Dal cielo alla terra: il virus dell'influenza aviaria è passato per la prima volta dagli uccelli alle mucche. Causerà la prossima pandemia? Facciamo chiarezza.
Il virus dell’influenza aviaria è passato alle mucche. Il 25 marzo 2024, il Dipartimento dell’Agricoltura degli Stati Uniti ha annunciato che un ceppo di influenza aviaria ad alta patogenicità H5N1 è stato rilevato nelle mucche da latte. I focolai sono stati identificati in Texas, Kansas e Michigan, dove un numero imprecisato di bovini è risultato positivo al virus.
L’analisi genetica indica che il virus è passato ai bovini alla fine del 2023, probabilmente a seguito di un contatto diretto con uccelli selvatici infetti. Martha Nelson, epidemiologa genomica presso il National Center for Biotechnology Information di Bethesda, dice di essere stata sorpresa dal fatto che il virus ritrovato nei bovini era geneticamente diverso, suggerendo un’evoluzione e un adattamento all’ospite nel corso di mesi.
Dati preliminari del National Animal Disease Center americano, non ancora pubblicati ufficialmente, indicano che il virus ha impiegato solo 4 mesi per acquisire le mutazioni che ne hanno favorito l'adattamento ai mammiferi.
A distanza di un anno dai primi casi, il virus ha ormai colpito altre 900 mandrie negli Stati Uniti. In risposta alla crescente diffusione, per limitare la trasmissione le autorità Americane hanno imposto divieti e rigidi controlli sanitari degli animali sul territorio.
Il Dipartimento dell'Agricoltura degli Stati Uniti ha inoltre confermato che il materiale genetico del virus è stato rilevato nel latte in commercio. Secondo uno studio recentemente pubblicato su Emerging Infectious Diseases, la presenza di RNA virale nel latte è dovuta a una replicazione attiva del virus nel tessuto mammario dei bovini infetti. Nicole Martin, ricercatrice della Cornell University, ha dichiarato “la presenza di RNA virale nel latte non rappresenta di per sé un rischio per i consumatori, poiché il processo di pastorizzazione inattiva il virus”.
Rappresenta invece un rischio se consumato crudo. Un recente studio condotto da Yoshihiro Kawaoka, virologo dell'Università del Wisconsin, ha dimostrato che topi nutriti con latte crudo proveniente da una mandria infetta del Nuovo Messico hanno sviluppato rapidamente sintomi neurologici tipici dell’infezione da H5N1. I risultati della ricerca sono stati pubblicati sul New England Journal of Medicine.
In linea con questi dati, diverse infezioni sono state identificate anche nei gatti probabilmente a causa del consumo di latte crudo contaminato. L’analisi genetica ha confermato questa ipotesi, evidenziando una forte somiglianza tra il virus isolato nei felini e quello presente nei bovini. Come afferma Martha Nelson, “questa è un’epidemia multi-ospite”. Nei felini l’infezione si è rivelata particolarmente severa e la metà dei gatti infetti è morta. Dati più recenti indicano che un’altra via di trasmissione nei felini è rappresentato dal cibo per animali domestici a base di pollo e derivati. La situazione ha spinto le autorità sanitarie a rafforzare le misure di sicurezza alimentare per ridurre i rischi di contaminazione negli animali domestici.
E che questo sia veramente un contagio multi-ospite è dato dal fatto che il salto di specie non si è limitato solo ai gatti, ma è avvenuto anche negli esseri umani. Ad oggi, almeno 68 casi di infezione sono stati confermati nell’uomo. La maggior parte dei pazienti ha manifestato sintomi lievi, come congiuntivite e disturbi respiratori, ma è stato registrato almeno un caso letale. Che il virus dell’aviaria potesse trasmettersi all’uomo lo sapevamo, è stato già dimostrato a partire dal 1997. L’interrogativo, che riflette la paura del momento, è: “Rischiamo una nuova pandemia?
I virus dell'influenza appartengono alla famiglia degli Orthomyxoviridae che comprende sette generi di virus a RNA. Tra questi, i virus che infettano e provocano l'influenza nei vertebrati – quali uccelli, uomini ed altri mammiferi – sono solo 4:
I virus dell'influenza A sono i più comuni, associati alle epidemie influenzali stagionali. I virus dell'influenza A sono estremamente mutevoli e vengono classificati in sottotipi in base alla combinazione di due proteine che presentano sulla loro superficie: l’emagglutinina (H) e la neuraminidasi (N). I sottotipi più comuni che causano l'influenza stagionale negli esseri umani includono H1N1 e H3N2.
Il virus dell’influenza B è meno variabile rispetto al virus dell'influenza A ed è spesso associato a epidemie influenzali meno gravi. Tuttavia, può ancora causare malattie significative, specialmente nei bambini e nei giovani adulti.
I vaccini antinfluenzali vengono progettati per stimolare una risposta immunitaria specifica contro le proteine di emagglutinina e neuraminidasi dei virus influenzali. Poiché queste proteine tendono a mutare nel tempo, i vaccini devono essere aggiornati regolarmente ogni anno per mantenere l'efficacia contro le varianti più recenti del virus. La selezione dei ceppi virali per la produzione dei vaccini avviene in base alle raccomandazioni dell'Organizzazione Mondiale della Sanità, che monitora attentamente l'evoluzione dei ceppi influenzali e fornisce indicazioni sui ceppi da includere nei vaccini annuali.
