Le persone che soffrono di allergie respiratorie, alimentari o a farmaci (antibiotici) possono vaccinarsi.
In caso di reazioni allergiche gravi (reazioni anafilattiche) avvenute in passato, è necessario rimanere in osservazione per un tempo più lungo (circa 60 minuti) dopo l’iniezione. In alcuni casi, come ad esempio una storia di gravi allergie in cui sia presente un'asma non controllata, può essere consigliabile la vaccinazione in un ambiente protetto, cioè in ospedale. Il trattamento antiallergico non deve essere sospeso.
Le persone che hanno un sospetto di grave allergia agli eccipienti contenuti nei vaccini anti-covid, e cioè PEG (Polietilenglicole) o Polisorbato80, non possono ricevere questi vaccini e devono consultarsi con un allergologo per verificare se ci sono vaccini alternativi. Il medico del servizio vaccinale, a cui va riferita la presenza di allergie, saprà fornire le indicazioni necessarie.
Secondo le indicazioni del Ministero della Salute, le persone che hanno contratto l'infezione Covid-19 almeno tre mesi prima della data fissata per la vaccinazione devono essere vaccinate. Ma se l'infezione è avvenuta tra i 3 e i 6 mesi dalla somministrazione del vaccino, è sufficiente una sola dose. Chi invece ha contratto la malattia in un periodo maggiore ai 6 mesi dovrebbe effettuare entrambe le dosi, anche se il titolo anticorpale è ancora elevato.
Al momento non è stato identificato qual è il livello minimo di anticorpi in grado di proteggere dal Covid-19: il valore del test sierologico è poco indicativo e un numero elevato di anticorpi non equivale necessariamente a un rischio più basso di ammalarsi. I dati disponibili indicano che avere avuto il Covid-19 fa produrre anticorpi che potrebbero anche essere sufficienti a ridurre il rischio di contagio. La vaccinazione però può essere utile a rafforzare e a prolungare nel tempo la protezione anche nei confronti della variante delta, verso cui la malattia dà solo una protezione parziale.
La vaccinazione (con una o due dosi, a seconda del tempo trascorso dal momento dell'infezione) consente di avere una protezione ottimale: secondo alcuni studi il rischio di infezione nei vaccinati dopo la malattia potrebbe essere addirittura inferiore a quello di chi ha ricevuto il ciclo completo dei vaccini.
Inoltre, le evidenze raccolte fino ad ora non indicano un maggior rischio di gravi effetti indesiderati nei vaccinati con un elevato livello di anticorpi. Pertanto, anche in chi ha avuto in passato il Covid-19, i benefici del vaccino sono di molto superiori ai possibili rischi.
Si consiglia di consultare il proprio medico curante per decidere insieme a lui sulla base della propria storia clinica o di sottoporre il quesito al medico del centro vaccinale.
La vaccinazione anti-Covid-19 non rende infettivi in quanto non causa la malattia. I dati disponibili indicano che i vaccinati possono contrarre l'infezione, ma con un rischio inferiore rispetto ai non vaccinati, ancor più per quanto riguarda il rischio di forme gravi di malattia. Il fatto che l'efficacia dei vaccini non sia del 100% (per nessun vaccino o farmaco lo è) non rappresenta una ragione per ritenere non consigliabile la vaccinazione.
In ogni caso, anche le persone vaccinate devono necessariamente osservare le regole anti-contagio (distanziamento, mascherina e igiene delle mani) in quanto potrebbero ammalarsi in maniera asintomatica e trasmettere inconsapevolmente il Covid-19.
I pazienti immunodepressi appartengono alla categoria dei pazienti fragili, perché ad alto rischio di contrarre la malattia.
Quindi, la loro vaccinazione deve essere prioritaria e deve optare per un vaccino a mRNA.
I valori anticorpali forniti con i test sierologici “quantitativi” (CLIA, ELISA, etc.) non indicano generalmente la reale quantità di anticorpi ma una lettura strumentale proporzionale a questa quantità.
Molti test, ad esempio, esprimono il dato in AU (Arbitrary Units), altri in UR (Unità Relative), altri con il rapporto “segnale/fondo”. Altri test usano questi sistemi di “lettura” su strumenti diversi. Quindi il parametro ottenuto in un test ad esempio AU non sarà confrontabile con il parametro ottenuto da un test differente.
Per trasformare questi parametri in una quantità “assoluta” di anticorpo (es. gr/mL, o moli/mL) ed avere quindi un dato confrontabile, è necessario avere una cosiddetta “curva di calibrazione”. In questo modo i valori strumentali potranno essere associati a quantità note di anticorpi “calibratori” di origine ricombinante e si potrà risalire alla quantità di anticorpo nel sangue dei pazienti.
