti con questo latte hanno sviluppato rapidamente sintomi di tipo neurologico (come la letargia) tipici di un'infezione da aviaria. I risultati della ricerca sono consultabili sul New England Journal of Medicine.
La presenza di materiale virale nel latte in commercio ha implicazioni anche più ampie. Questo ritrovamento suggerisce infatti che la diffusione di H5N1 tra le mucche potrebbe essere più vasta di quanto si pensasse. L'analisi genetica del virus ha dimostrato una chiara trasmissione tra le mucche, come afferma Louise Moncla, virologa evolutiva presso l’Università della Pennsylvania a Philadelphia, che ha studiato i dati genomici. Dall’analisi genetica del virus è emerso inoltre che l'epidemia nei bovini probabilmente è iniziata da diversi mesi – a dicembre o all'inizio di gennaio – ed è il risultato di una singola introduzione del virus da uccelli selvatici.
Martha Nelson, epidemiologa genomica presso il National Center for Biotechnology Information di Bethesda nel Maryland, dice di “essere stata più sorpresa dall'entità della diversità genetica nel virus che infetta il bestiame, il che indica che il virus ha avuto mesi per evolversi”. Che questo sia effettivamente così, è confermato da dati non ancora pubblicati ufficialmente, i ricercatori del National Animal Disease Center Americano hanno rilevato alcune mutazioni del virus che favoriscono l'adattamento nei mammiferi e che sono già diventate fisse in questo particolare ceppo di H5N1, probabilmente riflettendo i circa 4 mesi di diffusione ed evoluzione nel bestiame da latte.
I dati mostrano anche salti occasionali dalle mucche infette ai gatti. “Questa è un’epidemia multi-ospite”, afferma Nelson. La similarità genetica tra i virus trovati nelle mucche e nei gatti suggerisce che il consumo di latte crudo proveniente da mandrie infette da parte dei gatti è la via di trasmissione più probabile. Nei felini l’infezione con H5N1 è stata molto severa e la metà dei gatti infetti è morta.
"E che questo sia veramente un contagio multi-ospite è dato dal fatto che il salto di specie è avvenuto negli esseri umani. Tra aprile e maggio, due operatori del settore lattiero-caseario, uno in Texas e uno in Michigan, sono risultati infetti da H5N1 e hanno manifestato come unico sintomo un arrossamento degli occhi compatibile con la congiuntivite. A fine maggio 2024, un terzo lavoratore agricolo, sempre nel Michigan, è stato infettato da H5N1 ed è il primo ad aver mostrato sintomi di malattia respiratoria, tra cui tosse e mal di gola, che ha richiesto l’utilizzo di un trattamento antivirale. Sebbene tutti e tre gli individui siano stati esposti direttamente alle mucche da latte e finora nessuno abbia diffuso il virus ad altre persone, la situazione ha iniziato a generare preoccupazione riguardo a una possibile diffusione più ampia del virus tra gli addetti ai lavori nel settore lattiero-caseario.
A questi iniziali tre casi se ne sono aggiunti altri 10 nei mesi successivi, portando ad oggi - 6 agosto 2014 - il numero totale di casi umani di influenza aviaria H5 segnalati negli Stati Uniti da aprile 2024 a 13.
L’ipotesi più probabile è che il virus sia passato dagli uccelli selvatici ai bovini, per poi contagiare l’uomo.
Il Dipartimento dell’Agricoltura (USDA) degli Stati Uniti ha iniziato ad esplorare la possibilità di sviluppare e produrre vaccini contro H5N1 da utilizzare nel bestiame per proteggere sia bovini dall'infezione, ma anche per ridurre il rischio di contagio nei lavoratori agricoli.
Che il virus dell’aviaria potesse trasmettersi all’uomo lo sapevamo, è stato già dimostrato a partire dal 1997. L’interrogativo, che riflette la paura del momento, è: “Rischiamo una nuova pandemia?”
I virus dell'influenza appartengono alla famiglia degli Orthomyxoviridae che comprende sette generi di virus a RNA. Tra questi, i virus che infettano e provocano l'influenza nei vertebrati – quali uccelli, uomini ed altri mammiferi – sono solo 4:
I virus dell'influenza A sono i più comuni, associati alle epidemie influenzali stagionali. I virus dell'influenza A sono estremamente mutevoli e vengono classificati in sottotipi in base alla combinazione di due proteine che presentano sulla loro superficie: l’emagglutinina (H) e la neuraminidasi (N). I sottotipi più comuni che causano l'influenza stagionale negli esseri umani includono H1N1 e H3N2.
Il virus dell’influenza B è meno variabile rispetto al virus dell'influenza A ed è spesso associato a epidemie influenzali meno gravi. Tuttavia, può ancora causare malattie significative, specialmente nei bambini e nei giovani adulti.
I vaccini antinfluenzali vengono progettati per stimolare una risposta immunitaria specifica contro le proteine di emagglutinina e neuraminidasi dei virus influenzali. Poiché queste proteine tendono a mutare nel tempo, i vaccini devono essere aggiornati regolarmente ogni anno per mantenere l'efficacia contro le varianti più recenti del virus. La selezione dei ceppi virali per la produzione dei vaccini avviene in base alle raccomandazioni dell'Organizzazione Mondiale della Sanità, che monitora attentamente l'evoluzione dei ceppi influenzali e fornisce indicazioni sui ceppi da includere nei vaccini annuali.
