Dall’aumento del rischio di disfunzioni del sistema immunitario e malattie cardio-metaboliche alla mortalità precoce. Perché tutti noi dovremmo limitare il consumo dei cibi ultra-lavorati.
Sono gustosi, convenienti, appaganti. Studiati per avere lunga vita sugli scaffali dei supermercati così come nelle dispense domestiche. Li scegliamo spesso per combattere la tristezza o quando siamo stanchi o sotto stress e desideriamo “qualcosa di buono” che ci tiri su. A volte sono quegli stessi “cibi proibiti” che ci vietavano da bambini. Hanno caratteristiche sensoriali specifiche: ad esempio sono molto dolci, molto salati, particolarmente croccanti o cremosi.
Gli alimenti ultra-processati, ricchi di additivi e grassi ma poveri di fibre e nutrienti, sono invitanti per il palato eppure estremamente dannosi per la salute.
Il loro consumo è in aumento in tutto il mondo: costituiscono circa il 60% dell’apporto calorico giornaliero di Paesi ad alto reddito come Stati Uniti e Regno Unito. E pare che i paesi a medio e basso reddito ne stiano seguendo l’esempio (cattivo).
Quando parliamo di cibi ultra-processati capita che il nostro pensiero vada agli hamburger XXL e ai cibi ipercalorici tipici di una certa cultura alimentare americana. In realtà si tratta di prodotti non così distanti dalla nostra dieta quotidiana, alcuni dei quali potrebbero essere presenti persino nella credenza del più salutista tra noi. Ma come fare a riconoscerli?
Partiamo da una definizione base. Sono “cibi ultra-processati” tutti quegli alimenti confezionati che hanno subito diversi processi di trasformazione industriale. Processi che possono modellare, sottrarre o aggiungere sostanze, raffinare, modificare la struttura dei cibi fino a trasformali nei prodotti confezionati che approdano sulle nostre tavole.
I cibi ultra-processati contengono una lunga lista di ingredienti (da cinque in su) di cui molti sono additivi artificiali (coloranti, emulsionanti, edulcoranti o addensanti) usati allo scopo di esaltarne i sapori e renderne più gradevole la consistenza. Pochi, invece, i nutrienti utili per l’organismo come vitamine e fibre. Si tratta di alimenti che creano dipendenza, allo stesso modo del tabacco o dell’alcol, come dimostrato da una ricerca internazionale pubblicata sulla rivista medica British Medical Journal.
Rientrano nell’elenco di questi prodotti alimenti dichiaratamente poco salutari come:
Ma anche alimenti “insospettabili” spesso consigliati dai nutrizionisti nelle diete o pubblicizzati come sani e naturali. Si tratta di alimenti poveri di calorie, certo, ma comunque non sani perché hanno subito lunghe e ripetute lavorazioni industriali. Qualche esempio:
Quando si fa la spesa bisognerebbe tenere a mente innanzitutto una regola: meno ingredienti ci sono sull’etichetta, più è probabile che il prodotto sia salutare. Quando ingredienti ed additivi si moltiplicano aumenta la possibilità che il cibo sia super-lavorato. In questo caso meglio valutare attentamente l’acquisto tenendo conto del fatto che non si tratta di veleni, ma di alimenti che vanno consumati con parsimonia. È importante inoltre considerare che non tutti i cibi ultra-processati hanno lo stesso impatto sulla salute, anche perché non tutte le persone reagiscono allo stesso modo al consumo di questi alimenti.
“Un consiglio che possiamo dare per ridurre il consumo di cibi ultra-processati – afferma Carlotta Franchi, responsabile del Laboratorio di Farmacoepidemiologia e Nutrizione Umana dell’Istituto Mario Negri – è quello di imparare a leggere con attenzione le etichette alimentari per fare acquisti consapevoli. È importante cercare di riempire il carrello della propria spesa prevalentemente con cibi freschi o minimamente processati come frutta, verdura, cereali integrali, legumi, pesce e carne magra, da cucinare a casa. È anche importante imparare a pianificare i pasti, così da non trovarsi a dover ricorrere a soluzioni rapide e poco salutari, al di fuori dell’ambiente domestico. Inoltre iniziare a fare piccoli cambiamenti, come sostituire uno snack confezionato con della frutta o uno yogurt naturale, può fare una grande differenza nel tempo. E per le mamme è importante adottare ed educare i loro bambini ad uno stile alimentare sano fin dai primi mesi di vita, in modo da non trascinare abitudini scorrette negli anni a venire.”
Per comprendere meglio cosa si intende per cibi ultra-processati, è importante imparare a distinguerli da quelli “semplicemente” processati.
Gli alimenti processati sono prodotti relativamente semplici che si differenziano da quelli ultra-processati per numero e tipologia di ingredienti e grado di lavorazione industriale. Secondo il sistema di classificazione alimentare NOVA, usato spesso dalla comunità scientifica per classificare gli alimenti in base al loro grado di trasformazione, si tratta di alimenti ottenuti aggiungendo sale, olio, zucchero o altri ingredienti come burro o miele ad alimenti non processati (ossia alimenti freschi consumati così come presenti in natura come carote, legumi o pollo crudo).