Quindi la principale informazione utile ottenuta dai test “quantitativi” è quella riguardante la presenza o meno di anticorpi, caratteristica che li rende sicuramente più affidabili dei test rapidi “qualitativi”.
I test “quantitativi” forniscono un'indicazione, anche se non del tutto precisa, della quantità di anticorpi prodotta. Bisogna però considerare che il confronto tra diversi test è teoricamente possibile solo se i risultati sono forniti come concentrazione “assoluta” di anticorpo (es. gr/mL, o moli/mL).
Infine, va considerato che oltre alla quantità di anticorpi è importante anche la “qualità” degli stessi, e cioè la loro capacità di legarsi al virus e e neutralizzarlo. Quindi, anche a parità di quantità, gli anticorpi di una persona possono essere più o meno “attivi” come anti-virus rispetto agli anticorpi di un'altra persona.
L'immunità che si sviluppa in seguito ad infezione naturale può variare da persona a persona, ed è quindi molto difficile da prevedere.
L'immunità indotta dai vaccini, invece, è in linea di massima uguale in tutti coloro che lo ricevono, grazie all'utilizzo standardizzato di una determinata dose di antigene, definita sulla base di molti studi clinici.
Quindi, prevedere il tipo di risposta immunitaria in chi ha ricevuto un vaccino è più facile rispetto a chi invece ha sviluppato una risposta in seguito a malattia diretta.
Diversi lavori attestano che gli effetti collaterali (dolori muscolari, febbre, stanchezza e dolori articolari) non aumentino quando i due vaccini vengono somministrati insieme. La risposta immunitaria a entrambi i vaccini viene correttamente sviluppata.
Secondo le indicazioni del Ministero della Salute, le persone non ancora vaccinate che hanno contratto l'infezione Covid-19 almeno tre mesi prima della data fissata per la vaccinazione devono essere vaccinate. Ma se l'infezione è avvenuta tra i 3 e i 6 mesi dalla somministrazione del vaccino, è sufficiente una sola dose. Chi invece ha contratto la malattia in un periodo maggiore ai 6 mesi dovrebbe effettuare entrambe le dosi, anche se il titolo anticorpale è ancora elevato. Al momento non è stato identificato qual è il livello minimo di anticorpi in grado di proteggere dal Covid-19: il valore del test sierologico è poco indicativo e un numero elevato di anticorpi non equivale necessariamente a un rischio più basso di ammalarsi. I dati disponibili indicano che avere avuto il Covid-19 non equivale a essere protetti nei confronti delle varianti Delta e Omicron. La vaccinazione però può essere utile a rafforzare e a prolungare nel tempo la protezione.
La vaccinazione, quindi, consente di avere una protezione più elevata: secondo alcuni studi il rischio di infezione nei vaccinati dopo la malattia potrebbe essere addirittura inferiore a quello di chi ha ricevuto il ciclo completo dei vaccini. Inoltre, le evidenze raccolte fino ad ora non indicano un maggior rischio di gravi effetti indesiderati nei vaccinati con un elevato livello di anticorpi. Pertanto, anche in chi ha avuto in passato il Covid-19, i benefici del vaccino sono di molto superiori ai possibili rischi. Non c'è un rischio di sovraccarico del sistema immunitario, che quotidianamente interagisce con numerosi antigeni.
Ricevere il vaccino (prima o seconda dose oppure booster) non comporta il rischio di stimolare eccessivamente il sistema immunitario se una persona è inconsapevolmente positiva asintomatica.
L’immunità naturale, infatti, potrebbe addirittura potenziare l'immunità sviluppata in seguito al vaccino.
Le persone che soffrono di coagulopatie e che hanno avuto esperienze di trombosi possono ricevere il vaccino perché non ci sono particolari controindicazioni. Sarebbe preferibile ricevere un vaccino a mRNA piuttosto che uno a vettore virale, per questo è necessario discuterne con il proprio medico curante, al quale vanno poi riferiti anche gli eventuali sintomi tardivi post vaccinazione.
La pillola anticoncezionale è un farmaco contraccettivo a base ormonale che può essere assunto in diversi modi. Al momento non è stato dimostrato che le donne che assumono contraccettivi orali sono a maggior rischio di sviluppare trombosi con ridotto numero di piastrine in seguito alla somministrazione di vaccini a vettore virale. Resta la raccomandazione ministeriale di un uso preferenziale dei vaccini a vettore virale solo dopo i 60 anni.
I vaccini anti-Covid-19 non sono a base di virus vivi attenuati (come, ad esempio, il vaccino contro il Morbillo-Parotite-Rosolia-Varicella, MPRV), quindi la somministrazione delle immunoglobuline antitetano non dovrebbe ridurre l'efficacia del vaccino contro il SARS-CoV-2.