Il virus H5N1 che sta attualmente causando un’epidemia nel bestiame è quindi un particolare sottotipo di virus dell’influenza A che presenta un’emagglutinina denominata H5 e una neuraminidasi denominata N1. Si tratta di un virus altamente infettivo negli uccelli selvatici e domestici. Questo virus è oggetto di attenzione a causa della sua alta patogenicità – ovvero elevata capacità di indurre malattia grave e elevati tassi di mortalità negli animali ospiti – e l’abilità di infettare occasionalmente anche gli esseri umani.
Ripercorriamo alcune delle tappe principali della storia e dell’evoluzione di questo virus:
Il virus dell’influenza aviaria è altamente infettivo, spesso mortale per gli uccelli. Anche nell’uomo, l’attuale tasso di letalità (numero di morti su numero di casi) è estremamente elevato: circa il 50% delle persone contagiate non sono sopravvissute all’infezione. Fortunatamente, le infezioni di influenza aviaria nell’uomo sono sporadiche e, a differenza di quanto accade con i ceppi dell’influenza di stagione, le persone possono contrarre l’influenza aviaria solo se esposte a diretto contatto con animali infetti o con le loro secrezioni. Infatti, è bene chiarirlo, non è mai stata registrata una trasmissione di H5N1 da una persona infetta ad un altro essere umano.
Per potersi trasmettere da uomo a uomo l’H5N1 dovrebbe subire numerose mutazioni e cambiare forma. Ad oggi, il virus non è stato in grado di evolversi in modo da potersi diffondere facilmente da una persona all’altra. Potrebbe non farlo mai.
“La storia insegna che, anche se il virus mutasse così tanto da cominciare a diffondersi da persona a persona, potrebbe dover rinunciare a qualcosa in cambio - ha dichiarato al New York Times Vincent Munster, virologo del National Institute of Allergy and Infectious Diseases - Ad esempio, quando altri virus influenzali si sono adattati all’uomo, hanno perso gran parte della loro virulenza, causando solo sintomi lievi”.
Un ulteriore ostacolo alla diffusione fra gli esseri umani è rappresentato dal fatto che il virus H5N1 non riesce ad entrare facilmente nelle cellule che rivestono naso e bocca. Sarebbe problematico se il virus sviluppasse mutazioni che lo aiutassero ad entrare in queste cellule. Una riflessione che i virologi e i microbiologi fanno da tempo.
Naturalmente, maggiore è il numero di specie di mammiferi infettate dal virus, maggiori sono le possibilità che questo si adatti e si diffonda un ceppo pericoloso per l'uomo. Nessun virologo vorrebbe mai assistere, ad esempio, a un'epidemia di influenza aviaria nei maiali: “Il maiale ospita molti virus dell'influenza A, il che lo rende l’“animale ospite” perfetto in cui i ceppi di virus degli uccelli e quelli dei mammiferi possono mescolarsi creando nuovi patogeni in grado di arrivare all’uomo”, sottolinea Florian Krammer, virologo presso la Icahn School of Medicine del Mount Sinai di New York. Diventa quindi essenziale che le aziende agricole diventino un sistema di allerta precoce per evitare future pandemie di influenza aviaria nell’uomo.
I virus, in ogni caso, sono imprevedibili. Possono sempre sorprenderci. L’ importante, quindi, è tenersi pronti.
In modelli animali da laboratorio hanno dimostrato che il trattamento con farmaci antivirali come l'oseltamivir (Tamiflu) e il zanamivir (Relenza) limitano la replicazione virale e migliorano la sopravvivenza degli animali esposti ad infezione letale con H5N1. I dati osservazionali sul trattamento con oseltamivir nelle prime fasi della malattia suggeriscono che è utile per migliorare la sopravvivenza nei pazienti infetti da virus H5N1. L’OMS raccomanda quindi oseltamivir per il trattamento di casi confermati o sospetti di infezione umana H5N1 e profilassi di quelli ad alto rischio di infezione.
Sono stati però identificati alcuni ceppi di H5N1 resistenti a questi farmaci. Per questa ragione, la ricerca sta continuamente sperimentando nuovi composti per ridurre la severità della malattia in seguito ad infezione con H5N1. Ad esempio, un recente lavoro pubblicato sulla prestigiosa rivista Cell ha utilizzato specifici anticorpi contro la neuraminidasi per proteggere animali da laboratorio dall’infezione letale del virus dell'influenza.
L'OMS ha nel cassetto alcuni vaccini candidati che forniscono protezione contro l'H5N1 e che potrebbero essere prodotti in serie. I Centers for Disease Control and Prevention (Centri per il controllo e la prevenzione delle malattie), si legge su Nature, hanno riferito che il ceppo isolato dalla persona infettata negli Stati Uniti è correlato a due ceppi interessati da un vaccino candidato.
A febbraio 2024 è stato dato parere positivo da parte del Comitato per i medicinali di uso umano (Chmp) dell’Agenzia europea dei medicinali (Ema) all’approvazione di due vaccini per prevenire l’infezione da virus influenzale A/H5N1 in Unione Europea: siamo in attesa del via libera della Commissione Europea.
Marianna Monte | Giornalista
Luca Perico | Laboratorio di biologia cellulare e medicina rigenerativa