Tutto sulla congiunzione chirurgica tra un'arteria e una vena fondamentale perché i pazienti che soffrono di insufficienza renale cronica possano effettuare la dialisi.
I pazienti che si trovano allo stadio più grave di insufficienza renale cronica perdono quasi completamente la funzionalità del rene che, normalmente, filtra il sangue eliminando, attraverso le urine, le sostanze di scarto e preserva l'equilibrio idrosalino nel nostro corpo. Devono quindi essere sottoposti a dialisi: per 3-4 ore, due o tre volte a settimana, il sangue viene prelevato e fatto passare attraverso un filtro per depurarlo dai prodotti di scarto del metabolismo. I nostri vasi sanguigni sono tuttavia inadatti a fornire un flusso di sangue sufficiente e costante per effettuare la dialisi (idealmente compreso fra 300 e 500 mL/min). Normalmente, infatti, il sangue fluisce dalle arterie, passa attraverso i capillari e quindi nelle vene: le arterie trasportano il sangue, ricco di ossigeno e nutrienti, dal cuore al resto del corpo, le vene riportano il sangue dal corpo al cuore. Il flusso ematico nelle vene è troppo basso per consentire il trattamento di emodialisi, mentre le arterie, site più in profondità sotto la pelle, sono difficili da raggiungere.
Ecco che allora entra in gioco la fistola arterovenosa.
La fistola arterovenosa (FAV) per il trattamento emodialitico è una congiunzione chirurgica fra un’arteria ed una vena (da qui il nome “arterovenosa”) creata nel braccio del paziente allo scopo di far defluire il sangue che scorre nel sistema arterioso direttamente in quello venoso, saltando così la circolazione periferica della mano. In sostanza il sangue, anziché uscire dall’arteria e percorrere i vasi del braccio e della mano, entra direttamente nella vena. In questo modo, la vena della fistola è sottoposta a un flusso sanguigno e a una pressione arteriosa superiori rispetto a quelli di una vena normale, e si può percepire il caratteristico “thrill”, “fremito” palpabile, segno del buon funzionamento della fistola.
La fistola viene creata nel corso di un piccolo intervento chirurgico, in genere non doloroso, che prevede un’incisione cutanea e può richiedere alcune ore. L’intervento viene eseguito solitamente in anestesia locale, utilizzando un’arteria e una vena del paziente. A realizzarlo per la prima volta furono negli anni ’60 due grandi chirurghi, Michael Brescia e James Cimino, ragion per cui la fistola arterovenosa viene talvolta chiamata fistola di Cimino-Brescia.
La fistola arterovenosa è l’accesso vascolare di prima scelta realizzato al fine di poter effettuare la depurazione extracorporea del sangue con la macchina di dialisi. In particolare, il sangue del paziente viene prelevato attraverso un ago, fatto passare nel circuito emodialitico e reintrodotto nella circolazione del paziente tramite un secondo ago.
La fistola non può essere incannulata subito dopo l’intervento, ma è necessario attendere almeno un mese. Nelle settimane che seguono la chirurgia, difatti, la FAV va incontro a un processo di “maturazione”, il vaso si dilata e si ispessisce in modo da agevolare il prelievo del sangue e assicurare un trattamento dialitico efficiente.
Tra le complicanze più comuni legate alla fistola arterovenosa per la dialisi vi sono:
È causata dalla formazione di un coagulo di sangue all'interno della vena utilizzata per la fistola artero-venosa. Si riconosce per l’assenza del thrill percepibile alla palpazione del vaso. Per evitare complicazioni come la trombosi, è importante evitare qualsiasi pressione sul braccio interessato. Ad esempio: non indossare indumenti stretti, orologi o braccialetti che possano ridurre il flusso ematico oppure evitare di dormire sul fianco premendo il braccio della fistola.
Le infezioni della fistola sono rare, ma quando si verificano possono presentarsi con sintomi come arrossamento, gonfiore, dolore locale o pus.
Gli ematomi sono una delle complicanze più comuni della fistola arterovenosa per la dialisi e si verificano a causa dello stravaso di sangue nei tessuti circostanti, spesso conseguente alla rottura di piccoli vasi.
A un anno dalla chirurgia circa il 40% delle fistole non sono più utilizzabili. Questo perché si sviluppano nella vena delle stenosi, ossia dei restringimenti nel vaso che ostacolano il passaggio di sangue o, addirittura, lo impediscono completamente. Le cause che portano al fallimento delle fistole non sono note, ma diversi gruppi di ricercatori hanno mostrato che c’è una relazione tra il flusso disturbato che si crea nelle fistole, caratterizzato da vortici e ricircoli, e lo sviluppo di stenosi.
Al fine di intervenire sulle fistole e dilatarle chirurgicamente prima che si chiudano completamente, le linee guida raccomandano un monitoraggio ecografico della fistola a cadenza trimestrale.
Negli anni, alcuni infermieri e nefrologi hanno sviluppato l'abilità di auscultare le fistole con lo stetoscopio per valutarne qualitativamente la funzionalità. Fistole ben funzionanti producono suoni più gravi, mentre quelle malfunzionanti emettono suoni più acuti, simili a fischi. Tuttavia, queste valutazioni sono qualitative e si basano sulla buona volontà dell’operatore, sulla sua esperienza e sul suo “orecchio”.
Un gruppo di ricercatori del Dipartimento di Bioingegneria dell'Istituto Mario Negri sta investigando da anni il meccanismo-meccano biologico che porta alla stenosi e al fallimento delle FAV. Recenti studi computazionali del nostro gruppo hanno mostrato una relazione tra il flusso disturbato del sangue che produce vibrazioni nella parete vascolare e la formazione di stenosi. Questi studi prevedono l’uso di sofisticate tecniche di fluidodinamica computazionale applicate in modellini virtuali 3D di FAV ricavati da immagini di risonanza magnetica acquisite sul paziente. Studi longitudinali sono in corso e permetteranno di chiarire il ruolo dell’emodinamica e delle vibrazioni di parete nel fallimento delle FAV.
Inoltre, i ricercatori dell’istituto hanno recentemente sviluppato un metodo innovativo, economico, non invasivo e veloce per poter monitorare le fistole in modo continuativo. Si tratta di un metodo di analisi quantitativo, basato sulla registrazione e analisi dei suoni generati dalla fistola, che consente la rilevazione delle vibrazioni ad alta frequenza della parete vascolare, che per la prima volta ha mostrato il grande potenziale che ha l’analisi del suono al fine di individuare le stenosi fin dal loro esordio.
Una tecnologia necessaria e importante considerato anche che, allo stato attuale, la mancanza di personale formato e la scarsità di risorse fanno sì che un adeguato programma di sorveglianza della fistola venga messo in atto solo in pochi centri. Se applicato su larga scala questo metodo potrà favorire la diagnosi precoce di complicazioni, migliorando la gestione clinica e la qualità della vita di migliaia di pazienti in emodialisi.
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