Il Rituximab è un anticorpo monoclonale utilizzato nel trattamento del Linfoma non Hodgkin delle cellule B e delle leucemie delle cellule B e nella cura di alcune malattie autoimmuni. Le persone in terapia con Rituximab possono vaccinarsi a patto che il vaccino anti-Covid-19 sia somministrato a distanza di almeno sei mesi dall'ultima infusione, in modo tale che l’efficacia della vaccinazione non si perda. Questo farmaco, infatti, distrugge non solo gli anticorpi prodotti per combattere la malattia ma anche quelli per combattere le infezioni (quindi ad esempio gli anticorpi prodotti in seguito alla vaccinazione). Per capire se è il momento opportuno per vaccinarsi, è possibile effettuare la conta dei linfociti prima della vaccinazione: se risultano ancora insufficienti, meglio aspettare, così che l'organismo riesca a produrre poi gli anticorpi anti-Covid-19.
Studi di interazione con altri farmaci al momento non sono ancora stati effettuati. Tuttavia, non è attesa una riduzione di efficacia del vaccino o un aumento dei suoi effetti indesiderati a causa della maggior parte dei farmaci normalmente utilizzati. I farmaci immunosoppressori (es. corticosteroidi, ciclosporina o alcuni anticorpi monoclonali), usati in seguito a trapianti d'organo o nelle malattie autoimmuni, potrebbero ridurre la risposta alla vaccinazione. Per questo motivo è opportuno valutare con il proprio medico se sospendere temporaneamente il trattamento immunosoppressivo.
I pazienti in terapia anticoagulante potrebbero, invece, manifestare sanguinamenti o lividi causati dalla somministrazione intramuscolo, come d’altronde può avvenire con qualunque vaccino.
La mutazione MTHFR C677T è un difetto genetico che causa iperomocisteinemia, ovvero alti livelli di omocisteina nel plasma. Questa alterazione è considerata un fattore di rischio per lo sviluppo di trombosi, malattie coronariche, aborti spontanei e difetti nel tubo neurale. Tuttavia, non ci sono controindicazioni per queste persone nel ricevere un vaccino a vettore virale come ad esempio quello di AstraZeneca. Nessun trattamento con eparina è consigliato prima o dopo la somministrazione. Si consiglia di rimanere comunque in contatto con il proprio medico curante per riferire eventuali sintomi tardivi.
La mutazione nel fattore V di Leiden, fattore della coagulazione, è un difetto genetico che predispone il portatore a coagulare più facilmente e quindi ad andare incontro a trombosi. Si parla infatti di trombofilia congenita. Il vaccino però non è controindicato in queste persone. Inoltre, nessuna profilassi con eparina è necessaria dopo la somministrazione. Si consiglia di rimanere in contatto con il proprio medico curante per riferire eventuali sintomi tardivi.
La mutazione G20210A nel fattore II (protrombina) è una alterazione genetica associata ad alti livelli di protrombina attiva nel plasma. Di conseguenza, questa mutazione è collegata ad un rischio di trombosi, specie di tipo venosa. Quindi, anche se non si sono mai verificati fenomeni di trombosi, alle persone portatrici di questa mutazione è consigliabile la vaccinazione con vaccini a mRNA piuttosto che uno a vettore virale.
La Sindrome di Shwachmann-Diamond è una malattia genetica caratterizzata da insufficienza pancreatica, citopenia e alterazioni scheletriche. Le persone affette sono considerate pazienti fragili e per questo motivo non solo devono sottoporsi a vaccinazione ma devono farlo anche con priorità rispetto alle altre categorie. Il vaccino a loro dedicato dovrebbe essere un vaccino a mRNA piuttosto che uno a vettore virale.
Mutazioni a carico della proteina S, fattore anticoagulante, e della omocisteina, non rappresentano un motivo per cui venga controindicata la vaccinazione anti-Covid-19. Come anche indicato dall'AIFA, si conferma che sulla base delle conoscenze attuali non esistono controindicazioni specifiche alla somministrazione di qualsiasi vaccino contro Sars-CoV-2, nemmeno in soggetti con trombofilia o pregressa trombosi.
Inoltre, non esistono indicazioni sull'impiego di terapie profilattiche, prima o dopo la somministrazione del vaccino, nemmeno in persone con trombofilia o pregressa trombosi, a meno che il trattamento antitrombotico non fosse già in atto per precedenti indicazioni.
E' necessario consultare, comunque, sempre il proprio medico curante e comunicare al medico del centro vaccinale la propria condizione clinica.
Le persone affette dalla Sindrome di Down sono considerate pazienti fragili al pari della categoria “over 80”. Dati raccolti durante la scorsa primavera, infatti, hanno dimostrato che il danno polmonare e la sindrome respiratoria acuta sono le complicanze più frequenti in queste persone, quando contraggono il Covid-19. Per questo motivo non solo la vaccinazione è altamente consigliata, ma va eseguita anche con priorità sulle altre categorie.
