Il virus SARS-CoV-2 si trasmette prevalentemente per via aerea, attraverso le goccioline prodotte dal respiro, parlando o tossendo. In particolare, nella trasmissione sono coinvolte le goccioline più grosse e più pesanti, chiamate droplet. Queste rimangono per breve tempo nell’aria e percorrono una distanza breve, in genere non più di un metro, raramente più di due. Per questo la distanza fisica riduce il rischio di contagio, così come la mascherina che blocca le gocce prodotte da chi la indossa.
A volte, la trasmissione avviene attraverso il contatto indiretto con superfici contaminate dalle goccioline, ma di questo parlerà un mio collega.
Il rischio di contagio dipende da molti fattori: per esempio, è maggiore se ci si trova in uno spazio chiuso, poco ventilato; aumenta con la durata del tempo che si passa a distanza ravvicinata con un positivo e con il numero di persone presenti; aumenta se la persona positiva ha sintomi come il raffreddore o la tosse. Con lo starnuto si producono molte più goccioline che parlando, e queste sono spinte più lontano. Se però sto molto vicino per più di 15 minuti a una persona positiva che parla, il rischio di contagio è alto.
SARS-CoV-2 è un virus mediamente contagioso, un po’ più contagioso del virus della SARS. Ci sono virus che lo sono molto di più, come quello del morbillo o della varicella.
Si stima che una persona che ha il virus possa contagiarne in media 3. Per indicare la contagiosità viene utilizzata una misura: il numero R. Senza misure di contenimento, il valore R è intorno a 3, con le misure come la distanza fisica, la diminuzione dei contatti sociali, la mascherina questo valore può diminuire. Quando è inferiore a 1, significa che l’epidemia sta rallentando. Un valore di 0,5 non significa, però, che ci vogliono due persone positive insieme per contagiarne una, ma che in media delle due persone positive, una finisce con il contagiare un suo amico, mentre l’altra non ha contatti stretti a cui trasmettere il virus. Non sappiamo di preciso perché alcune persone si infettano e altre no. Tra le ipotesi c’è che in passato hanno incontrato virus simili e il sistema immunitario è più pronto ad affrontarli. Ma è possibile che ci siano anche altre ragioni.
Per il trattamento di Covid-19 si stanno sperimentando molti farmaci e ci sono più di 2.000 studi in corso.
Ci sono due approcci per curare la malattia:
Nel primo caso, non è stato trovato ancora un farmaco efficace nel bloccare il virus. Quello più promettente è un nuovo antivirale chiamato remdesivir: gli studi indicano che riduce di qualche giorno la durata della malattia, ma ha uno scarso beneficio nel ridurre il rischio di andare in terapia intensiva o di morire.
I farmaci oggi più efficaci sono i cortisonici, che appartengono al secondo gruppo: bloccano l’eccesso di infiammazione che può danneggiare i polmoni e altri organi e nei pazienti più gravi riducono il rischio di morire.
Il protocollo di cura prevede per tutti l’uso di farmaci contro la febbre.
Per chi ha sintomi un po’ più gravi si può somministrare l’ossigeno e utilizzare il remdesivir. In chi ha sintomi ancora più gravi, oltre ad aiutare la respirazione con un ventilatore si possono somministrare i farmaci cortisonici e gli anticoagulanti per evitare che si formino trombi.
Gli antibiotici non servono a curare le infezioni virali: vale per Covid-19, come anche per l’influenza o per il raffreddore. Possono essere utili solo se oltre al virus, c’è la presenza anche di un’infezione dovuta a batteri. Solo il medico può valutare se è così.
Il vaccino serve per stimolare il sistema immunitario a produrre anticorpi contro il virus. In questo modo, nel momento in cui ci si dovesse infettare l’organismo sarebbe pronto a combatterlo.
Normalmente ci vogliono molti anni per sviluppare un vaccino, spesso più di 10 e occorre passare attraverso diverse fasi di studio, prima in laboratorio e poi nell’uomo.
Nel caso del vaccino contro Covid-19, lo sforzo dei ricercatori ha fatto sì che i tempi si siano accorciati, ma difficilmente sarà possibile vaccinare molte persone prima dell’estate del prossimo anno.
Ci sono diversi approcci per il vaccino, alcuni sono innovativi: per esempio utilizzano un virus innocuo per l’uomo per trasportare in alcune cellule del materiale genetico e far produrre a queste cellule le proteine (antigeni) del virus contro cui vorremmo produrre anticorpi. Il vaccino di Astrazeneca funziona in questo modo.
Altri vaccini sono più tradizionali e utilizzano il virus ucciso (inattivato) e non più in grado di causare la malattia, per altri ancora si sta cercando una forma di virus indebolito.
Ci sono 10 vaccini che sono in una fase avanzata della sperimentazione nell’uomo. E’ possibile che nei prossimi mesi alcuni di questi verranno approvati.
La durata degli studi è ancora troppo breve per rispondere a molte domande. Non conosciamo quanto sarà efficace il vaccino e quale potrebbe essere la percentuale di persone che dovrebbero vaccinarsi per bloccare la circolazione del virus. Oppure se il vaccino sarà utile nel ridurre il rischio di ammalarsi o se impedirà anche di trasmetterlo ad altre persone. Eventuali mutazioni del virus, potrebbero rendere meno efficace il vaccino, ma è ancora presto per saperlo.
Nessun vaccino è stato mai sviluppato contro la SARS in quanto fortunatamente quella epidemia fu bloccata in pochi mesi e il virus circolò mai più. La ricerca svolta per questo vaccino, come per vaccini per altre malattie, è stata però utile per sviluppare in brevissimo tempo vaccini potenzialmente utili per COVID-19.
Antonio Clavenna - Laboratorio Salute Materno Infantile - Dipartimento di Salute Pubblica
Editing Raffaella Gatta - Content Manager