Nel 2019 il gruppo di Rafael Martinez ha pubblicato sulla prestigiosa rivista British Journal of Clinical Pharmacology un commento a sostegno del concetto di intercambiabilità dei farmaci biologici, siano essi gli originatori brevettati, cioè i prodotti originali entrati per primi in commercio, o i relativi farmaci biosimilari, prodotti alla scadenza del brevetto degli originatori. Intercambiabilità vuol dire la possibilità di sostituire nella cura di un paziente in modo sicuro ed efficace un medicinale di riferimento con il suo biosimilare o viceversa.
In questo articolo verrà approfondito proprio questo concetto di intercambiabilità, che, ormai, dovrebbe essere riconosciuto come scientifico, scoprendo quanto sia intrinseco alla biosimilarità.
I farmaci biologici, a differenza di quelli prodotti per sintesi chimica, sono molecole complesse, come ormoni o anticorpi, i cui processi produttivi, altrettanto complessi, implicano l’uso di materiale biologico (cellule, microorganismi, etc).
Dato che il materiale biologico utilizzato nel processo produttivo non può essere sempre uguale a sé stesso, anche il prodotto sarà diverso di volta in volta, in ogni successivo lotto di produzione. Questo a maggior ragione quando vi siano modifiche nel processo di produzione o un cambio del sito di produzione.
Trasferendo questo concetto ad un esempio pratico, pensiamo ad una tavola imbandita: le singole stoviglie, che rappresentano le molecole semplici dei farmaci di sintesi, possono essere uguali tra loro, ma l’allestimento di una tavola, che rappresenta la molecola complessa del farmaco biologico, inevitabilmente varierà di volta in volta, anche solo per il diverso distanziamento tra le posate o il diverso posizionamento dei bicchieri.
La similarità tra farmaci originatori e biosimilari, così come tra i diversi lotti di produzione di entrambi, è garantita dalla conduzione, sia a livello preclinico che clinico, di studi di confronto delle caratteristiche:
Inoltre, a volte, perfino dalla conduzione di studi clinici che confrontino anche l’efficacia e la sicurezza di due prodotti biologici. La comparabilità tra prodotti biologici e tra i loro lotti di produzione derivata da questi studi è alla fine vagliata e certificata dall’autorità regolatoria europea del farmaco (Ema). Questo rigoroso programma di ricerca e sviluppo prima, e regolatorio poi, documenta la sostanziale similarità tra prodotti biologici, ovvero la loro biosimilarità.
L'approccio utilizzato per avvalorare la biosimilarità è un perfezionamento delle procedure applicate ormai in modo sicuro da decenni a lotti di prodotti biologici. Un altro aspetto importante che entra in causa quando un farmaco deve essere definito biosimilare è rappresentato dalle sperimentazioni nei pazienti, sperimentazioni fondamentali nel processo di conferma ancor più degli studi analitici a fini comparativi. La necessità di eseguire studi clinici nei pazienti è stata, infatti, oggetto di dibattito per un certo numero di anni.
Le solide basi scientifiche e la grande quantità di dati sperimentali necessari per la dimostrazione della biosimilarità afferma che il concetto di intercambiabilità è intrinseco e inscindibile da quello di biosimilarità. Quindi, è assolutamente giustificato dal punto di vista scientifico sostituire un farmaco biologico con il rispettivo biosimilare. D’altronde, senza tante riserve e titubanze, generalmente si continua il trattamento con un farmaco originatore senza curarsi dei cambiamenti nei processi di produzione dei lotti del prodotto nel tempo.
Infatti, come afferma il prof. Silvio Garattini nell'articolo "Troppi pregiudizi contro i biosimilari ...." : È noto, infatti, che nel corso del tempo in cui il prodotto biologico ha il monopolio, la sua produzione può cambiare anche 20-30 volte. Quindi si può dire che il biologico è il primo campione che viene utilizzato per i primi studi clinici, mentre quando viene messo in commercio è il biosimilare di se stesso. Si può quindi concludere che sia il prodotto originale, sia il prodotto realizzato quando è scaduto il brevetto sono sempre dei biosimilari. In altre parole non esiste una differenza fra i due termini biologico e biosimilare”.
La documentazione prodotta durante il processo di comparabilità è corredata da particolari così scrupolosi tanto da esser ritenuta a volte addirittura superflua dallo stesso ente regolatorio europeo. La valutazione dell’efficacia e della sicurezza clinica di un farmaco biosimilare in confronto alla valutazione fatta per un farmaco biologico di riferimento, in realtà, non sembra aggiungere molto alla definizione della biosimilarità, documentata dagli studi fisico-chimici e funzionali. Anzi, c’è il rischio che la variabilità della risposta soggettiva a un prodotto biologico, inclusi i biosimilari, porti a risultati fuorvianti.
La mancata risposta a un trattamento biologico, infatti, non è necessariamente legata alle inevitabili piccolissime differenze tra lotti diversi o tra il prodotto originale e il suo biosimilare. E’ assai più probabile che quella mancata risposta sia dovuta alla refrattarietà del paziente all’azione del farmaco biologico, a prescindere dal suo essere originatore o biosimilare.
Può anche darsi che la risposta venga meno per l’insorgere nel paziente di anticorpi che, legandosi al farmaco biologico, lo inattivano indipendentemente dal suo essere originatore o biosimilare. A sfavore degli studi clinici di confronto tra biologici e biosimilari depone anche la loro durata, spesso troppo breve perché evidenzi l’eventuale sviluppo di forme di resistenza al biologico o di reazioni immunitarie che lo inattivino.