I pazienti portatori di trapianto di organo solido, come il rene, sono considerati pazienti prioritari. La terapia antirigetto, infatti, causa in loro uno stato di immunodepressione che li espone ad un maggior rischio di contrarre la malattia. Un vaccino a mRNA è comunque da preferire a quelli a vettore virale.
Questa condizione è piuttosto normale in pazienti che hanno subito un trapianto. Uno studio che ha coinvolto pazienti trapiantati vaccinati con due dosi, infatti, ha dimostrato che questi pazienti sono stati in grado di sviluppare anticorpi neutralizzanti, ma solo se avevano contratto il Covid-19 in precedenza. Per questo motivo pazienti trapiantati vaccinati, ma che non hanno mai avuto il Covid-19, dovrebbero doversi sottoporre ad una terza dose di vaccino per richiamare ed amplificare la risposta immunitaria scatenata dalle prime due dosi.
Le persone in dialisi o che soffrono di insufficienza renale cronica devono assolutamente vaccinarsi perché considerati pazienti fragili: i nefropatici, infatti, sono tra le prime categorie da vaccinare. Sebbene nelle sperimentazioni cliniche non siano stati coinvolti pazienti con patologie renali di natura autoimmune e, in generale, pochi pazienti con malattie autoimmuni di natura diversa, l'opinione della comunità medico scientifica è che questi vaccini siano sicuri ed efficaci anche in questi pazienti.
Non ci sono evidenze scientifiche secondo cui le persone portatrici di questo genere di malformazioni non debbano sottoporsi alla vaccinazione anti-Covid-19.
La sindrome di Berger è una tipologia di glomerulonefrite, ovvero una malattia renale che colpisce l’unità funzionale del rene. È ragionevole e opportuno che il paziente nefropatico affetto da particolari patologie o pluripatologie chieda il parere del proprio medico curante, prima di sottoporsi alla vaccinazione. Per ulteriori informazioni consultare il seguente link.
Il Lupus eritematoso sistemico è una malattia autoimmune cronica di natura infiammatoria. Non ci sono evidenze scientifiche che controindichino la vaccinazione in questi pazienti, ma la mancanza di dati specifici non permette di formulare raccomandazioni definitive. Ecco perché è indispensabile una valutazione caso per caso da parte degli specialisti, in cui si dovrà tenere conto dello stato della malattia autoimmune e del rischio con cui convive il paziente anche in funzione dell'attività che svolge.
La Sindrome di Guillain-Barré è una polineuropatia infiammatoria acuta, probabilmente di origine autoimmune. Lo scorso dicembre, Anthony Fauci, immunologo statunitense, aveva dichiarato che i pazienti affetti da Sindrome di Guillain-Barré non dovevano sottoporsi a vaccinazione. Questa dichiarazione è stata poi smentita da neurologi specialisti, tanto che oggi il Center for Disease Control americano e l'FDA raccomandano anche a questi pazienti la vaccinazione. Al momento anche l’EMA, l’AIFA e la Società Italiana di Neurologia dichiarano l’assenza di controindicazioni e sollecitano la vaccinazione.
Il Diabete di Tipo 1 è una malattia metabolica di tipo autoimmune. Per questo motivo i pazienti che ne soffrono rientrano nella categoria dei “fragili” in quanto considerati ad alto rischio di contrarre il Covid-19. Quindi, non solo possono vaccinarsi ma devono farlo anche con una certa priorità.
Le persone che soffrono di queste malattie autoimmuni possono assolutamente vaccinarsi. È consigliato rimanere in stretto contatto col proprio medico curante che saprà a quale vaccino sia più opportuno sottoporsi, anche se non ci sono evidenze scientifiche che discriminino l’uso di un vaccino a mRNA piuttosto che uno a vettore virale.
La piastrinopenia immune idiopatica è una malattia caratterizzata da una severa riduzione del numero di piastrine nel sangue, causata dalla loro distruzione e dalla soppressione della loro produzione. Poiché molti pazienti con patologie ematologiche possono essere considerati più a rischio di mortalità da SARS-CoV-2 qualora contraessero l’infezione, la loro vaccinazione va sicuramente presa in considerazione. Ogni singolo caso deve tener conto anche dell'incidenza dell'infezione nella comunità di appartenenza del paziente.
Attualmente le uniche due categorie di pazienti ematologici da escludere dalla vaccinazione sono i pazienti di età inferiore a 16 anni e le pazienti in gravidanza.
Il Morbo di Basedow è una patologia che causa la produzione di anticorpi diretti contro la propria tiroide. La vaccinazione in questi pazienti è consigliata dal momento che non ci sono evidenze scientifiche che la controindichino.