Ne fanno parte, ad esempio:
A differenza dei cibi processati quelli ultra-processati includono non solo gli ingredienti industriali usati per i cibi processati ma anche additivi non utilizzati in genere nelle preparazioni culinarie (ad esempio quelli indicati con una sigla E, seguita da un codice numerico).
Sono diversi gli studi che evidenziano gli effetti nocivi sulla salute legati al consumo di cibi processati e ultra-processati. Di seguito alcuni esempi.
Uno studio recente pubblicato su Nature Review Immunology ha evidenziato l’esistenza di un collegamento tra diete ricche di cibi ultra-processati e un aumento del rischio di sviluppare malattie legate a disfunzioni del sistema immunitario, come la malattia infiammatoria intestinale (disturbo legato a varie patologie tra cui colite ulcerosa, Morbo di Crohn e colite ischemica) - e malattie autoimmuni (ad esempio la celiachia, la tiroidite di Hashimoto, la sclerosi multipla, il lupus eritematoso sistemico o il diabete di tipo1). Le evidenze emerse finora suggeriscono come alcune sostanze contenute nei cibi ultra-processati - ad esempio emulsionanti, microparticelle (come il biossido di titanio), addensanti, stabilizzanti, aromi e coloranti - alterino il microbiota aumentando la permeabilità della mucosa intestinale e permettendo così il passaggio di sostanze nocive per l’organismo come batteri patogeni che possono innescare risposte immunitarie infiammatorie.
Maggiore è il consumo di alimenti ultra-processati, più alto è il rischio di soffrire di multimorbilità, ossia di una combinazione di due o più malattie croniche tra cui cancro, diabete di tipo 2 e malattie cardiovascolari. Questa condizione rappresenta una delle sfide più importanti dei nostri sistemi sanitari. È quanto emerso da un importante studio multinazionale pubblicato su The Lancet, “European Prospective Investigation into Cancer and Nutrition (Epic)”, che ha coinvolto più di 250mila volontari di 7 paesi europei. Si è visto che un consumo elevato di alimenti ultra lavorati comporta un rischio più alto del 9% di sviluppare nel tempo una multimorbilità. In particolare i ricercatori hanno rilevato un collegamento con il consumo di prodotti di origine animale lavorati industrialmente (salumi, pesce sotto sale) e bevande zuccherate artificialmente. Nessun rischio invece è stato riscontrato con prodotti ultra lavorati di origine vegetale.
Un altro studio, durato ben 30 anni, ha rivelato che un consumo eccessivo di alimenti ultra-processati è associato a un aumento del 4% del tasso di mortalità.
Il lavoro, portato avanti da un gruppo di ricercatori della TH Chan School of Public Health dell'Università di Harvard e pubblicato sul British Medical Journal, ha preso in analisi i registri alimentari di 74.563 donne e 39.501 uomini con l’obiettivo di capire se ci fosse una correlazione tra la loro dieta quotidiana e il rischio di mortalità precoce. I partecipanti hanno fornito ai ricercatori aggiornamenti periodici sul loro stato di salute e abitudini alimentari attraverso un questionario compilato ogni due anni. Il tempo di follow-up preso in considerazione è stato quello intercorso tra la data di restituzione del primo questionario e la data del decesso oppure della conclusione del periodo di studio (durato appunto 30 anni). L’effetto negativo sulla salute è stato associato in gran parte all’alto contenuto di zuccheri aggiunti (responsabile del 40% del rischio) ma anche ai processi di lavorazione che alterano la struttura dei nutrienti presenti nei cibi innescando processi di infiammazione nell’organismo.
L’ aumento del rischio di mortalità per i consumatori assidui di cibi ultra-processati è stato confermato anche da una ricerca condotta dal Dipartimento di Epidemiologia e Prevenzione dell’IRCCS Neuromed di Pozzilli (IS) e pubblicata sull’ American Journal of Clinical Nutrition. Lo studio ha coinvolto più di mille persone affette da diabete di tipo 2 che sono state seguite per circa 12 anni nell’ambito del Progetto Moli-Sani, partito nel marzo 2005. Esaminando l’evoluzione della loro salute negli anni è emerso che un’alimentazione ricca di cibi ultra-processati espone le persone con diabete a un rischio di mortalità per ogni causa del 60% più alto rispetto ai pazienti che li consumano in misura minore. Se si considera solo il rischio di mortalità per malattie cardiovascolari, già frequenti nei diabetici, questo cresce del 58%, mentre le morti legate a patologie cerebro-cardiovascolari come gli ictus, aumentano del 52%.
Lo aveva già capito, a suo tempo, Ippocrate: ciò che immettiamo nel nostro corpo attraverso il cibo può essere la prima delle medicine. O il primo dei veleni.
Marianna Monte | Giornalista