Data prima pubblicazione
July 31, 2024

Come l’inquinamento dei farmaci minaccia la salute globale

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Estraggo una pillola dal blister. La mando giù. Aspetto che il farmaco faccia effetto. Ma non finisce qui.

Gli effetti dei farmaci vanno ben oltre il nostro corpo. Tutti i medicinali, difatti, vengono prima o poi espulsi dall’organismo. Ne eliminiamo i principi attivi o miscele di metaboliti (molecole trasformate) tramite feci e urine. Queste confluiscono in impianti fognari o di depurazione - quando presenti - spesso non in grado di eliminare i residui dei medicinali che finiscono inevitabilmente nelle acque del Pianeta. Molti dei fiumi più importanti al mondo, dal Mississipi al Rio delle Ammazzoni, sono contaminati dalla presenza di farmaci. In questo modo, inconsapevolmente, mettiamo a rischio la salute di milioni di organismi viventi e, a cascata, di interi ecosistemi.

I farmaci sono sostanze progettate per essere biologicamente attive anche a basse concentrazioni. E non solo per l’uomo. Come tutte le sostanze chimiche possono avere un impatto ambientale ed agire anche sulle specie selvatiche, con gli stessi meccanismi o meno. Per questa ragione sono considerati “contaminanti emergenti”.

Si moltiplicano gli studi sui loro effetti avversi sull’ambiente. Uno studio pubblicato nel 2022 analizza le concentrazioni nelle acque superficiali di 61 principi attivi farmacologici – tra cui quelli di paracetamolo, nicotina e caffeina - in oltre mille siti, lungo 258 fiumi in 104 paesi di tutti i continenti, rappresentando così l'impronta ecologica di 471,4 milioni di persone. In quasi tutti i siti, Antartide inclusa, è stato trovato almeno un principio attivo. Naturalmente la povertà è direttamente proporzionale ai livelli di inquinamento dei fiumi: i corsi d'acqua dei Paesi a basso reddito sono risultati più contaminati rispetto a quelli dei Paesi più ricchi a causa della mancanza di infrastrutture dedicate a smaltimento dei rifiuti e gestione delle acque reflue.

Nel suo rapporto nazionale sull’uso dei farmaci in Italia, l’Osservatorio Nazionale sull’impiego dei Medicinali nel 2023 ha introdotto una sezione dedicata, in cui riporta uno studio preliminare su 90 principi attivi ampiamente utilizzati in Italia e/o con elevata ecotossicità. Il rischio ambientale è risultato alto o moderato per quasi tutte le classi terapeutiche analizzate.

Come inquinano i farmaci

I farmaci possono entrare nell’ambiente in modi diversi.

Il primo è la fase di produzione industriale, durante la quale le acque di processo (utilizzate cioè nei processi produttivi) vengono trattate e poi smaltite, spesso in un corso d’acqua prossimo all’impianto. Vi sono dei depuratori preposti al trattamento, e questo dovrebbe garantire l’abbattimento della maggior parte dei possibili contaminanti.

Poi c’è l’uso del farmaco, che può avvenire in tre modalità:

  • in ambito ospedaliero
  • in ambito veterinario
  • in ambito civile

In ognuno di questi tre casi, il paziente, o l’animale, rilascerà parte del farmaco, tal quale o trasformato in metaboliti. Le acque reflue, contenti urine e feci contaminate dal farmaco e dai suoi derivati, dovrebbero essere trattate dai depuratori. Va detto che in diversi casi questo purtroppo non avviene, e i reflui non sono trattati debitamente. In alcuni casi, ad esempio, le comunità di popolazione sono troppo piccole per sostenere i costi di un depuratore in loco. In altri casi, vi sono inadempienze da parte delle amministrazioni. Ma anche nel caso esista un depuratore, l’efficienza di abbattimento non è del 100%. La resa di abbattimento dipende dal farmaco e dal tipo di depuratore, poiché ve ne sono di vari tipi. Quelli di tipo industriale, di cui si è detto sopra, sono più efficaci, ma più costosi. Succede quindi che il farmaco, o i prodotti di trasformazione relativi, che spesso sono pure attivi, iniziano il loro percorso lungo il fiume che riceve i reflui depurati. Esistono dei farmaci più persistenti e altri meno. Inoltre, alcuni viaggiano più distanti lungo il fiume, perché più solubili, mentre altri si fermano nei sedimenti. Alcuni sono assorbiti dagli organismi, dove possono provocare effetti avversi, o essere accumulati nei loro tessuti, e quindi provocare effetti avversi in un secondo momento o essere trasferiti ai loro predatori (e l’uomo è all’apice della catena alimentare!). Ecco, quindi, che il destino dei farmaci può variare di molto.

Inoltre, dai depuratori non esce solo l’acqua depurata, ma anche i fanghi di depurazione. Anch’essi possono contenere i farmaci o i loro metaboliti, specialmente quelli meno solubili. I fanghi possono essere inceneriti o usati come concimi in agricoltura.  In Europa vi è un ampio dibattito sull’uso dei fanghi da depuratori. Alcuni Stati sono contrari al loro uso in agricoltura, che invece è abbastanza consueto in Italia, specialmente in alcune aree, come in Lombardia.

A tutto questo si aggiunge l’impatto dei farmaci smaltiti in modo scorretto (cioè, gettati nell’indifferenziata o nel WC).

Quali sono i farmaci a maggiore tossicità ambientale

Tra i farmaci più impattanti a livello ambientale c'è la pillola anticoncezionale. Gli estrogeni presenti nei contraccettivi, infatti, agiscono alterando il sistema endocrino e provocano il cambio di sesso (femminilizzazione) di pesci e anfibi, rendendo difficile, se non impossibile, la loro riproduzione.  “Alcune ricerche fatte a valle dei depuratori – ha sottolineato Emilio Benfenati, capo del Dipartimento di Ambiente e salute dell’Istituto Mario Negri – hanno rilevato una prevalenza di pesci di sesso femminile. La pillola non “fa male” ai pesci ma funge da interferente endocrino. Vale lo stesso per anfibi e rettili, anche di grossa taglia, come i coccodrilli”.

Diversi studi hanno rilevato inoltre che gli antidepressivi alterano il comportamento sociale e alimentare di pesci, anfibi e invertebrati. I persici europei, ad esempio, hanno perso la paura dei predatori a causa dell’effetto della Fluoxetina, un antidepressivo ampiamente prescritto per disturbi d’ansia e depressione maggiore. Altri pesci rimangono permanentemente ansiosi a causa della caffeina.

Ma ad essere in pericolo non sono solo gli ambienti acquatici. Nel sub-continente indiano gli avvoltoi si sono quasi estinti a causa del diclofenac ad uso veterinario. Le carcasse degli animali da allevamento sono solitamente lasciate agli avvoltoi, che assumono, così, indirettamente un farmaco molto tossico per loro.

E non è tutto. Gli animali trattati con ivermectina, un antiparassitario, lo espellono attraverso le feci, feci di cui si nutrono e dove depongono le uova animali come gli scarabei stercorari, compromettendo anche il loro ruolo ecologico di degradazione dello sterco e riciclo dei nutrienti. Se l’ivermectina raggiunge le acque, inoltre, può creare problemi all’ecosistema acquatico locale, perché è molto tossica per gli invertebrati acquatici.