La miastenia grave è una malattia autoimmune rara che colpisce le giunzioni neuromuscolari. La cura è con farmaci a base di cortisone. In generale, il cortisone può diminuire la quantità degli anticorpi prodotti ma non la qualità della risposta immunitaria. Dati raccolti in altre popolazioni immunocompromesse, come le persone in chemioterapia o in terapia con steroidi ad alte dosi, indicano che i vaccini possono ancora essere somministrati e fornire protezione. Il medico può comunque monitorare la concentrazione degli anticorpi del paziente e il dosaggio dello steroide così da stabilire se e quando fare la vaccinazione e per valutarne l’efficacia.
In mancanza di esperienza che derivi dagli studi clinici condotti su pazienti con malattie autoimmuni o infiammatorie, secondo gli esperti la somministrazione di farmaci immunosoppressori in concomitanza della vaccinazione potrebbe ridurre la risposta al vaccino. Per precauzione, quindi, si suggerisce di sospendere la terapia o di rinviarla se questo non compromette la condizione del paziente. Questa valutazione spetta in ogni caso al medico curante. Resta tuttavia difficile stabilire quanto dovrà durare la sospensione.
I vaccini a mRNA attualmente usati non contengono virus “vivi attenuati”. Questo riduce le preoccupazioni sulla loro sicurezza se somministrati a persone immunocompromesse. Come per qualsiasi cosa, però, occorre monitorare attentamente i pazienti appartenenti a questa categoria quando si sottoporranno alla vaccinazione. Inoltre, molte malattie autoimmuni o infiammatorie sono caratterizzate da fasi di riacutizzazione dei sintomi e dei segni, durante le quali in genere si interviene con un potenziamento o una ripresa delle terapie. Sebbene non vi siano ancora dati derivanti da studi clinici, gli specialisti ritengono non opportuno sottoporre i pazienti a vaccinazione durante i periodi in cui la malattia si manifesta di nuovo in fase più acuta: occorre, quindi, attendere un suo miglioramento.
La risposta a qualsiasi vaccino di un paziente immunocompromesso è effettivamente meno forte rispetto a quella di una persona sana: il suo organismo infatti è indebolito e non riesce a costruire una risposta immunitaria forte, in generale. Un esempio sono i pazienti che devono essere vaccinati contro l'influenza e che assumono metotrexato, farmaco che influenza la risposta immunitaria, o farmaci biologici. A questa categoria di pazienti è quindi consigliato di eseguire una terza dose di vaccino, a completamento del ciclo vaccinale, per cercare di supportare il sistema immunitario nella risposta ad un potenziale incontro con il SAR-CoV-2.
Le malattie autoimmuni sono malattie che si manifestano quando il sistema immunitario funziona male: le sue cellule anziché aggredire patogeni presenti nell'ambiente esterno attaccano tessuti e organi del proprio organismo. Per ostacolare questi eventi di “autodistruzione”, i pazienti con malattie autoimmuni devono assumono farmaci che interferiscono con il sistema immunitario. Quando si presenta la possibilità di sottoporsi ad un nuovo vaccino, le persone che convivono con malattie autoimmuni hanno una preoccupazione in più rispetto a tutti gli altri.
Tra le patologie autoimmuni più conosciute ritroviamo:
Nel caso dei vaccini contro il Covid-19, purtroppo, non c'è ancora molto da dire in modo definitivo sulle reazioni di questi pazienti, perché la loro categoria non è stata inclusa negli studi clinici. Però, anche se questi pazienti non possono partecipare agli studi clinici iniziali, ciò non significa che non possano ricevere il vaccino. Anzi, queste persone sono considerate più a rischio di contrarre ll'infezione e per questo devono sottoporsi a vaccinazione
Generalmente, il vaccino contro il Covid-19 presenta queste reazioni:
Questi effetti collaterali immediati sembrano comunque abbastanza limitati. Poco o niente si può dire su gli effetti a lungo termine. La raccomandazione conclusiva comuqnue è che, in base al rapporto rischio-beneficio, è meglio sottoporsi a vaccinazione.
L’emangioma cavernoso cerebrale è una neoplasia benigna che interessa i vasi sanguigni del cervello. La vaccinazione in questi pazienti è consigliata dal momento che non ci sono evidenze scientifiche che la controindichino.
Le malformazioni vascolari non rappresentano un fattore di rischio aumentato nel provocare emorragie cerebrali, anche in seguito a vaccinazione anti-Covid-19. Per questo motivo la vaccinazione è molto consigliata in quanto i danni neurologici causati da Covid-19 sono nettamente maggiori rispetto a quelli causati da una emorragia cerebrale.
La malattia di Behçet è un'infiammazione cronica dei vasi sanguigni (vasculite) che però non rappresenta un fattore di rischio in seguito a vaccinazione anti-Covid-19. I pazienti reumatologici, portatori di malattie infiammatorie croniche e autoimmunitarie sistemiche, devono, quindi, essere vaccinati nei tempi più brevi possibili con qualsiasi vaccino disponibile.