Il virus H5N1 che sta attualmente causando un’epidemia nel bestiame è quindi un particolare sottotipo di virus dell’influenza A che presenta un’emagglutinina denominata H5 e una neuraminidasi denominata N1. Si tratta di un virus altamente infettivo negli uccelli selvatici e domestici. Questo virus è oggetto di attenzione a causa della sua alta patogenicità – ovvero elevata capacità di indurre malattia grave e elevati tassi di mortalità negli animali ospiti – e l’abilità di infettare occasionalmente anche gli esseri umani.
Ripercorriamo alcune delle tappe principali della storia e dell’evoluzione di questo virus:
Il virus dell’influenza aviaria è altamente infettivo, spesso mortale per gli uccelli. Anche nell’uomo, l’attuale tasso di letalità (numero di morti su numero di casi) è estremamente elevato: circa il 50% delle persone contagiate non sono sopravvissute all’infezione. Fortunatamente, le infezioni di influenza aviaria nell’uomo sono sporadiche e, a differenza di quanto accade con i ceppi dell’influenza di stagione, le persone possono contrarre l’influenza aviaria solo se esposte a diretto contatto con animali infetti o con le loro secrezioni. Infatti, è bene chiarirlo, non è mai stata registrata una trasmissione di H5N1 da una persona infetta ad un altro essere umano.
Per potersi trasmettere da uomo a uomo l’H5N1 dovrebbe subire numerose mutazioni e cambiare forma. Ad oggi, il virus non è stato in grado di evolversi in modo da potersi diffondere facilmente da una persona all’altra. Potrebbe non farlo mai.
“La storia insegna che, anche se il virus mutasse così tanto da cominciare a diffondersi da persona a persona, potrebbe dover rinunciare a qualcosa in cambio - ha dichiarato al New York Times Vincent Munster, virologo del National Institute of Allergy and Infectious Diseases - Ad esempio, quando altri virus influenzali si sono adattati all’uomo, hanno perso gran parte della loro virulenza, causando solo sintomi lievi”.
Un ulteriore ostacolo alla diffusione fra gli esseri umani è rappresentato dal fatto che il virus H5N1 non riesce ad entrare facilmente nelle cellule che rivestono naso e bocca. Sarebbe problematico se il virus sviluppasse mutazioni che lo aiutassero ad entrare in queste cellule. Una riflessione che i virologi e i microbiologi fanno da tempo.
Naturalmente, maggiore è il numero di specie di mammiferi infettate dal virus, maggiori sono le possibilità che questo si adatti e si diffonda un ceppo pericoloso per l'uomo. Nessun virologo vorrebbe mai assistere, ad esempio, a un'epidemia di influenza aviaria nei maiali: “Il maiale ospita molti virus dell'influenza A, il che lo rende l’“animale ospite” perfetto in cui i ceppi di virus degli uccelli e quelli dei mammiferi possono mescolarsi creando nuovi patogeni in grado di arrivare all’uomo”, sottolinea Florian Krammer, virologo presso la Icahn School of Medicine del Mount Sinai di New York. Diventa quindi essenziale che le aziende agricole diventino un sistema di allerta precoce per evitare future pandemie di influenza aviaria nell’uomo.
I virus, in ogni caso, sono imprevedibili. Possono sempre sorprenderci. L’ importante, quindi, è tenersi pronti.
In modelli animali da laboratorio hanno dimostrato che il trattamento con farmaci antivirali come l'oseltamivir (Tamiflu) e il zanamivir (Relenza) limitano la replicazione virale e migliorano la sopravvivenza degli animali esposti ad infezione letale con H5N1. I dati osservazionali sul trattamento con oseltamivir nelle prime fasi della malattia suggeriscono che è utile per migliorare la sopravvivenza nei pazienti infetti da virus H5N1. L’OMS raccomanda quindi oseltamivir per il trattamento di casi confermati o sospetti di infezione umana H5N1 e profilassi di quelli ad alto rischio di infezione.
Sono stati però identificati alcuni ceppi di H5N1 resistenti a questi farmaci. Per questa ragione, la ricerca sta continuamente sperimentando nuovi composti per ridurre la severità della malattia in seguito ad infezione con H5N1. Ad esempio, un recente lavoro pubblicato sulla prestigiosa rivista Cell ha utilizzato specifici anticorpi contro la neuraminidasi per proteggere animali da laboratorio dall’infezione letale del virus dell'influenza.
L'OMS ha nel cassetto alcuni vaccini candidati che forniscono protezione contro l'H5N1 e che potrebbero essere prodotti in serie. I Centers for Disease Control and Prevention (Centri per il controllo e la prevenzione delle malattie), si legge su Nature, hanno riferito che il ceppo isolato dalla persona infettata negli Stati Uniti è correlato a due ceppi interessati da un vaccino candidato.
A febbraio 2024 è stato dato parere positivo da parte del Comitato per i medicinali di uso umano (Chmp) dell’Agenzia europea dei medicinali (Ema) all’approvazione di due vaccini per prevenire l’infezione da virus influenzale A/H5N1 in Unione Europea: siamo in attesa del via libera della Commissione Europea.
Marianna Monte | Giornalista
Luca Perico | Laboratorio di biologia cellulare e medicina rigenerativa