Un altro importante problema è legato agli antibiotici ad uso umano, veterinario o agricolo. Questi vengono espulsi integralmente o come metaboliti, e non sono totalmente eliminati dai depuratori. I depuratori stessi sono considerati “hot spots” per l’antibiotico-resistenza. Le acque reflue scaricate dagli impianti municipali e trattate dai depuratori possono rappresentare infatti l’ambiente perfetto – grazie anche alla presenza di inquinanti e diverse comunità batteriche – dove gli antibiotici possono indurre resistenza anche in “batteri non-target”. Accade cioè che vadano ad eliminare i batteri sensibili, permettendo ai batteri resistenti, quelli che sviluppano mutazioni genetiche che consentono loro di sopravvivere a quel particolare antibiotico, di proliferare.

Successivamente, una volta rilasciati nell’ambiente attraverso le acque depurate o i fanghi (spesso rivenduti come se fossero concime) o il letame degli animali, i residui degli antibiotici contribuiscono al fenomeno dell’antibiotico-resistenza diffondendo i geni che permettono ai batteri di resistere agli antibiotici.

L’antibiotico-resistenza è considerata una delle dieci principali minacce sanitarie a livello mondiale. L’ AIFA ha stimato a causa della resistenza agli antibiotici morti per oltre 35mila persone in Europa, di cui circa un terzo solo in Italia.

Cosa rischiamo a lungo termine se non vengono presi provvedimenti adeguati

I farmaci sono ormai contaminanti ubiquitari, presenti in acque, suoli e sedimenti, in miscela con le altre sostanze chimiche. Se si sa poco degli effetti dei singoli principi attivi, ancora meno degli effetti delle miscele (due sostanze poco tossiche singolarmente possono anche diventare tossiche se combinate insieme). Per questo è importante sia continuare a studiare gli effetti dei farmaci sull’ambiente, sia cercare di ridurre le emissioni nell’ambiente. E, come abbiamo visto prima per gli avvoltoi, anche un singolo farmaco può far rischiare l’estinzione ad una specie.

Cosa sta facendo l’UE per fronteggiare l’impatto ambientale dei farmaci

L’ Agenzia Europea per i Medicinali (EMA) richiede, per l’immissione in commercio dei farmaci ad uso umano o veterinario, di effettuare una valutazione del rischio ambientale dal 2006. Questa si basa, da una parte sulla valutazione degli usi del farmaco e della possibile esposizione delle specie selvatiche; dall’altra, dei suoi effetti, attraverso l’analisi di tre proprietà: persistenza (la resistenza alla degradazione), bioaccumulo (l’accumulo della sostanza nei tessuti) e tossicità (in particolare per l’ambiente acquatico).

Questo vale, però, per i nuovi farmaci, immessi in commercio dal 2006. Per i farmaci preesistenti i dati disponibili sono molto scarsi. Dei 1763 principi attivi farmacologici univoci registrati all’EMA, solo 36 (pari all’1.8%) hanno dati sufficienti per la valutazione degli effetti ecotossicologici, e solo 27 (l’1.5%) ha informazioni per valutare sia gli effetti, sia l’esposizione.

Inoltre, la Commissione Europea ha istituito, nel 2008, un elenco di controllo delle sostanze da sottoporre a monitoraggio, noto come “watch list”, che include anche alcuni farmaci. Questa lista è aggiornata periodicamente.

Cosa fa l’Istituto Mario Negri  

Di recente, il Dipartimento di Ambiente e Salute dell’Istituto Mario Negri è stato incaricato di sviluppare un database centralizzato che raccoglierà i dati sui farmaci e il loro impatto ambientale, come parte del progetto IMI PREMIER. Il database sarà accessibile a tutti i soggetti rilevanti come agenzie regolatorie, industrie farmaceutiche, gestori delle risorse idriche, associazioni ambientaliste e la popolazione in generale.

Il progetto PREMIER (Prioritisation and Risk Evaluation of Medicines in the Environment), è iniziato nel 2020 e si compone di una rete internazionale di 28 tra le principali istituzioni a livello mondiale, incluse università, istituti di ricerca, PMI, agenzie regolatorie e industrie farmaceutiche. Questa iniziativa innovativa mira a progettare un sistema di valutazione per ridurre al minimo l'impatto ambientale dei farmaci esistenti e fornire linee guida per lo sviluppo di nuovi farmaci green.