La porpora reumatoide, nota anche come porpora di Henoch-Schoenlein, è un'infiammazione dei capillari (vasi sanguigni piccoli). Al momento non ci sono evidenze scientifiche per cui la vaccinazione anti-Covid-19 venga sconsigliata alle persone che soffrono di questa patologia.
La distrofia muscolare oculo-faringea è una patologia muscolare a lenta progressione di causa genetica o acquisita. I pazienti che ne soffrono appartengono alla categoria dei “fragili” e per questo motivo non solo la vaccinazione è caldamente consigliata ma deve essere effettuata anche con priorità.
Al momento non è noto se i farmaci antidepressivi utilizzati per controllare malattie psichiatriche possano interagire col vaccino anti-Covid-19. Uno studio su Lancet, comunque, afferma che probabilmente non intercorra nessuna relazione negativa tra la vaccinazione e la terapia antidepressiva.
Il virus Herpes Zoster, chiamato anche fuoco di Sant'Antonio, è causato dallo stesso virus della varicella, che riattivandosi colpisce uno o più nervi. Come per tutte le malattie infettive è necessario osservare molta prudenza nel sottoporsi ad una vaccinazione, in questo caso all’anti-Covid-19, perchè se l'infezione e la terapia sono ancora in corso le difese immunitarie sono abbassate.
È quindi preferibile aspettare qualche settimana dalla guarigione prima di vaccinarsi, consultando sempre prima il proprio medico curante.
I pazienti oncologici o ex-oncologici sono considerati una categoria a maggior rischio di sviluppare forme gravi di Covid-19, in particolare, i pazienti con malattie oncologiche ematologiche, cancro del polmone o forme già metastatizzate, e i pazienti in trattamento con farmaci antitumorali. I dati ottenuti dai registri “COVID-19 and Cancer Consortium (CCC19)” e “Thoracic cancERs international coVid 19 cOLlaboraTion (TERAVOLT)” hanno dimostrato che la percentuale di mortalità dei malati oncologici colpiti dal virus varia tra il 5 e il 61%, mentre nella popolazione generale è del 2-3%. Per questo motivo, le linee guida internazionali prodotte dall’ESMO e dall’ASCO consigliano caldamente la vaccinazione a questi pazienti.
C'è un ampio consenso tra le istituzioni sanitarie internazionali e nazionali nel raccomandare la vaccinazione anti-Covid-19 in allattamento.
Non sono stati segnalati effetti indesiderati clinicamente rilevanti in neonati allattati da mamme che avevano effettuato il vaccino. Anzi, nel latte materno sono stati rilevati anticorpi contro SARS-CoV-2, che quindi potrebbero essere protettivi anche per il lattante. Gli studi che hanno valutato la presenza nel latte materno dell’RNA messaggero contenuto nei vaccini hanno riscontrato quantità del tutto trascurabili o al di sotto del limite di misurabilità. Occorre infatti considerare che, anche se l'RNA messaggero fosse presente nel latte, è alquanto improbabile che possa essere assorbito dal tratto gastrointestinale del lattante, in quanto degradato dal succo gastrico.
I risultati degli studi disponibili sulla vaccinazione in gravidanza e i dati raccolti dai sistemi di farmacovigilanza non documentano nessuna associazione tra la somministrazione del vaccino e un aumento dei rischi nello sviluppo dell’embrione e del feto.
L'EMA ha pubblicato una revisione degli studi sulla sicurezza in gravidanza dei vaccini anti-Covid-19 a RNA messaggero, che ha esaminato circa 65.000 gravidanze. Non sono stati evidenziati segnali di un aumento del rischio di complicazioni della gravidanza, aborto spontaneo, parto prematuro o di altri eventi avversi.
Inoltre, alcuni studi hanno documentato la presenza di anticorpi contro il virus SARS-CoV-2 nel sangue dei bambini nati da mamme vaccinate. È, quindi, possibile che la vaccinazione materna abbia un effetto protettivo anche sul neonato.
Ci sono, infine, due ragioni fondamentali per dire sì alla vaccinazione in gravidanza: la prima è che le donne incinte hanno una ridotta capacità polmonare per la pressione esercitata dall’utero e, quindi, rischiano una malattia più grave (con il doppio delle probabilità di dover ricorrere alla ventilazione assistita rispetto alle altre donne). La seconda è che il sistema immunitario in gravidanza si indebolisce.
E' consigliabile vaccinare anche i bambini: in questo momento, infatti, la circolazione del virus è elevata e pertanto la vaccinazione riduce, anche se non annulla, il rischio di contagio.
