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Se è vero che la mascherina è il nostro vero vaccino, come ha affermato di recente il Prof. Remuzzi, è di fondamentale importanza comprendere a pieno come va utilizzato questo importante strumento di protezione.
Grazie alle mascherine ci si ammala di meno, e sembra che la carica virale del SARS-CoV-2 scenda del 30%.
“La mascherina, infatti – spiega il Direttore- rappresenta un vero e proprio scudo anti-Covid che lascia passare solo il 30% del virus, quantità non sufficiente a contagiare né noi stessi, né chi abbiamo di fronte.”
La comunità scientifica sostiene strenuamente l'uso delle mascherine.
Studi recenti suggeriscono che queste potrebbero salvare la vita in diversi modi:
Resta adesso fondamentale capire come indossarle e quando usarle.
Ci sono molti tipi di mascherine, da indossare a seconda degli ambienti frequentati. In ambiente sanitario, ad esempio, la mascherina standard da utilizzare deve essere capace di proteggere chi la indossa, filtrando il 95% delle particelle trasportate dall'aria.
Ma quali mascherine dovrebbero portare invece i comuni cittadini? Mascherine chirurgiche o mascherine di tessuto?
Esistono tre macro-categorie di mascherine:
Le mascherine chirurgiche sono considerate un dispositivo medico (DM), indossate storicamente da medici e operatori sanitari. Pensiamo al chirurgo durante un intervento o ad un dentista durante un’estrazione di un dente: chi indossa una mascherina chirurgica non solo non contamina l’ambiente operatorio ma protegge anche se stesso da eventuali schizzi di fluidi che possono venire a contatto con la propria bocca.
La sua capacità filtrante verso chi la indossa è bassa (stimata intorno al 20%), mentre verso l’esterno è estremamente elevata e nel caso dei batteri può superare il 95%.
Le mascherine chirurgiche devono essere prodotte nel rispetto della norma tecnica UNI EN 14683 del 2019.
Le loro caratteristiche fondamentali sono:
I dispositivi medici sono monouso e col tempo si deteriorano. Se ne distinguono di tre tipi:
Questa tipologia di mascherina appartiene ai dispositivi di protezione individuale (DPI) e sono normate dal decreto legislativo 475/1992 e dalle norme UNI EN 149:2009.
Si distinguono tre tipi diversi, sulla base della loro capacità di filtraggio:
I dispositivi di protezione individuale proteggono l’utilizzatore da ciò che circola negli ambienti esterni, soprattutto da sostanze sotto forma di aerosol (ovvero goccioline di dimensioni molto piccole).
I DPI possono essere con o senza valvola: quelli dotati di valvola sono sicuramente dispositivi più confortevoli perché favoriscono il processo di espirazione. Attenzione però perché questo tipo di mascherine non può però essere indossato da chiunque e in qualsiasi condizione: se esempio ad indossare un DPI con valvola è un soggetto positivo al Covid-19, l’aerosol rilasciato dall’espirazione contenente particelle virali verrà rilasciato nell’ambiente e quindi questa protezione non riuscirà a fermare il contagio. Per questo motivo queste mascherine sono definite le “mascherine egoiste”.
Le facciali filtranti possono essere monouso o riutilizzabili: questa caratteristica compare tra le specifiche tecniche riportate sul prodotto stesso (NR ad esempio sta per “non riutilizzabile”).
Negli Stati Uniti ad esempio circolano altri standard, in cui il numero dopo la N indica la capacità di filtraggio (N95, N99, N100), in Cina le K95, che sono equiparabili alle N95 americane o alle nostre FFP2.
Una spiegazione per i più curiosi. 0.3 micron corrispondono a 300 nanometri. Il SARS-CoV-2 ha una dimensione di 160nm. Se, quindi, un dispositivo di protezione individuale, come una FFP3, filtra particelle da 300 nanometri, come fa a bloccare l’ingresso del coronavirus che è effettivamente molto più piccolo?
In realtà più è elevata l’efficienza in percentuale di un filtro che blocca 300 nanometri più è buona l’efficienza dello stesso filtro anche nel bloccare il passaggio di particelle più piccole, come ad esempio le particelle virali. Anzi, paradossalmente, proprio perché più piccole, le particelle virali sono più facili da catturare in quanto il loro movimento nell’aria non è un movimento lineare, ma un movimento casuale (in gergo tecnico browniano). In più le particelle virali vengono veicolate da goccioline di dimensioni maggiori o droplet, che si avvicinano agli 0.3 micron.
Le mascherine di comunità non rientrano né nel gruppo dei dispositivi medici né tantomeno in quello dei facciali filtranti o DPI.
Queste mascherine “fai da te” possono essere prodotte secondo l’art.16 comma 2 del d.l. 8/2020. Dal punto di vista tecnico però per questo tipo di protezione non è prevista nessuna valutazione né da parte dell’Istituto Superiore di Sanità né dell’INAIL.