Cosa possiamo fare noi come individui singoli

Prima di tutto dobbiamo usare i farmaci in modo adeguato: prendere i farmaci che ci servono, quando ci servono e nelle giuste dosi. Adottare accorgimenti che ci fanno vivere una vita sana, senza “strafare”, col pensiero che “tanto poi prendo la pastiglia”.

Un'altra cosa utile è controllare di non avere in casa il farmaco prima di acquistarlo di nuovo. In questo modo riduciamo il rischio di farli scadere.

Poi, ovviamente, dobbiamo smaltire i farmaci scaduti in modo corretto, negli appositi contenitori presso le farmacie, e non nell’indifferenziata o nel WC. Mentre per gli imballaggi va fatta la raccolta differenziata, a seconda del materiale e del comune di residenza. La gestione appropriata dei rifiuti è fondamentale.

Alcune cose riguardano i cittadini.

Il resto spetta alle case farmaceutiche (perché producano farmaci più “verdi”, cioè il meno impattanti possibile e utilizzino confezioni adeguate come numero di dosi e pillole, evitando quindi la giacenza di dosi residue non utilizzate), ai sanitari (che dovrebbero prescrivere i farmaci considerando anche il loro impatto ambientale, ovviamente a pari efficacia terapeutica), alle autorità (che devono garantire il corretto collettamento dei reflui e il corretto smaltimento dei rifiuti, inclusi i fanghi di depurazione), agli ingegneri e ai gestori degli impianti di trattamento dei reflui e dei rifiuti (che devono essere mantenuti efficienti), agli scienziati (che devono continuare a studiare i potenziali effetti avversi dei farmaci sull’ambiente), e, ovviamente ai regolatori (che devono assicurare normative adeguate alla protezione della salute umana e dell’ambiente).

Andiamo oltre l’individualismo: che cos’è il modello “one health”

La salute umana è quella che ci sta più a cuore, ma è collegata immancabilmente alla salute ambientale. Siamo, infatti, strettamente interconnessi con gli animali e gli ecosistemi, tanto che oggi si parla di “one health”, “una salute”. Se danneggiamo l’ambiente, danneggiamo noi stessi. Un danno fatto ad una specie selvatica è un danno fatto all’intero ecosistema e a noi stessi: se una sostanza provoca la riduzione della popolazione di una specie, causando la morte degli individui o alterandone il comportamento, crea squilibri in tutto l’ecosistema.

Ad esempio, se una sostanza tossica riduce la popolazione algale in un corso d’acqua, a cascata ne risentiranno anche gli invertebrati che se ne cibano, poi i pesci che si cibano di invertebrati, e infine noi, che mangiamo i pesci.

Inoltre, ogni specie di un ecosistema svolge un ruolo importante nell’ecosistema stesso. Se viene a mancare, quel ruolo può non essere volto più da nessuno o può essere svolto solo in minima parte. Ad esempio, gli scarabei stercorari possono sembrare insignificanti, ma la loro presenza garantisce il riciclo dei nutrienti, la degradazione dello sterco (a vantaggio delle piante, anche quelle coltivate) e, per le specie scavatrici, anche l’areazione del suolo e la penetrazione di acqua nel suolo (sempre più importante a causa dei cambiamenti climatici). Insomma, garantiscono la salute del suolo a vantaggio non solo degli ecosistemi naturali, ma anche di quelli agricoli.

Se una singola cosa, seppur apparentemente insignificante, è compromessa, prima o poi andrà a scapito anche del nostro benessere.

Marianna Monte | Giornalista

con la consulenza di:

Anna Lombardo | Laboratorio di Chimica e Tossicologia dell'Ambiente; Dipartimento di Ambiente e Salute

Emilio Benfenati | Capo Dipartimento Ambiente e salute

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