Al momento solo il vaccino Pfizer è autorizzato all'uso nei bambini, nei quali sono previste due somministrazioni a distanza di 21 giorni. Il dosaggio nei bambini di questa età è inferiore a quello utilizzato negli adolescenti e negli adulti, cioè 10 microgrammi invece che 30.
Il vaccino ad oggi autorizzato per i bambini (Pfizer) è stato studiato su 2250 bambini tra i 5 e gli 11 anni.
Il dosaggio pediatrico prevede una quantità molto più bassa di mRNA: 10 microgrammi invece che 30 microgrammi (dosaggio per gli over 12), sempre in due somministrazioni.
La procedura dell’approvazione in emergenza è comunque molto rigorosa e i 10 microgrammi sono stati scelti con molta cura per assicurare la massima risposta anticorpale anche contro le varianti: l'efficacia nel prevenire la malattia nei bambini è infatti del 90%.
Gli effetti collaterali nei bambini che ricevono il vaccino anti Covid-19 sono gli stessi che siamo abituati a vedere nei bambini più grandi e negli adulti: eventuale fastidio nella sede di iniezione, stanchezza, un po’ di febbre.
Molti, in realtà, non manifestano nessun effetto.
A giudicare da quanto è stato rilevato negli adolescenti, le miocarditi sono disturbi passeggeri che si risolvono in poco tempo e, soprattutto, sono molto rari (da 1 su ventimila a 1 su cinquantamila). Questi dati derivano dall’osservazione di milioni di adolescenti e giovani adulti.
E' necessario ricordare che le miocarditi che si manifestano in seguito ad infezione Covid-19 sono molte di più e molto più gravi di quelle che si verificano in seguito al vaccino.
Assolutamente sì.
Purtroppo in questi due anni le vaccinazioni previste nell'età pediatrica sono diminuite a causa della pandemia, esponendo i bambini a malattie ben più gravi del Covid-19.
Pur non essendoci al momento dati scientifici al riguardo, è improbabile che i vaccini contro il Covid-19 possano avere un effetto sullo sviluppo della crescita negli adolescenti.
Non esiste, infatti, un razionale biologico che possa far pensare a questo eventuale rischio. l meccanismi d'azione e l'esperienza accumulata con i vaccini in uso da più tempo non supportano questa ipotesi.
Alcuni studi condotti finora nella popolazione adulta non hanno documentato un effetto dei vaccini sulla fertilità, sia maschile che femminile.
Come pubblicato nell'approfondimento riguardante la vaccinazione negli adolescenti (https://www.marionegri.it/magazine/vaccino-covid-19-adolescenti), le forme gravi di Covid-19 sono rare in ragazzi in buone condizioni di salute. I benefici diretti dei vaccini per loro sono, perciò, minori di quelli osservati negli adulti e negli anziani, ma non del tutto assenti.
Gli esperti dei Centers for Disease Control and Prevention degli Stati Uniti hanno effettuato una stima del bilancio rischi-benefici: la loro conclusione è che ogni milione di dosi di vaccino somministrate, a fronte di un aumento del rischio di miocardite (nell'ipotesi peggiore 10 casi nelle ragazze adolescenti e 69 nei ragazzi), si eviterebbero 183 e 215 ricoveri ospedalieri e 38 e 71 ricoveri in terapia intensiva, rispettivamente nelle ragazze e nei ragazzi. La bilancia sembra, quindi, pendere a favore del vaccino anche nel caso della vaccinazione degli adolescenti.
Inoltre, nell'ottica della salute pubblica occorre considerare anche i benefici sulla collettività: la vaccinazione degli adolescenti potrebbe contribuire a ridurre la circolazione del virus e a far riprendere le attività scolastiche e le occasioni di socialità dei più giovani con una maggiore continuità e serenità.
Una preoccupazione diffusa tra i genitori è che i figli possano sviluppare danni a lungo termine in seguito alla vaccinazione, preoccupazione del tutto normale e giustificata. Tuttavia è verosimile, come accaduto per i vaccini impiegati da più tempo e per cui non si sono registrati effetti a distanza di mesi, che lo stesso si verifichi per i vaccini anti-Covid-19. Generalmente, infatti, i possibili effetti avversi si manifestano entro i due mesi dalla somministrazione.
Se consideriamo che dal 14 Dicembre 2020 sono state somministrate circa 10 miliardi di dosi di vaccini contro il Covid (dato al 25 gennaio), e di questi oltre 3 miliardi sono vaccini a mRNA (dato al 18 dicembre 2021), è verosimile pensare che questi enormi numeri nell'arco di oltre un anno consentirebbero - se fosse il caso - di osservare anche eventi estremamente rari. I dati raccolti nei sistemi di farmacovigilanza non rilevano segnali di allarme su effetti a distanza di tempo dalla vaccinazione e questo rende alquanto improbabile l'eventualità che si manifestino in futuro.