Proprio per questo motivo le mascherine di comunità non possono essere utilizzate in ambiente ospedaliero o per prestare assistenza in quanto mancano dei requisiti tecnici propri dei DM o dei DPI.
Ma qual è la loro capacità filtrante? Quali sono i tessuti più adatti? In realtà esistono parecchi tessuti capaci di filtrare goccioline di dimensioni più grandi o droplet mentre allo stesso tempo risultano inefficaci nei confronti delle goccioline più piccole o aerosol. Le fibre naturali mostrano prestazioni migliori rispetto a quelle sintetiche e per certo due strati sono meglio di uno. Esistono poi materiali utilizzati per produrre sacchetti per aspirapolvere o filtri per fare caffè americano che hanno una buona capacità di filtraggio, talmente buona però da rendere piuttosto difficile la respirazione. Oltre che dai materiali, la protezione dipende poi anche da quanto la mascherina si adatta e aderisce al viso. Tra i materiali più utilizzati si trovano panni di carta monouso, cotone proveniente da lenzuola, tessuto di cotone a due strati.
La cosa importante però a questo punto è anche capire come sanificarle: infatti questo tipo di mascherine, prima di essere riutilizzate, va lavato accuratamente ad alte temperature (almeno 60 gradi).
L’utilizzo sbagliato di una mascherina può annullare totalmente il suo utilizzo rendendolo addirittura più pericoloso. Per questo motivo è bene seguire alcuni importanti passaggi per indossarla nel modo corretto, così come fa un chirurgo prima di un intervento.
Appena scoppiata la pandemia di Covid-19, non sapevamo come si diffondesse questo virus e, quindi, non eravamo nemmeno a conoscenza di quali potessero essere delle buone raccomandazioni per la salute pubblica. Fatto sta che man mano che il numero dei contagi aumentava, le scorte di qualsiasi tipo di strumento di protezione si sono esaurite, lasciando così scoperti anche gli stessi operatori sanitari.
In estate sono arrivate le prime prove che l’utilizzo di mascherine sembrava ridurre in maniera molto significativa la diffusione del contagio. Bisogna considerare che la conduzione di studi con metodologia solida (per esempio con assegnazione casuale dell’intervento/trattamento) è particolarmente difficoltosa nel caso delle mascherine.
Anche se la qualità delle prove scientifiche non è elevata, i dati disponibili indicano che le mascherine possono essere utili nel ridurre il rischio di diffusione della malattia.
In America, ad esempio, riunioni di massa, fatta da gente “mascherata”, non ha contribuito ad un aumento dei contagi. Così come poi altre evidenze hanno dimostrato che l’uso di mascherine riducesse la quantità di virus che può essere trasmessa a chi la indossa, provocando infezioni più lievi o asintomatiche.
Uno studio americano pubblicato recentemente su Nature suggerisce inoltre un altro possibile beneficio derivante dall’uso di mascherine: se più persone positive al Covid-19 presentano sintomi lievi, questo potrebbe aiutare a sviluppare un’immunità a livello di popolazione senza aumentare il rischio di sfociare in gravi malattie e morte. Sono molti gli esperti, infatti, che sostengono l’ipotesi che la pandemia di Covid-19 sia in gran parte causata da una trasmissione asintomatica (in particolare prima della comparsa dei sintomi o con sintomi molto lievi). Se ciò fosse vero il virus non circolerebbe solo attraverso colpi di tosse e starnuti, per cui la trasmissione potrebbe avvenire anche attraverso goccioline più piccole (aerosol).
Si ritiene che la trasmissione per aerosol avvenga prevalentemente in contesti sanitari (in particolare durante l’intubazione dei pazienti) e in ambienti chiusi, piccoli affollati e poco ventilati. Negli ambienti dove non c’è questo rischio, le mascherine di comunità o quelle chirurgiche sono sufficienti a ridurre la circolazione del virus, purché indossate da tutti. In ambienti chiusi e affollati, se non è possibile aumentare la ventilazione dei locali (per esempio facendo circolare aria attraverso le finestre) potrebbe essere utile l’uso di mascherine filtranti.
Il 13 Ottobre 2020 attraverso un nuovo DPCM il Governo ha esteso l’obbligo di indossare le mascherine oltre che negli ambienti chiusi anche all'aperto, con l'eccezione delle situazioni in cui è possibile isolarsi in modo continuativo. Restano non soggetti a questo obbligo i bambini sotto i sei anni e le persone con patologie o disabilità. Inoltre, chi svolge attività sportiva può non indossare la mascherina.
È bene ricordare che il solo uso della mascherina non basta a limitare la diffusione del Covid-19: serve quindi sempre rispettare anche le altre regole che sono distanziamento fisico, lavaggio accurato delle mani e ventilazione degli ambienti in cui si soggiorna.
Bibliografia
Raffaella Gatta - Content Manager
In collaborazione con Antonio Clavenna - Capo Unità di Farmacoepidemiologia - Laboratorio Salute Materno Infantile - Dipartimento di Salute Pubblica