SARS-CoV-2: invece che concentrarsi sul fenomeno biologico proviamo a prendere quello che è successo tra febbraio e aprile di quest’anno in un modo diverso, guardiamolo come fenomeno sociale e naturalmente partiamo dalla Cina.
Loro, dopo la drammatica esperienza con la SARS, hanno deciso di investire in ricerca; in particolare nel migliorare le proprie conoscenze in campo scientifico e tecnico e nella ricerca medica, creando tra l’altro Università di primo ordine e facendo tornare in Cina tutti gli studenti che si erano formati all’estero, soprattutto negli Stati Uniti (da molti anni avevano cominciato a mandare fuori i loro migliori studenti sapendo che un giorno ne avrebbero avuto bisogno).
E così, appena arriva il nuovo virus, gli scienziati e i medici cinesi sono pronti, entrano subito in azione, curano i pazienti ma fanno anche altro: mettono insieme dati epidemiologici, clinici di laboratorio, radiologici e pubblicano subito i risultati. I primi 41 casi di COVID-19 sono nel Lancet del 24 gennaio. Chi organizza tutto è Bin Cao, professore di pneumologia e critical care medicine a Pechino. Cao insegna a tutti i pneumologi del mondo come comportarsi con questo tipo di polmonite così diversa e così devastante. Spiega a tutti, e prima di tutti, che un terzo dei pazienti avrà bisogno di terapia intensiva e che questo succede 10,5 giorni dopo l’inizio dei sintomi. E poi che tutti hanno una TAC tipica con la quale si arriva alla diagnosi senza ombra di dubbio prima ancora del risultato del tampone e che i livelli di citochine nel sangue sono alti. Possibile? Sì, perché la Cina sta vivendo il suo “Rinascimento” nelle arti, nella musica ma prima ancora nella scienza.
Gli scienziati cinesi sono fortissimi soprattutto nel campo dell’informatica e della fisica, meno nel campo della medicina, per adesso, ma COVID-19 ha dimostrato che anche qui i più bravi non hanno rivali. Nel sequenziare il DNA oggi i cinesi sono più avanti di tutti, hanno strumenti avanzati e un esercito di bioinformatici che collaborano ormai con i ricercatori di mezzo mondo e presto saranno imbattibili. La sequenza del genoma di SARS-CoV-2 è stata pubblicata il 29 gennaio, di quest’anno. C’erano altre cose che il mondo voleva sapere. Covid-19 è come Zika che in gravidanza si trasmette al feto con le conseguenze che sapevamo? E allora i medici cinesi studiano il fluido amniotico, il sangue del cordone ombelicale, il latte materno, fanno il tampone ai bambini appena nati, ma non trovano nulla. Questi bambini, al contrario di quelli delle donne che erano infettate con Zika, sono normali, stanno bene ma intanto aumentano i pazienti in terapia intensiva.
I primi dati fanno paura: il 62 percento di chi arriva alla terapia intensiva sviluppa “multiorgan failure” (un danno irreversibile ad altri organi), i programmi di ricerca per l’emergenza, sui farmaci antivirali e sui vaccini sono impressionanti e la Cina sopprime e, per lo meno all’inizio, è capace di estinguere l’epidemia in poco tempo.
Ma c’è un’altra storia, quella di Li Wenliang, l'oculista a cui hanno chiuso la bocca quando ha provato a spiegare cosa stava capitando (per poi riabilitarlo quando era già morto di Covid -19).
"Non può esserci una voce sola in una società", se libertà di parola e diritti fondamentali dei cittadini non vengono rispettati, disastri come quello che abbiamo vissuto sono destinati a ripetersi.
Se in Cina chiunque potesse esprimere le proprie opinioni e ci fossero libertà di parola e di stampa questa crisi si sarebbe fermata prima. E il bello è che in Cina l'apparato dello Stato tradisce perfino il vecchio adagio di Mao ("fidati del popolo"), chi governa in Cina pensa tutto il contrario. Del popolo ci si deve prendere cura fino ad amarlo se volete, e poi lo si deve proteggere, salvo poi esercitare un controllo assoluto sui cittadini e sui loro comportamenti. Quanto alla fiducia no, non va concessa mai, a nessuno per nessuna ragione.
La Cina ha lavorato bene nel contenere l'epidemia a Wuhan ma non è bastato. Il governo ha un’ideologia sola, la sua e ci crede fino in fondo, ma se le idee non possono circolare la gente non ha punti di riferimento, non riesce a orientarsi, e alla fine, quando nessuno si fida più di nessuno, si finisce per attribuire all’epidemia, e poi alla pandemia, chissà quale significato recondito. Invece "è successo e basta non c'è niente di strano, ragioni profonde non ce ne sono".
Chissà che il Coronavirus non possa essere l'occasione per reinventare una società più giusta che sappia promuovere la cooperazione in tutti i campi ma soprattutto nel più delicato, quello della salute dei cittadini.
Tanto più che il nostro modo di vivere non è cambiato a causa del virus, ma per tutto quello che c’è stato e si è detto e scritto intorno, forse anche in buona fede. Andando avanti chi avrà il coraggio di darsi la mano e tornare ad abbracciarsi? Finirà per essere un privilegio di pochi?
C'è il rischio che per salvare l'umanità da uno dei tanti virus si rischi di creare uomini disponibili a sacrificare praticamente tutto delle loro attività, lavoro, affetti, religione, convinzioni politiche, ideali, di fronte al pericolo di ammalarsi.
Ma non potrà esserci salute e benessere per ciascuno di noi se non ci prendiamo cura della salute degli altri uomini e degli altri esseri viventi, incluse le piante.
I patogeni sono sempre passati dall’animale all’uomo ma la crescita della popolazione mondiale e la profonda modificazione dell’ambiente rendono il “salto di specie” molto più frequente. Se ne esce solo con una forma di solidarietà globale e di attenzione alla natura a cui fino a poco tempo fa soltanto una élite di intellettuali particolarmente attenti aveva prestato attenzione ma che d’ora in poi dovrà coinvolgere tutti.