Infine con riferimento alla tecnologia impiegata nel vaccino a mRNA, questa piccola molecola contenuta nei vaccini si degrada in breve tempo, nell'arco di due giorni. Come spiega il suo nome è solo un messaggero che trasporta le informazioni per far sintetizzare una proteina (la spike del coronavirus). Una volta che l'mRNA viene eliminato, anche la produzione della proteina cessa. Non ci sono perciò evidenze per ritenere che questa tecnologia, studiata da più di 10 anni, possa comportare dei problemi di salute a lungo termine.
La mancanza di alcuni organi, come reni e milza, permette di condurre una vita normale e non rappresenta una controindicazione alla vaccinazione.
Secondo alcuni esperti, i pazienti che in seguito alla vaccinazione contro il Covid-19 (soprattutto dopo vaccini a mRNA) hanno avuto una reazione cutanea, come arrossamento e rigonfiamento nella sede di iniezione, dovrebbero evitare di esporsi al sole fino alla risoluzione del problema. Si tratta di una raccomandazione prudenziale, per non sottoporre la pelle ad un’ulteriore fonte di irritazione. Anche l’aver avuto un po’ di febbre dopo il vaccino rappresenta un motivo per rimandare il sole e il mare di qualche giorno, almeno fino a quando la temperatura corporea non sarà scesa.
Lo stesso discorso vale anche per chi ha contratto l'infezione da Covid-19 e ha manifestato disturbi dermatologici come orticaria, geloni e varie forme di esantema.
Chi invece non ha avuto nessun disturbo dermatologico dopo la vaccinazione (o durante la malattia) può esporsi al sole normalmente, avendo l’accortezza generale di utilizzare un fattore di protezione solare adeguato.
Se hai ricevuto da poco la prima o la seconda dose del vaccino anti-Covid, è consigliabile rimandare la mammografia. Tra gli effetti collaterali della vaccinazione, infatti, c’è la possibilità di un ingrossamento dei linfonodi ascellari o sopraclavicolari, in gergo tecnico adenopatia regionale. Soprattutto se ci si è sottoposte a vaccino a vettore virale. Il rischio potrebbe essere che, a causa di un eventuale ingrossamento post vaccino, il reale motivo della adenopatia venga sottovalutato, soprattutto in ambito oncologico. L'intervallo di tempo consigliato è dalle 4 alle 6 settimane. E' comunque sempre meglio informare il medico curante e il centro dove si effettua la mammografia dell'avvenuta vaccinazione prima di effettuare l'esame radiografico.
I vaccini anti-Covid-19 attualmente utilizzati NON sono in fase sperimentale. Sono stati autorizzati dalle Agenzie del Farmaco nazionale e internazionali con procedura definitiva. Le sperimentazioni sono ancora in corso per quanto riguarda la parte osservazionale di follow-up, volta a valutare l'efficacia a lungo termine. Come affermato nella risposta dell'Agenzia Italiana del Farmaco, di fronte all'emergenza sanitaria le agenzie regolatorie hanno ritenuto di poter autorizzare l'uso dei vaccini pur in mancanza di informazioni sulla durata della risposta immunitaria e sull'efficacia a distanza di tempo dalla somministrazione.
Tutte le persone di età maggiore ai 12 anni possono effettuare la quarta dose (secondo richiamo) del vaccino contro il Covid-19. Il richiamo è fortemente raccomandato per chi è a maggior rischio di forme gravi di malattia, come ad esempio le persone con età superiore ai 60 anni, i malati cronici (diabete, malattie cardiovascolari, etc) o con condizioni che riducono l'efficacia della risposta immunitaria.
La finalità principale del richiamo è sia di potenziare che di prolungare nel tempo l'efficacia del vaccino contro la malattia grave. L'efficacia nel proteggere dall'infezione è invece minore e di breve durata.
Anche se al momento non c'è nessun lavoro scientifico o epidemiologico che attesti una correlazione tra vaccino anti-Covid-19 e comparsa del fuoco di Sant'Antonio, in letteratura sono riportati alcuni casi di nevralgia post-erpetica insorta a breve distanza temporale dalla vaccinazione, suggerendo dunque un possibile legame. Questi casi descrivono un'insorgenza dei sintomi a distanza variabile, da poche ore e qualche giorno dopo la vaccinazione. L'utilizzo di corticosteroidi e di alcuni antiepilettici, usati per alleviare il dolore neuropatico, sembra aver offerto benefici. I casi riportati, comunque, non durano molto a lungo.
(Inactivated COVID-19 vaccine-related herpes zoster and post-herpetic neuralgia: Three case reports; Reactivation of Herpes Zoster Virus After COVID-19 Vaccination: Is There Any Association?; Investigation of Neurological Complications after COVID-19 Vaccination: Report of the Clinical Scenarios and Review of the Literature)