Il documento sulle cure domiciliari, già divulgato in versione pre-print per trasmettere ai Medici di Medicina Generale sin da subito i significativi dati emersi, ha ora ottenuto l’ufficialità della pubblicazione. I risultati dello studio del Mario Negri sono comparabili a quelli riportati dal Lancet su un farmaco cortisonico comunemente usato per l’asma che si somministra per inalazione.
Bergamo, 11 giugno 2021 - I risultati erano già in pre-print, ma ora giunge anche il riconoscimento ufficiale: lo studio clinico per il trattamento domiciliare dei pazienti Covid-19 ideato dal professor Fredy Suter, per anni primario dell’Unità di Malattie infettive degli allora Ospedali Riuniti e oggi primario emerito dell’Ospedale Papa Giovanni XXIII di Bergamo – e dal professor Giuseppe Remuzzi – direttore dell’Istituto di Ricerche Farmacologiche Mario Negri IRCCS – è stato pubblicato sulla rivista “EClinicalMedicine”. Il magazine fa capo alla testata inglese “The Lancet”.
Le evidenze dello studio clinico, “A simple, home-therapy algorithm to prevent hospitalisation for Covid-19 patients: a retrospective observational matched-cohort study" (Un semplice algoritmo per il trattamento domiciliare di pazienti Covid-19 per prevenire l'ospedalizzazione), elaborato da Suter, Norberto Perico e Remuzzi e frutto della collaborazione con un gruppo di medici di famiglia di Varese e di Teramo, mostrano l’importanza di un intervento tempestivo alla comparsa dei primi lievi sintomi della malattia, senza attendere l’esito del tampone. Nei primi 2-3 giorni, infatti, il Covid-19 è in fase di incubazione: la persona non presenta ancora sintomi. Nei 4-7 giorni successivi, la carica virale aumenta facendo comparire i primi sintomi (tosse, febbre, stanchezza, dolori muscolari, mal di gola, nausea, vomito, diarrea). Intervenire in questa fase, iniziando a curarsi a casa e trattando il Covid-19 come si farebbe con qualsiasi altra infezione respiratoria, ancora prima che sia disponibile l'esito del tampone, potrebbe aiutare ad accelerare il recupero e a ridurre l’ospedalizzazione.
Secondo lo studio, i farmaci antinfiammatori non steroidei (FANS) sono probabilmente quelli più indicati nelle prime fasi della malattia.
“Ci auguriamo – spiega Remuzzi – che questo approccio possa prevenire in un certo numero di casi l’evoluzione verso le forme più gravi della malattia e la necessità di ricorrere all’ospedale. Il nostro studio è imperfetto perché retrospettivo, ma è interessante che, proprio in questi giorni, un articolo apparso su “The Lancet” di ricercatori inglesi e australiani conferma i nostri risultati con un approccio precoce basato su un preparato anti-asma (che contiene una piccola quantità di cortisone) da somministrare per inalazione nelle primissime fasi della malattia”. “È molto importante – sottolinea Suter – che i suggerimenti che derivano da questi studi non siano interpretati come un “fai da te”. È il medico di famiglia che deve prendere queste decisioni, giudicando di volta in volta quale sia il farmaco più adatto in rapporto ai sintomi e alle condizioni cliniche del suo paziente”.
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