Ecco, quindi, che, oltre alla necessità di verificare la similiarità tra prodotti biologici, è ancora più importante monitorare il loro livello e quello dei rispettivi anticorpi nel sangue (test che per uniformità si eseguono prima di una successiva somministrazione del biologico). Tecnologie innovative, quale quella basata sulla risonanza plasmonica di superficie, messa a punto da Marco Gobbi e Marten Beeg all’Istituto Mario Negri, potrebbero rappresentare uno strumento efficace per questo monitoraggio terapeutico, utile non solo allo studio dei biosimilari, ma anche all’ottimizzazione delle terapie. La conoscenza delle concentrazioni di farmaco e anticorpi anti-farmaco (ADA) nel sangue consentirebbe non solo di interpretare meglio l’andamento clinico dei pazienti ma anche di orientare, di conseguenza, le opportune scelte cliniche.
Tra gli scenari possibili possiamo, quindi, prefigurare:
Il monitoraggio rappresenta uno strumento ottimale per diversi motivi:
L’intercambiabilità tra biologici e biosimilari ha come obiettivo un uso ottimale delle risorse, considerando la possibilità di sostituire il biologico di riferimento con il rispettivo biosimilare. Infatti, i biosimilari sono meno costosi, innanzitutto perché la ricerca e lo sviluppo necessari a metterli sul mercato costano meno, e poi perché per ciascun biologico possono essere prodotti più biosimilari, il che aumenta la concorrenza, riducendo di conseguenza i prezzi. Tutto questo senza intaccare il diritto del paziente di godere del migliore trattamento disponibile, come garantito dal criterio della biosimilarità e dal rigoroso processo analitico e regolatorio che la documenta.
L’ottimizzazione delle risorse è spesso equivocata come tentativo di risparmiare sulla pelle dei pazienti. Questo non è proprio vero, tantomeno nel caso dei biosimilari. Evitare sprechi significa semmai mantenere la sostenibilità del nostro preziosissimo Servizio sanitario nazionale (Ssn) a vantaggio di tutti i pazienti.
In una nota del 5 novembre 2019, Loredano Giorni – componente del Comitato Prezzi e Rimborso dell’Aifa (l’Agenzia italiana del farmaco) – ricorda che “sulla base dei consumi e dei prezzi medi pagati nelle singole regioni per le 13 molecole biologiche per cui è presente in commercio il relativo farmaco biosimilare, se allineassimo il prezzo medio della molecola … al prezzo minimo regionale rilevato… si otterrebbe, su base annua, un risparmio a livello nazionale di 580,6 milioni di euro. Considerato che nelle regioni con la migliore performance nel consumo di biosimilari vengono raggiunte quote intorno al 70% (a fronte di regioni che non raggiungono il 10%) e che i prezzi dei biosimilari sono all’incirca uniformi sul territorio nazionale si può ipotizzare che l’allineamento al prezzo minimo regionale della totalità dei consumi potrebbe portare il risparmio di cui sopra per l’Ssn a circa 700 milioni di euro annui”.
E su quest’onda, anche il Prof. Silvio Garattini, sempre nell’articolo pubblicato su Il sole 24 ore, ribadisce “Abbiamo tutti il dovere di avere comportamenti che aiutano la sostenibilità del Servizio sanitario nazionale, seguendo il dettato del Consiglio di Stato che ha richiesto ai medici di scegliere fra prodotti analoghi a quelli che costano di meno”.
Considerato che nel 2018 la spesa per farmaci erogati dal Ssn ammontava a circa 22 miliardi e mezzo (il che significa il 20% dell’intera spesa sanitaria nazionale, che copre personale, strutture, apparecchiature, grandi interventi chirurgici, trapianti, dialisi, etc.), evitare uno spreco di 700 milioni privo di ragionevolezza scientifica è un dovere di tutti, operatori della salute e cittadini pazienti.
L'uso di biosimilari non dovrebbe costituire un'eccezione alla regola generale della pratica medica, in particolare perché vi sono diversi fattori, al di là dei principi attivi, che potrebbero influire sul risultato terapeutico. Questa posizione è sostenuta da diverse associazioni mediche, come la Società Europea di Oncologia Medica (ESMO), o la Società Spagnola di Reumatologia (SER) che sostengono l'intercambiabilità nei pazienti stabili, purché il passaggio sia deciso dal medico durante una valutazione individuale, e che sia in accordo con il paziente.
Una conoscenza approfondita del contesto scientifico a sostegno della biosimilarità/intercambiabilità combinata ad un adeguato livello di comunicazione con i pazienti, può contribuire alla massimizzazione del valore dei farmaci biosimilari. Il loro contributo alla sostenibilità e l'accesso dei pazienti è il principale fattore di sviluppo dei biosimilari, e i medici devono essere sempre più coinvolti nella gestione delle risorse liberate dal loro uso. Tutto ciò è promosso attualmente sia in Francia che nel Regno Unito attraverso un decreto che incoraggia sperimentalmente la prescrizione di biosimilari, basandosi in parte su una ridistribuzione del bilancio supplementare derivante da un aumento dell'utilizzazione dei biosimilari. Infatti, il loro uso terapeutico dovrebbe basarsi su principi scientifici. Una piena comprensione scientifica dell'intercambiabilità può, quindi, aumentare la fiducia tra i medici che attualmente prescrivono biosimilari solo a pazienti ingenui, e può rendere più confortevole il passaggio dal farmaco di riferimento ad un biosimilare, sostenendone ulteriormente il loro impatto positivo.